Numero6 intervistati da Gianluca Morozzi

L'uscita dell'album "Dio c'è" dei Numero6 è l'occasione per una chiacchierata tra il leader della band bolognese Michele Mezzala Bitossi e lo scrittore bolognese Gianluca Morozzi

Lo scrittore Gianluca Morozzi intervista Michele Mezzala Bitossi dei Numero6 sul nuovo disco "Dio c'è"
Lo scrittore Gianluca Morozzi intervista Michele Mezzala Bitossi dei Numero6 sul nuovo disco "Dio c'è" - Foto dei Numero 6 di Luca Saini

Nel finale del meraviglioso “The killing joke” di Alan Moore ci sono Batman e il Joker impegnati in uno dei loro più drammatici scontri, e alla fine il Joker racconta una barzelletta su due matti in manicomio, dalla quale si deduce che l’uno e l’altro, l’eroe e il pazzo, Batman e il Joker, sono due facce diverse dell’insanità mentale. Ecco: non so chi tra me e Michele Bitossi possa essere il Joker, ma - a proposito di pazzia - considerate questo. 

Uno dei due pazzi è tifoso del Bologna e fa lo scrittore in un mondo in cui il primo, il secondo e il terzo posto delle classifiche dei libri più venduti sono occupate dai tre capitoli delle Cinquanta sfumature. Dal quarto in poi ci sono libri di cucina –perché la gente ha scoperto che, accidenti, esistono le ricette- e le trilogie di quelle che copiano le Cinquanta sfumature.

L’altro pazzo tifa Genoa, e fa dischi in un ambiente in cui, se partecipi a un tributo agli 883, i recensori, dopo, pensano di farti un piacere citando le “evidenti influenze” di Max Pezzali sul tuo songwriting.
Due pazzi in manicomio, per l’appunto.
Ora: il pazzo Bitossi viene intervistato dal pazzo Morozzi in occasione dell’uscita di “Dio c’è”, nuovo album dei Numero 6, uscito da pochi giorni nella biagioantonaccilandia in cui viviamo. Ed ecco il risultato (Gianluca Morozzi)


Innanzitutto complimenti assolutamente sinceri per l’album nuovo. In un mondo migliore di questo, quell’universo parallelo in cui la canzone di natale per eccellenza è quella degli Zen Circus e i vecchi professionisti del pianobar eseguono abitualmente “Il corvo Joe” anziché devastarci le gonadi con L’emozione non ha voce, dicevo, in un mondo migliore di questo “Dio c’è” (la canzone) passerebbe in radio molto più delle interessantissime vacanze in Salento di Antonacci.
Detto questo: quante volte hai già dovuto spiegare “Allora, Dio c’è è la scritta che lasciavano i pusher per indicare che lì c’era roba buona” eccetera eccetera, cose che forse ricordiamo solo noi (splendidi) quarantenni?

Intanto mi prendo di buon grado i tuoi complimenti, me li metto nel taschino della camicia e ne vado fiero per le vie incazzatissime di Genova in sella al mio Fifty arancione truccato e dotato di schienale imbottito. Passerò a prendere mio figlio Pietro all'asilo e insieme, dopo esserci comprati i soliti due etti e mezzo di baci di dama e i brick di Esta The di ordinanza, andremo alla ricerca dell'universo parallelo dove succedono quelle belle cose lì che dici tu. In quell’universo parallelo, non mi dispiacerebbe vedere Antonacci che canta "Figlio di puttana" degli Zen Circus, ma mi pare troppo anche per un mondo parallelo. Più probabile che gli Zen, da quanto bravi e talentuosi sono, riescano a fare una versione accettabile di "Mi fai stare bene".
Si, il significato di "Dio c'è" l'ho dovuto spiegare varie volte nonostante si fosse tentato di bypassare la domanda scrivendo a chiare lettere nel comunicato stampa a cosa ci riferivamo. Colgo però l'occasione per fare outing: in realtà, siccome sono un fottuto insicuro, infantile, vanitoso e debole volevo assolutamente trovare un titolo ad effetto, di cui si parlasse, "a prescindere" come direbbe Totò.
Numero6 è un nome piuttosto insulso, sono molto invidioso dei nomi bislacchi e particolari di band indie italiane giovani come Management del dolore post operatorio e quindi mi sono scervellato su come battezzare l'album. Ed è uscito "Dio c'è". Che nel mondo parallelo ovviamente si intitola con una frase molto poco rispettosa nei confronti di Dio, che qui non posso riportare perché siamo nel mondo normale e poi mi arrestano.
Comunque di anni ne ho 37, io...

Com’è cambiato il mondo musicale italiano, il pubblico, l’ambiente dai tempi dei Laghisecchi a oggi?
Beh dai, detta così sembra che i Laghisecchi (prima incarnazione dei Numero6, NdR) siano un movimento culturale del secolo scorso... Comunque è cambiato molto dalla fine degli anni novanta a oggi. Quando abbiamo iniziato noi, per fare un disco dovevi trovare qualcuno che credesse seriamente in te perché i costi di produzione erano mediamente piuttosto alti, non esisteva la possibilità di far robe professionali a casa o comunque non in uno studio di registrazione con pc e schede audio. "Radical Kitsch", anche se suona come una merda di cavalletta, è stato registrato su uno Studer a 48 tracce. La Sony per registrarlo ci diede trenta milioni di lire! Molti di questi soldini finirono nelle nostre pance sottoforma di pranzi e cene luculliane in quel di Mondovì, dove registravamo. Comunque in generale era tutta un'altra faccenda. Di fatto il panorama era assai più selettivo. Molte meno proposte in giro e una conseguente maggior attenzione da parte dei media. E si vendeva anche qualche disco.

Oggi la situazione è totalmente fuori controllo, nel bene e nel male. Se adesso mi gira di scrivere una canzone contro il tuo ultimo libro e, già che ci sono, contro Gilardino (mal sopportando che nel tuo Bologna stia segnando a valanga e da noi era più semplicemente "Pippardino") lo posso fare praticamente al volo con risultati professionali e posso pubblicare altrettanto al volo il tutto sul web. Prima di farlo dovrei però riascoltare la cazzata che ho creato, cancellare tutto e tornare a rispondere alle domande di questa intervista. Uno dei problemi più significativi della scena indie italiana a mio modesto avviso è proprio questo: c'è davvero poca gente disposta a prendersi la briga di autocensurarsi. C'è un'ansia terrificante di presenziare in qualsiasi modo, di esserci costi quel che costi. Parlare di musica, di canzoni, di come sono state scritte, di quel che comunicano, di perché siano fantastiche oppure orribili, spesso è l'ultimo dei pensieri, purtroppo. E questo atteggiamento è proprio di chi suona, di chi ne scrive, del pubblico. Dopo questo menosissimo pippotto da ottuso menagramo, aggiungo che in Italia ci sono un sacco di band, cantautori e musicisti validissimi, per lo più giovani. Me lo sognavo io a vent'anni di fare le robe che fanno adesso gli Iori's eyes, Nicolò Carnesi o, chesso', I Cani.


(Gianluca Morozzi, immagine da Pronti al Peggio)

Ho letto recensioni di Dio c’è che citano in egual modo Federico Fiumani e Max Pezzali. Ora, a parte che la vostra cover stile “Automatic for the people” di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” è meravigliosa, credi che questo accostamento sia il primo passo verso la fine del mondo?
Di passi del genere temo ne siano stati già fatti purtroppo parecchi, comunque ormai non so più cosa dire né cosa pensare, credimi fratello. A me "Dio c'è" sembrava un bel disco, ci siamo sbattuti come dei matti a farlo, ho provato anche a scrivere testi un po' più "quotidiani" del solito (ecco forse dove sta il problema..), abbiamo curato i suoni… E qual è il risultato? Che siamo i nuovi 883. Ho letto anch'io… La cosa davvero deprimente è che il più delle volte questo accostamento surreale è stato fatto credendo davvero di farci un complimento.

Il fatto è semplice. Nessuno si sarebbe mai sognato di paragonare la mia musica a quella di Pezzali prima della famosa compilation di Rockit "Con due deca". Quell'operazione, piaccia o non piaccia, ha sollevato un polverone mediatico di grandi proporzioni ed è stata anche osteggiata da molti per partito preso, a mio avviso anche con un pochino di invidia e rosicamento. C'erano artisti che ne parlavano male forse perché non erano stati coinvolti, media che facevano lo stesso perché non era venuta a loro quell'idea. Insomma, un casino. Io rifarei mille volte quella scelta, non la rinnego certo. Ci sta ogni tanto il puro gioco, il rilassarsi confrontandosi con qualcosa di molto lontano dalle proprie corde. Soltanto che adesso inizio un po' a rompermi il cazzo. Non mi risulta che quando è uscito il disco degli Amor Fou la menassero a Raina con 'ste stronzate. Non ho mica voglia di pagarla io per tutti eh!. Cioè, voglio dire, uno ce la mette tutta per fare un disco alla Toto Cutugno e lo paragonano a Pezzali. Non esiste proprio! Quanto a Fiumani è uno dei miei eroi di gioventù. Chiudo gli occhi e siamo nel 1990. Mi vedo entrare trafelato nel camerino del Coccodrillo di Genova dopo un concerto strepitoso del tour di "In perfetta solitudine". Porgo a Federico la copia ultrarara in vinile trasparente dell' EP "Gennaio", lui la autografa e mi dice "Carina la tua fidanzata!". Grande Fede, sono cresciuto con la sua musica, la sua poetica, la sua estrema autenticità. Gli voglio bene.

Una raffica di tre domande molto profonde e serie.
Prima domanda profonda e seria: hai mai avuto delle serate in cui a un certo punto, mentre eri sul palco, ti sei domandato cose tipo: Ma a me chi me l’ha fatto fare di preciso di venire qui, in questo letamaio di posto, a suonare per questo pubblico di pecorai, con fonico ubriaco e l’impianto che fischia?
O, in generale, di chiederti se ne vale sempre la pena.

Risposta A (ossia quella che ho per un momento ammetto di aver pensato di darti, ossia quella che secondo me alcuni miei colleghi ti darebbero pur non avendone affatto il titolo)
Mah, direi di no, anche perché abbiamo un pubblico fedele e molto nutrito che ci segue più o meno ovunque e che non fa mai mancare il suo calore anche quando capita la serata un po' storta. Fortunatamente poi giriamo in un circuito di club davvero molto attrezzati e accoglienti, abbiamo una crew preparata da tutti i punti di vista e un repertorio all'altezza della situazione. Per noi suonare dal vivo è sempre un'esperienza straordinaria, uno scambio di emozioni incredibile con i ragazzi che stanno sotto il palco. Fare concerti è il motivo principale per cui siamo ancora qui
Risposta B (ossia la verità).
Sì, è capitato più di una volta.

Seconda domanda molto profonda e seria: senti di essere stato –come dire?- capito, fino qui, dal pubblico e dalla critica?
Altra bella domanda. E la risposta è piuttosto semplice. La mia scrittura e il mio modo di cantare almeno sulla carta non sono "per tutti". Lo riconosco senza alcun problema e, di conseguenza, ogni qual volta ricevo dei feedback "incoraggianti" dal mondo mainstream oltre che esserne piuttosto contento mi stupisco sempre un po'. Per esempio, dieci minuti fa è passato il nostro primo singolo "Fa ridere" su una grossa radio italiana. Ho cercato di astrarmi e di dare un giudizio il più possibile oggettivo sul fatto in sè e ho realizzato che tra Alanis Morrisette e i Negramaro (i cui singoli sono stati trasmessi prima e dopo) il nostro pezzo ci poteva stare benissimo, sia come suono che come modo. Per cui dico che nella nostra produzione ci sono momenti molto pop che potrebbero potenzialmente arrivare al grandissimo pubblico e altri destinati, già a priori, a nicchie sicuramente più evolute rispetto all'ascoltatore medio italiano. In generale, comunque, se parliamo di pubblico, so che chi mi capisce e mi segue lo fa con un alto tasso di coinvolgimento perché credo che le canzoni dei Numero6 (e di Mezzala quando faccio dischi solisti) difficilmente lascino indifferenti, nel bene e nel male. Abbiamo avuto poi un sacco di ascoltatori "occasionali" (ai tempi del singolo "La stabilità", in rotazione su MTV) che poi credo si siano persi per strada, e forse questa è stata una fortuna perché col tempo siamo riusciti a focalizzare meglio i nostri obiettivi musicalmente. Credo che potenzialmente potremmo arrivare a un numero maggiore di persone, questo sì; forse non ci capirebbero fino in fondo.. ma neppure io riesco a capire fino in fondo i Flaming Lips. Eppure mi piacciono un botto.
Quanto alla critica quella invece direi che, salvo rari casi, ha sempre dimostrato grande interesse e curiosità per le mie cose. Prima della pubblicazione di "Con due deca", ovviamente.

Terza domanda molto profonda e seria: hai mai l’impressione di regalare perle ai porci, con i tuoi dischi?
Per tenere in piedi una band da quasi dieci anni e, in generale, per far musica a un certo livello in Italia devi avere oltre che una buona dose di passione anche un bel po' di freddezza. Saper vivere la propria musica e tutto quello che le gira attorno con un certo distacco e, se possibile, anche con autoironia è a mio avviso fondamentale per non rischiare di perdersi d'animo definitivamente ogni quindici giorni.
Quando ero più giovane volevo spaccare il mondo in mille pezzi, desideravo con tutte le mie forze diventare famoso con la mia musica e mi sentivo enormemente frustrato quando mi rendevo conto che le cose stavano andando benone, ma non così bene come mi sarei aspettato, anzi come ero certo sarebbero andate. Da un bel po' di tempo invece sono molto rilassato. Il mio obiettivo principale è di una banalità sconcertante: voglio creare belle canzoni. Se ci riesco mi sento realizzato, e la questione potrebbe anche finire lì. Poi siccome sono egocentrico e vanitoso le pubblico anche, ma, davvero, tutto ciò che arriva lo prendo, tutto ciò che non arriva lo lascio agli altri, che ho una vita già piuttosto piena di roba da fare.
Comunque sì, spesso ho la senzazione che il pubblico italiano certa musica e certi dischi meravigliosi non li meriti proprio. E non è una questione che riguarda solo me. Per fare un esempio, Cesare Basile in quanto lo conoscono? Non meriterebbe forse un po' di più di certi cantautorini generazionali? Ora comunque mi son messo in testa di provare a fare l'autore per altri. Vedrai che perle ai porci arriveranno...

Questa è una domanda che mi fanno sempre, e che ti giro adeguatamente trasposta. Meglio lo scudetto della stella del Genoa o i Numero 6 primi in classifica?
Tutta la vita lo scudetto della stella del Genoa. Ma scherziamo? Ma non esiste confronto… che cazzo vuoi che me ne freghi di andare in classifica coi Numero6? Quella sarebbe una situazione piacevole ma comunque passeggera. La stella invece te la cuci sul petto e rimane lì.
Purtroppo, come sai bene anche tu, nulla è più vero di quel coro che più o meno tutti cantiamo in curva "..questa è una malattia che non va più via". Nonostante detesti questo schifo di calcio moderno con le sue ipocrisie, i calciatori viziati e mercenari, le tessere del tifoso, i tornelli, le pay tv non posso fare a meno dei mio Genoa, che è una fede enorme e incrollabile, trasmessami da mio papà buon anima. Ma dai, ma te li immagini i tifosi dell'altra squadra della periferia del ponente genovese con la maglia a strisce orizzontali come si sentirebbero? Guarda, se vincessimo lo scudetto impazzirei al punto da fare davvero un disco alla 883, e a quel punto uno dei primi tre posti in classifica è assicurato.

Ti propongono di aprire un concerto negli stadi dei Modà. Cosa rispondi, tu, ai Modà?
Rilancio proponendo ai Modà di aprire un autosalone, o al limite un agriturismo e di piantarla una buona volta di infestare l'etere con la loro merda d'artista.

---
L'articolo Numero6 intervistati da Gianluca Morozzi di Gianluca Morozzi è apparso su Rockit.it il 2012-11-05 11:14:00

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia