Clap! Clap! - Del tribalismo e di tutto quello che ci circonda

In soli due anni, con un disco e una manciata di ep, Clap! Clap! è riuscito a portare il suo verbo in tutto il mondo. L'intervista.

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Attraversare i continenti, farsi travolgere dalle emozioni e scoprire che non è tutta Africa quella che lo circonda. In soli due anni, con un disco e una manciata di ep, Clap! Clap! è riuscito a portare il suo verbo in tutto il mondo. Un suono personalissimo, devoto alle istanze tribali quanto alla dancefloor, che ha conquistato i cuori di tanti. Una carriera tutta in divenire sulla quale abbiamo cercato di fare il punto, in un momento di nascite, trasferimenti e nuovi progetti.

L'ultima volta che ci siamo visti eravamo in Sicilia, all'Ypsigrock. Venivi da alcune date tra Norvegia e Svezia e il giorno dopo dovevi andare in Belgio. Dove stai vivendo adesso, sempre sugli aerei?
In buona parte sì, anche se da qualche mese ho deciso di mettere i piedi a terra a Firenze, al sole, me la sto finalmente godendo. Firenze è la mia citta e poi c'è un bell'ambiente, è piccola, ci si conosce tutti, e anche per questo l'energia si sente meglio. Ho vissuto per un anno Torino, per poi spostarmi a Cagliari, dov'è nata mia figlia e adesso sono tornato a casa. Ma non credo rimarrò per molto, con la mia compagna stavamo pensando di andare all'estero, per la bimba soprattutto. Ci stiamo riflettendo.

Tutti questi spostamenti hanno finito per influenzarti, e si sente. Come ci si attrezza in questi casi per comporre, suonare?
Scrivo ovunque, molti pezzi li ho composti proprio in viaggio per andare a suonare. I luoghi che attraverso mi influenzano molto, perché le cose che pensi, che vorresti trasmettere diventano differenti quando respiri un'altra energia, che è quello che mi capita puntualmente ogni volta che mi sposto da un continente all'altro. Mi piace molto giocare con queste sensazioni. Una delle session di registrazione più strana l'ho fatta in un bosco, qui sugli Appenini, dove ho vissuto per cinque mesi mentre scrivevo il disco, isolato da tutto. Prendevo l'SP a pile e andavo a farmi le mie due-tre ore in mezzo agli alberi. È lì che sono usciti i pezzi migliori.

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Credo sia utile fare un punto. Hai lanciato il progetto due anni fa, con quale spirito sei partito e che tipo di aspettative nutrivi?
L'idea di Clap! Clap! è nata in seguito ad un ep che feci uscire nel 2012 come Digi G'Alessio con Lucky Beard. Il disco si chiamava "Ivory" ed era un concept basato solo sull'utilizzo di sample di dischi africani e campionamenti di animali della giungla. Era una roba che poteva essere etichettata come tribale, tropicale, ma che aveva dentro anche tante influenze dancefloor, a quei tempi stavano uscendo la trap, la juke, e quei suoni mi affascinavano. Quell'ep non ha girato molto, però a me è piaciuto tantissimo e da lì ho pensato di creare un progetto concentrandomi su quello stile, che sentivo molto originale, e così ho creato Clap! Clap!. L'idea con la quale sono partito era quella di ricreare i classici riff tribali, tipici delle culture centroafricane, in chiave moderna, con gli strumenti che uso io di solito, i synth, le drum machine. Dopo di che ho cambiato direzione e ho iniziato una scrupolosa ricerca di sample, però non dall'Africa, tutt'altro. Sono andato in posti come la Siberia, la Mongolia, e ho campionato tantissimi suoni, anche da posti freddissimi, e poi li ho tradotti in musica africana. Prendi "Tayi Bebba": sul piano narrativo ed estetico c'è tantissima Africa, ma se conti i sample, di africani ne avrò utilizzato un paio e basta.

Fammi capire sei andato in quei posti facendo dell'appropriazione indebita di suoni?
(Ride) Più o meno. Il sample della prima canzone del disco ad esempio è un canto di traveler siberiani e anche l'acqua che senti in diversi pezzi viene dai laghi della Mongolia. Ed è assurda questa cosa se ci pensi, una persona appena sente un suono tribale lo collega all'Africa e non ad altri posti, ma in verità questa cultura "tribale" è un po' ovunque nel mondo.

Come ti sei approcciato a questa ricerca? Hai seguito metodi, studi di carattere etnomusicologico o ti sei fatto accompagnare dall'istinto?
Ho avuto un approccio molto istintivo. Io vengo dal jazz, e come tutti i jazzisti appena ho conosciuto Archie Shepp sono passato al free jazz, che è un suono che ha tanti legami col Maghreb, con l'Africa del Nord e la cultura mediorientale. Seguendo questo filo ho iniziato a scoprire miliardi di culture meravigliose e da quelle suggestioni è partita la mia ricerca.

Ma in Africa ci sei mai stato?
Sono stato in Senegal, a Tambacounda, che ho omaggiato con il titolo del mio primo ep, non perché ci siano suoni presi da lì, ma più per una sorta di affetto personale. Ho vissuto delle esperienze stupende, ho visto villaggi molto legati ancora alle tradizioni, dove le donne fanno braccialetti, disegni e vestiti che gli uomini vanno poi a vendere nelle zone ricche dell'Africa. E loro rimangono settimane nei villaggi a coltivare questa vita meravigliosa, stanno con i figli al sole, distese per terra, a raccontar le favole, a ridere, a scherzare. E poi ho visto tanti riti, tante processioni, che sono qualcosa di bellissimo, hanno una sinergia unica, senti proprio le radici della terra. Ti posso assicurare che il mal d'Africa esiste davvero, è come la saudade dei brasiliani ma all'ennesima potenza.

La tua musica ha un immaginario molto marcato, e se ci aggiungi anche questa ripetitività delle strutture sonore si fa presto a pensare (superficialmente) ad un cliché. Come ci si smarca da questa cosa?
È una bellissima domanda, perchè è proprio quello che ho sempre cercato di fare nella vita, da quando suonavo con il Trio Cane e gli A Smile For Timbuctu. Già da quei tempi quello che andavo a cercare era la singolarità del suono, poi come tutte le cose chiaramente prendi spunto o sfrutti l'onda che ha tirato fuori qualcun altro, ma devi essere sempre attento a non fare la copia di qualcosa che già esiste, non servirebbe a niente. Ad esempio, io mi ricordo quando scoppiò Flying Lotus, tutti iniziarono a fare beat molto simili ai suoi, e lui fece anche dei post evidenziando questa cosa. In quel caso l'influenza diventa una copia in carta carbone e finisci per perdere l'identità. Clap! Clap! invece è nato con un'identità molto personale, che non significa solo campionare un disco africano e metterci sotto un 808, che è molto rude e superficiale come cosa, ma è anche cercare di esprimere una storia, un messaggio, un concetto e farlo arrivare alle persone. Quando una persona sente una canzone deve riconoscere che sei tu, e con Clap! Clap! questa cosa capita molto spesso e sono felicissimo che sia così.

Quando ti sei accorto che il progetto stava diventando qualcosa di grosso, qualcosa di "universalmente riconosciuto" come importante?
Quando Ninja Tune ha nominato il mio Solid Steel Mix come migliore del 2014. Da quel momento è partito tutto, Gilles Peterson mi ha premiato ai Worldwide Awards, mi ha chiamato la Boiler Room, ho avuto collaborazioni con artisti molto importanti, da lì ho iniziato a pensare nitidamente che il lavoro stava andando bene. E poi la risposta della gente, ovunque, dalla Germania al Giappone, in quel momento pensi di aver trovato un equilibrio.

Cosa succede in una data di Clap! Clap! in giro per il mondo?
Dipende dai posti o dalle situazioni, a me piace tanto suonare e mi piace trasmettere alla dancefloor quello che sto facendo. Nei festival è totalmente diverso, da un lato ti senti quasi più distaccato, dall'altro ti torna indietro un feedback gigantesco e ti carichi ancora di più. In un club sei di fronte ad un'altra dimensione, stabilisci un contatto molto più diretto con il pubblico. In Giappone e Corea ho trovato questa dimensione amplificata all'ennesima potenza, la gente urlava, ma urlava veramente tanto credimi, e quello è stato molto sorprendente. Per il resto in Belgio e Olanda ho sempre bellissime risposte, così come a Londra, a Parigi, e in tutto il sud Europa.

In Italia ti sei trovato di fronte qualche situazione che ti ha stupito o meravigliato in positivo?
Il Mukanda Festival, a Vico del Gargano, è stato veramente fantastico. Una line-up meravigliosa, con Debruit, Paul White, DJ Khalab, che ha suscitato una risposta del pubblico incredibile, la gente saltava e urlava lungo tutto il corso del paese, con le anziane attaccate alle finestre fino alle due, prese benissimo. Difficilmente ho trovato esperienze più totalizzanti.

L'ultimo capitolo della storia si chiama "Simple", ed è nato assieme a tua figlia. Me lo racconti?
"Simple" è nato mentre ero in Sardegna. Abitavamo in una zona molto desertica, in Sardegna ci sono posti che hanno una potenza incredibile e nonostante tutto mantengono un meraviglioso equilibrio, e questa cosa mi ha portato a riflettere su tanti aspetti della vita. Poco prima di partorire la mia ragazza ha avuto dei problemi e siamo andati in ospedale per dei controlli e lì è stata ricoverata. Io ovviamente mi sono portato dietro tutto, tool, scheda audio, computer, mi sono costruito il mio angolino in ospedale e ho registrato tutto. Ho registrato ad esempio il battito del cuore di Greta, quando lo misuravano, la macchina addirittura aveva l'output, è venuto pulitissimo, a 135 bpm, poi l'ho filtrato e l'ho usato, così come tanti altri suoni che ho registrato. Infatti l'album suona molto omogeneo come pasta, proprio per quel motivo lì, è stato registrato tutto in dieci giorni e riflette una scarica di emozioni assurde, un movimento incredibile, tutto di pancia.

C'è una forte componente ludica in Clap! Clap! o sbaglio?
Sì, sempre, è il punto di trasmissione maggiore che ho quando sono a registrare. Ad esempio i pezzi che sono stati scartati dalla label per l'ep sono finiti in un cd che ho regalato a mia figlia. Lei ha un ep soltanto suo che quando sarà grande capirà e potrà condividere con chi vuole.

(La copertina dell'ultimo "Simple" EP)

Chi sono i produttori di oggi che ti fanno emozionare?
Chassol, assolutamente, è un produttore francese e fa un lavoro unico e meraviglioso. Ho suonato con lui a Bruxelles, ed è stato incredibile, perché non mi era mai successo in 34 anni di vedere un concerto e commuovermi, intendo proprio mettermi a piangere, e non ero nemmeno l'unico, questo ti fa capire a che livelli arriva, cosa riesce a fare. In pratica gira il mondo con una telecamera e va a filmare le cose che gli capitano, la sua vita, quello che trova interessante, persone sulla spiaggia intente a cantare, altre che piangono i loro cari. Lui registra tutte queste cose e poi ci suona sopra delle melodie incredibili, con il piano e un batterista dietro. È un live audio/video, ed è uno spettacolo, credimi.

Qual è la cosa che adesso vorresti fare, il prossimo obiettivo?
Ho iniziato a fare il produttore e mi piace tanto, sto lavorando a delle cose fighissime ma non posso dire ufficialmente nulla. E poi vorrei dare una forma al mio nuovo lavoro. Quello di Clap! Clap! è un percorso tutto in divenire sempre ricco di colpi di scena. Non ho ancora chiaro cosa mi aspetterà, ma muoio dalla voglia di scoprirlo.

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L'articolo Clap! Clap! - Del tribalismo e di tutto quello che ci circonda di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2015-12-02 17:06:00

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