Carl Brave, un Winner Taco e le nostre domande

Abbiamo intervistato Carl Brave mentre se magnava un Winner Taco

La telefonica con questo Carl Brave "in after", fresco di una settimana dalla pubblicazione del nuovo EP, proseguo del suo fortunatissimo primo album solista che l'ha definitivamente scagliato nel mondo delle radio, dei numeri grossi e dei featuring extra-pop, è iniziata mentre stava facendo merenda al bar, con un Winner Taco. Ci ha raccontato come è nato questo disco, come mai non si stacca dall'immaginario che l'ha reso famoso e cosa gli piacerebbe fare ora.

Ciao Carlo!
Ciao ragazzi, tutto bene?

Sì dai! Ti rubiamo qualche minuto per farti delle domande ochei?
Certo, mi date un secondo solo?...
[lontano dalla cornetta] Allora, due Winner Taco e un Cornetto Algida... Grazie.
Eccomi qua, scusate.

Ahahah era una pausa Winner Taco?
Sì, gli ultimi romantici!

Ti senti abbastanza nostalgico del periodo Winner Taco originale?
Abbastanza... Infatti secondo me nella prossima canzone ce lo metto.
Quando uscì il Winner Taco penso avessi circa quindici anni.

C'è qualche artista di quel periodo lì, fine anni '90 inizio 2000, che magari ti è entrato nel cervello?
Un sacco di cose! A me è entrata molto la dance italiana trash, la gente tipo Gigi Dag, quella roba mi è entrata una cifra, sotto forma di melodie, a livello proprio subconscio. Poi vabbè, ti entra tutto quando sei ragazzino. Ricordo che proprio da bambino ho iniziato a sentirmi i The Clash e roba così.

Perché in quella fase c'era qualche tentativo nel pop italiano che somigliava un po' a quello che poi ti sei messo a fare tu...
Ma in realtà non ho ascoltato troppa roba italiana di quel periodo. Di sicuro mi piaceva Vasco!

Ma da cosa è nata l'esigenza di fare questo "After" di "Notti brave"?
Da sé, diciamo. Il giorno dopo l'uscita di "Notti brave" stavo facendo la base di "Posso", sono partito da "Chapeau" e volevo fare una traccia come quella, che avesse un'apertura radiofonica; avevo questo ritornello martellante "posso, posso, posso" che avevo scritto mentre mixavo "Notti brave", "Ti fidi di me, fai male" eccetera, e il connubio tra questa base un po' allegrotta, spensierata, e questo ritornello ironico mi ha fatto pensare subito a Gazzè. Poi gli altri pezzi sono nati così, dal nulla. Io sono solito lavorare sempre, è un po' un bisogno mio, un momento mio di tranquillità mettermi a fare basi e scrivere: quindi è semplicemente uscito così.

È tutto partito da "Posso", quindi? E il featuring con Max Gazzè è stata un'idea tua.
Sì, è tutto partito da lì. A Max Gazzè ho chiesto subito, a lui il provino è piaciuto ed è venuto in mansarda da me a suonare uno special di basso, a parlare... è stata una giornata molto divertente. Non me lo aspettavo così Gazzè, è un bel chiusino, un bel nerd che si chiude con i suoni, che prova a fare suoni suoi, particolari, con Reaktor: è uno che può mettersi per mesi a fare un suono. Mi ci sono molto ritrovato, l'ho sentito affine.

E di cosa parlano Carl Brave e Max Gazzè quando chiacchierano?
Di musica! Di strumentali, di strutture, di ritornelli!

Quindi proprio un incontro tecnico.
Assolutamente. Musica tecnicamente parlando.

Non senti mai il rischio di rimanere appiccicato al tuo immaginario così forte, preciso, e soprattutto così romano?
No, non ho avuto paura di rimanere appiccicato, anzi ne ho fatto un po' la mia forza. Con quello mi sono distinto, con quello sono riuscito ad uscire. Prima facevo altre cose che non sono andate, forse proprio perché non parlavo con il mio vero slang, con il mio vero linguaggio, essendo un po' "medione" (italiano medio), invece portando la mia vera natura, il mio dialetto, le cose che vivo, porto una cosa molto personale, che ho solo io, una forza. Mi contraddistinguo nel panorama musicale per questo mio stile.

Ma c'è qualche altra città, qualche atmosfera, qualcosa di non-romano che ti sta iniziando a stuzzicare?
Nel linguaggio il romano è fondamentale, la mia romanità è fondamentale. Magari ogni tanto in romano posso parlare di situazioni milanesi, ad esempio. Mentre la musica spazia, e l'ho affinata soprattutto a Milano, dove ho studiato al SAE Institute. La musica è globale, mentre il linguaggio e le tematiche (non tutte, sto cominciando a variare) sono romani.

Quindi dobbiamo ancora aspettare un po' per avere un disco di Carl Brave, in romano, sull'Alaska.
Beh sì, dovrei più che altro andarci! In questo disco ci sta "Merci" che è un pezzo che parla un po' della Francia, di un viaggio che ho fatto un mese fa in Francia: ci metto un po' di vocaboli francesi, parlo un po' da turista italiano in Francia...

E cosa mi dici della copertina?
Non è una cosa da megalomane, volevo continuare con un monumento romano, che esaltasse la romanità della situazione... Me ne sto là sul Pantheon, seduto un po' come un osservatore di Roma e dei romani. Mi definisco un po' una specie di "giornalista" della musica. Guardo e racconto ciò che vedo nella mia vita quotidiana, da lassù mi vedo un po' tutto e tiro le mie conclusioni.

Ma come l'avete realizzata, sei davvero tu?
[Ride] Eh, mi sono arrampicato, ho preso l'elicottero! Gli invidiosi diranno che è Photoshop.

Una cosa che non si può non notare di queste sette tracce è che c'è sia un pezzo come "Termini", super twee-pop primi anni '10, e poco prima un featuring con Gue Pequeno. Fino a poco fa era impensabile una cosa del genere... ti sentirai un po' il peso della responsabilità di aver reso possibile questa situazione, no?
Questa è un po' la mia peculiarità. Tanti featuring diversi che vanno a spaziare in tanti mondi diversi: questo viene un po' dal mio essere produttore, per me è importante prendere mondi diversi e farli sposare con il mio genere. Ci sta spaziare da Max Gazzè a Gue Pequeno, da Luché a Ugo Borghetti, ci sono tantissime sfumature. È un po' la mia formazione da produttore che mi ha dato questa mentalità, se vuoi molto americana.

Eh sì, in Italia non siamo ancora molto abituati a questa figura 100% songwriter e 100% produttore.
Poi diciamo che sono un po' l'inframezzo, la corda tesa tra un po' di generi diversi. Tra l'indie (che non è un genere ma vabbè), la trap... sono un po' tutto. Questa cosa mi piace, la cerco, non voglio essere etichettato, voglio mettere le scarpe in tanti mondi. Essere il primo a farlo mi gasa! Sono contento, penso sia una cosa nuova, che era da fare. E poi è bello sentire un Gue Pequeno in un'ottica diversa, con un vestito diverso.

Poi è interessante che tutta la gente che fa featuring con te tiri fuori sempre il proprio lato romantico, che si parli sempre un po' d'amore...
Certo, loro si avvicinano al mio mondo, e gli viene bene, perché spesso sono artisti camaleontici: guarda Gue, quante volte ha rivoluzionato il suo immaginario.

È stato molto agile anche a prendere questa tua sfumatura romantico-caciarona, un po' da cascamorto...
Un piacione!

Ti senti davvero un po' cascamorto?
Io mi sento normale, vivo l'amore come qualsiasi altra persona... non è un amore etereo, nell'aria, ma è un amore vero, fatto di pali, di rifiuti, un amore sofferto, con dentro dei tradimenti eccetera, con tutte le sue varie sfaccettature. Un amore che non è solo per la tua donna, ma anche per la tua città, per la tua passione: è tante cose diverse.

Quindi un milione e mezzo di ascoltatori mensili non garantiscono l'assenza di pali.
Chiaro, chiaro. I pali restano, poi quando ci sbatti possono cascare, ma insomma...

A proposito di featuring, c'è qualcuno con cui non sei ancora riuscito a toglierti lo sfizio di collaborare?
Certo, c'è un po' di gente con cui vorrei lavorare... Tiziano Ferro mi piacerebbe una cifra, poi Cesare Cremonini, Calcutta... tanti, tutti romanticoni.

E di giovanissimi c'è qualcuno che ti carica?
Molti! Mi piace tantissimo Chadia Rodriguez, fa trap e tecnicamente non c'è una pischella forte come lei, freschissima. Se lavora bene fa il fuoco. Poi mi piace tanto Tha Supreme, sempre sul lato trap, che è riuscito a superare il problema che nella trap tutti fanno la stessa cosa. Lui invece è un grande produttore con uno stile suo, e trova dei flow nel cantato che sono abbastanza unici nel panorama italiano e pure mezzo fuori, nel mondo. Uno così è Young Thug, ed è il mio idolo. Tha Supreme ha evoluto la trap, farà tanta strada! Ci featterei.

A proposito, per chiudere, domanda standard sul futuro.
Beh ho delle cose nuove a cui sto lavorando, dei feat che sto capendo... ragiono tutto a partire dalle strumentali e quei tre che vi ho detto prima ci starebbero bene, ho fatto delle basi persino per loro. Poi certo anche con Tha Supreme e Chadia mi piacerebbe chiudere un feat... Quindi niente, carne al fuoco!

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L'articolo Carl Brave, un Winner Taco e le nostre domande di Pietro Raimondi e Federica Calvo è apparso su Rockit.it il 2018-12-05 17:40:00

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