Come nasce un disco di culto: l'intervista a Gigi Masin

"Wind" è diventato un disco di culto, e così il suo autore: due chiacchiere con il talentuosissimo Gigi Masin

Gigi_Masin
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È uno dei compositori italiani più importanti degli ultimi trent'anni, un nome di culto assoluto per appassionati e addetti ai lavori. Eppure Gigi Masin dice di aver iniziato la sua carriera quasi per gioco, provando a sperimentare su un sintetizzatore usato e dando alla luce “Wind”, il suo primo disco, di cui è stata da poco pubblicata la ristampa. Ci ha raccontato la sua carriera, dalle frequentazioni nelle radio libere degli anni '70 alle storie di library music, dalla scelta di non emigrare a com'è scoprire i propri pezzi campionati, tra gli altri, da gente come Björk.

Una delle cose che colpisce leggendo la tua biografia è l'elemento multidisciplinare della tua carriera artistica: hai lavorato per la televisione, per il teatro e per la radio. Fra l'altro hai cominciato proprio con quest'ultima, nella stagione delle radio libere degli anni '70.
Sì, tieni conto che l'idea di trasmettere in radio era il mio sogno fin dai dodici anni. Mi avevano regalato un apparecchio radiofonico e avevo scoperto che la sera si potevano sentire le onde medie delle trasmissioni da stazioni più lontane, dato che la notte le frequenze viaggiano meglio. Ho cominciato quindi molto presto ad ascoltare Radio Lussemburgo che proprio la notte passava delle cose estremamente interessanti, jazz, folk, ecc. Con questi ascolti sono cresciuto non solo conoscendo un sacco di musica che non potevi trovare facilmente su disco, ma anche con il tarlo di voler diventare da grande uno speaker radiofonico. Fatalità, come sai nella metà degli anni '70 in Italia sono nate le prime radio libere con tutto il movimento politico connesso e io sono saltato subito sul carro e, caso molto fortunato, ho cominciato presto in radio che avevano un bel seguito. Facendo programmi serali potevo quindi mettere delle cose particolari ma come immaginerai reperire materiale nei negozi era un'impresa disperata. Alle volte toccava comperare a scatola chiusa nella speranza che ti andasse bene, non te lo nascondo! Questa attività è andata avanti per un po' di anni ma come sai in Italia le leggi spesso cambiano modificando il corso delle cose, per cui negli anni '80 si è capito presto che trasmettere in radio non sarebbe mai stata più una professione, se non per pochi eletti, per cui sono passato ad interessarmi al teatro. Considera poi che ascoltare musicisti contemporanei come Ligeti o Penderecki mi aveva completamente sbarellato e avrei rischiato di passare in radio cose un pochino troppo pesanti per gli standard di allora, anche se per diversi anni ho continuato a trasmettere ma non più con l'intensità di prima. Così ho cominciato a dedicarmi alla composizione per il teatro e poi pian piano anche per documentari, ho lavorato anche per la Rai... È stato un momento molto bello della mia vita.

Tu hai una formazione musicale tradizionale?
No, completamente autodidatta in ogni cosa che so fare. Non riesco a stare seduto ad un tavolo e a studiare, sono un vagabondo nell'approcciarmi alle cose. Mia moglie mi definisce un “orso di bosco”.

Come sei arrivato al tuo primo disco, “Wind”?
Scrivere musica per altri aveva fatto crescere in me la voglia di scrivere un album tutto mio. Negli anni '80 dedicarsi ad un album in proprio era davvero una sfida epocale, se pensiamo ai giorni nostri. Si è trattato davvero di una conquista ardua.

Ti meraviglia il fatto che sia diventato un disco di culto tra gli appassionati del genere?
Io lo dico sempre, per me è immeritato, nel senso che io avevo in gioventù questa voglia di fare un disco tutto mio ma senza nessuna velleità, senza nessuna idea di proseguire... Siccome mi avevano regalato un piccolo sintetizzatore usato ma in ottime condizioni, mi ero cimentato nel suonarlo scoprendo un mondo molto personale, per cui “Wind” è il risultato di questi esperimenti. Mi viene da dire quindi che sia più onesto che bello. Però anche quando è uscito ha suscitato interesse, nonostante la prima edizione fosse libera, nel senso che io non ho venduto una singola copia: lo regalavo agli amici e a chi me lo chiedeva. Pensa che mi scrivevano o suonavano il campanello di casa mia per avere una copia! È stato un momento molto bello che si è poi diradato nel tempo. Questa seconda edizione io l'ho voluta perché ho visto i prezzi del disco usato e li ho trovati personalmente indecenti, quindi ho trovato il modo giusto di ripubblicarlo con un distributore che mi garantisse, senza esagerare, una distribuzione sufficientemente ampia.

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I riscontri che hai avuto all'epoca per quel disco ti hanno dunque spinto a proseguire?
Sì, ho cominciato ad intessere delle collaborazioni con etichette come la Sub Rosa di Bruxelles e con altri musicisti e così ho proseguito con la pubblicazione di altri lavori. Ci sono stati anche periodi della mia vita in cui mi sono dedicato solo a lavori su commissione per documentari e altro...

Visto che prima si parlava di collezionismo a proposito del tuo disco, mi viene in mente tutto il filone della library music che consta di appassionati, di uscite ricercatissime e di compositori sconosciuti o persino anonimi. Ti sei mai interessato a quel mondo, data anche la tua attività di sonorizzazione?
Sì, soprattutto per quello che riguarda la nostra nazione, dove questo genere di attività è stato spesso mal visto perché considerato poco serio... Ci sono grandissimi compositori e direttori d'orchestra come ad esempio Annunzio Paolo Mantovani che hanno scritto cose molto interessanti al di fuori dell'ambito accademico. Molti di questi musicisti sono stati riscoperti proprio grazie ai collezionisti, spesso ragazzi che comperavano raccolte contenenti musiche per film e che da lì cominciavano un percorso di studio e di riutilizzo di quelle composizioni.

Ennio Morricone ha sempre sofferto il fatto di essere più conosciuto per il proprio lavoro in ambito cinematografico che per quello accademico. Nel suo discorso durante la cerimonia degli Oscar lo disse chiaramente...
Sai, io credo che ognuno di noi stia in un sistema o comunque appartenga a delle categorie. Io non mi illudo di vivere in un paese aperto, però sono convinto che ognuno debba continuare a perseguire quello che fa e a trovare gioia in quello che fa, anche se non è sempre possibile o facile. Se tu ti crei una tua disciplina del fare soffri meno per ciò che ti succede attorno. Mi immagino che un talento come il suo possa aver sofferto per aver messo per così tanto tempo delle capacità indiscutibili al servizio di film infimi... perché diciamocelo che spesso Morricone ha lavorato a dei filmacci spaventosi! Certo, fare quelle cose non sarà il massimo dell'aspirazione, però viviamocela... Io non vivo in paradisi artificiali: so che lavoro e vivo in un paese non facile come mentalità ma sono felice delle cose che faccio, sono felice di girarlo con la mia musica.

Tu hai sempre vissuto a Venezia, la tua città d'origine?
Sì, non riesco a staccarmene. Ora vivo sulla terraferma per via della mia famiglia e del lavoro, però non riesco a starne troppo lontano. E guarda caso, quando giro mi trovo bene in città dove c'è tanta acqua, come Amburgo... ripeto, fare quello che faccio nel mio paese mi fa stare bene e non credo che emigrare sia necessario per essere considerato in quello che fai. Alle volte può essere una scusa, alle volte è vero. Non disprezzo l'Italia, nonostante ne abbia fatte passare tante anche a me.

Tornando alle collaborazioni che hai intessuto nel tempo, ti andrebbe di raccontare quali ti sono più care? Io personalmente ho trovato molto bello “Hoshi”, l'abum scritto a sei mani insieme ai Tempelhof.
Mi fa molto piacere che tu abbia nominato i Tempelhof perché Paolo e Luciano a mio avviso dovrebbero essere un orgoglio italiano. Sono dei grandissimi musicisti e collaborare con loro è di una facilità e di una piacevolezza rare: quel disco è nato in maniera molto spontanea e direi anche in poco tempo. Stiamo lavorando ad un nuovo disco, forse più intimo come sonorità, che speriamo di far uscire all'inizio del 2016. Stiamo anche pensando di suonare dal vivo insieme. Comunque io mi onoro di conoscerli, ammiro la loro passionalità e la loro libertà nel comporre. Fra le altre collaborazioni sono molto contento di aver recuperato i contatti con Alessandro Pizzin e Alessandro Monti con i quali avevo realizzato l'album “The Wind Collector” nel 1991. Stiamo pensando di ristamparlo con degli inediti. È anche quasi sicuro che nella primavera dell'anno prossimo ci sia un altro episodio del progetto Gaussian Curve con Jonny Nash e Marco Sterk. L'anno prossimo sarà insomma un anno molto intenso, per questo ho deciso di prendermi un paio di mesi di tranquillità, sennò la famiglia non mi farà più entrare in casa...

Si parlava prima di music library e di come molto di quel repertorio sia stato saccheggiato per la creazione di altre musiche. Anche tu sei finito nella lista dei musicisti campionati da altri: ti va di approfondire il discorso su Björk, che ha usato la tua “Clouds” per “It's In Our Hands”?
Sì, io sono stato campionato in più di una occasione. Mi dà molta soddisfazione sapere che ci sono diversi ragazzi che hanno usato la mia musica per produzioni casalinghe che poi hanno postato su Soundcloud o su Youtube. Trovo fantastico che persone giovani siano interessate a quello che ho fatto in passato. Diverso invece è il discorso relativo ai grandi nomi con i quali hai veramente la sensazione di stare al mercato della frutta, dove ogni cosa ha un valore economico e tocchi con mano il significato dell'espressione "industria discografica". Per carità, fa clamore, fa parlare di sé, e va benissimo. Nel caso di Björk la cosa è andata così: alla fine degli anni '90 un amico che vive a Londra aveva scoperto che i tedeschi To Rococo Rot avevano campionato per ben 9 minuti una mia composizione. Io li avevo contattati senza intenzioni minacciose ma solo per fargli notare la loro scorrettezza artistica e soprattutto umana. Ci eravamo lasciati dunque in maniera abbastanza fredda, ognuno sulle proprie posizioni. Dopo un anno vengo ricontattato da loro in maniera molto amichevole, cosa già piuttosto sospetta, perché desideravano che io siglassi un accordo per il quale il campione che avevano usato era una loro creazione, e non mia. Io ovviamente non potevo crederci, così ho cercato di capire le loro motivazioni e ho fatto finta di stare al gioco: è venuto fuori che erano stati contattati da un'artista di primo piano per fare un disco e una lunga serie di concerti. L'artista in questione era proprio Björk. Nel giro di un'ora ho preso una copia di quel disco che loro avevano campionato e l'ho spedito alla casa discografica di Björk. Non ci è voluto molto perché si accorgessero a chi effettivamente appartenesse la musica della quale i To Rococo Rot reclamavano la paternità. Il risultato è stato che in tournée con Björk ci sono andati i Matmos. E la vendetta in quel caso è stata più che sufficiente.

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L'articolo Come nasce un disco di culto: l'intervista a Gigi Masin di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2015-10-05 18:34:00

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