L'intervista ad Alex Infascelli, regista di "Un po' esageri" dei Verdena

È uscito oggi il primo video estratto dal nuovo doppio album dei Verdena, "Un po' esageri". Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il regista Alex Infascelli per farci raccontare l'ispirazione dietro il video, e per sapere il suo parere sullo stato dei videoclip in Italia, nel 2015.

"Un po' esageri"; il nuovo video dei Verdena
"Un po' esageri"; il nuovo video dei Verdena

È uscito oggi il primo video estratto dal nuovo doppio album dei Verdena "Endkadenz"; un videoclip particolare e realizzato con delle tute verdi sulle quali sono state proiettate le facce degli stessi componenti della band. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il regista Alex Infascelli per farci raccontare l'ispirazione dietro il video, e per sapere il suo parere sullo stato dei videoclip in Italia, nel 2015.


Qual è l'idea alla base del video di "Un po' esageri"?

I Verdena sono una band che necessita di una performance nei loro video. Sono talmente fisici nel suonare che se davvero vuoi rappresentare questo loro modo molto personale di vivere la musica le possibilità, a mio avviso, sono due: o si fa un video senza di loro dove si va raccontare tutt'altro; oppure, come ho fatto per il video di “Phantastica”, ti concentri lavorando molto sulla loro persona e sulla loro fisicità, magari giocando con una trasformazione. A differenza delle canzoni di “Wow” - che era un album molto cerebrale e pieno di suggestioni acustiche - con questo nuovo singolo sono tornati a qualcosa di veramente elettrico e potente, quindi sentivo di doverli riprendere mentre suonavano.

Più nello specifico, nel video che succede?
La band indossa una tuta verde sulla quale io posso proiettare di tutto. Inizialmente avevo pensato di proiettare cose diverse, poi ho provato a proiettare loro stessi e l'effetto è stato molto forte. Ho giocato con un cambio di prospettiva e di dimensione, un po' alla Michel Gondry. In più, fighissimo, sono riuscito a far fare ad Alberto un playback puro, in primo piano, tipo i video tradizionali. Non è certo nel mio stile ma gli ho chiesto di provarci e lui ha giocato ad interpretare sé stesso. Il risulto è molto bello.

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Prima parlavi dell'altro video dei Verdena girato da te, “Phantastica”. Le scimmie in quel caso cosa rappresentavano?
A differenza della maggior parte degli artisti italiani, i Verdena hanno raggiunto il successo prima dei trent'anni: l'ho sempre percepita come una tale novità in questo paese che quando mi hanno proposto di fare un video, l'ho sottolineata rappresentandoli come degli uomini primordiali, puri, incontrollabili. Se io definivo il musicista trentacinquenne Homo Sapiens, loro erano Neanderthal. Erano lo stadio precedente, l'istinto puro.

Sembra che non ti interessi molto raccontare storie, anche se le poche volte che l'hai fatto –prendi “Gino e l'alfetta” di Daniele Silvestri – ti è venuto molto bene.
Quello è uno dei video miei che amo di più, mi fa piacere che tu dica così. Ogni volta cerco di fare quello che mi sento. Potresti fare una domanda simile ad un musicista e chiedergli perché dopo un album con violini e chitarre acustiche poi è passato ai chitarroni. Il mio approccio è simile, ho i miei percorsi di ricerca: capita che un video mi venga commissionato in un momento in cui sto sperimentando determinate cose e allora sfrutto quel video per provare le mie idee. Adesso sto lavorando tantissimo con la rielaborazione di immagini preesistenti, l'ho fatto con i BSBE, l'ho fatto nel video dei Linea 77 che vedrai a giorni, inizialmente lo volevo fare anche con i Verdena ma poi ho cambiato strategia. Va detto, però, che io considero il videoclip come una forma d'arte morta. Non so se capisci che intendo...

Meglio se me lo spieghi.
Il concetto di promuovere una canzone tramite un videoclip.... Il videoclip come medium è decisamente invecchiato, non ha proprio più senso. Un tempo esisteva un palcoscenico, che era MTV e aveva un pubblico ben identificabile e attento alle novità. Se usciva un video di Madonna, o anche di Ligabue o Vasco, era un evento su cui veniva creata un'attesa: te l'annunciavano settimane prima, creavano il dovuto hype e tu smaniavi dalla voglia di vederlo. Questa cosa è venuta meno con l'avvento di internet e, parallelamente, anche il concetto di videoclip è diventato vecchio. Un video di oggi sta ad uno di 10-15 anni fa come un musicarello sta ad un videoclip degli '80.

Però di video belli ne escono ancora, prendi l'ultimo di Colapesce.
Che ci siano dei bei video in giro è indubbio. Il mio interesse è spiegarti come il videoclip abbia affrontato un cambiamento fondamentale negli ultimi quindici anni. Ti faccio un altro esempio: il paragone è lo stesso tra uno spot tradizionale e una pubblicità virale in rete. Perché sono cambiate le cose: come non esiste più la lunghezza standard di tre minuti e mezzo per un brano in radio, non ha più senso lo spot televisivo che finisce con il prodotto in bella vista e il claim che ti ricorda di comprarlo. Oggi la pubblicità deve essere una follia virale e magari non è manco più legata al prodotto. C'è tutto un discorso, a mio avviso molto interessante, su quello che può essere lo spostamento laterale del marketing rispetto al prodotto.

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Concentriamoci sui videoclip: quindi, a tuo avviso, oggi ne esistono pochi che rappresentino l'equivalente della pubblicità virale.
Esatto, a mio avviso oggi c'è una necessità assoluta di sperimentare. Perché il videoclip originariamente è nato dalla sperimentazione, se diventa un format immediatamente muore. Se diventa una formula che si ripete, per quanto eccentrica possa essere, muore. Siamo pieni di video carini e interessanti ma il più delle volte rivisitano cose già fatte in passato.

Ci siamo.
Premessa fatta. Per evitare, però, di fare una ricerca stupida e fine a sé stessa - come fare una pubblicità che va su Italia Uno ma che non vuole vendere nessun prodotto – bisogna seguire quello che è lo stilema di un video tradizionale ma facendo ipersperimentazione. L'unico modo oggi per essere onesti e dare un senso autoriale al gesto di fare un video è quello di essere assolutamente on the edge, al limite.

Non ci siamo più. Ti contraddici perché se per te non ha senso fare i bastian contrari – e posso anche capirlo - non mi puoi parlare di ipersperimentazione.
Bravo, la contraddizione c'è ma va letta in questo modo: nel momento in cui devo fare un videoclip rimango nello stilema classico del cantante che canta e del batterista che suona, ma all'interno di un sistema così semplice io gioco creando qualcosa di nuovo.

Una domanda che forse dovevo farti per prima è: ma è te piace girare videoclip? In realtà non ne hai mai fatti tantissimi, al massimo un paio all'anno.
A me piace molto girare videoclip. Mi piace quando sento che posso lavorare con artisti con i quali ho un rapporto paritario e dove posso mettermi al servizio delle musica. È la sintonia di due persone che che uniscono le loro forze per creare una terza via attorno alla canzone. Questa cosa mi è successa con i Bud Spencer, con i Verdena, ma anche con Battiato per dire.

Mentre con altri questa sintonia non è scattata?
Con altri non è necessariamente scattata o sarebbe meglio dire che nel corso degli anni ho anche accettato determinate cose. Ad esempio, ho lavorato con Ligabue nei '90 per il video di “Cerca nel cuore”: per l'epoca era un video assolutamente sperimentale, era un video senza Ligabue, con tanta gente diversa che cantava, sembrava un video dei Talking Heads. Quando siamo tornati a lavorare insieme nel 2000 mi sono reso conto che non era più possibile fare come avrei desiderato: sia la gente che lavorava per lui, sia Ligabue stesso, si erano abituati a delle formule assolutamente standard e l'effetto finale è stato decisamente distante da quello che volevo. Pian piano mi sono allontanato dal mainstream, c'è stata una decadenza negli anni che ha portato ad azzerare ogni spinta creativa. Oggi un cantante che potremmo identificare come il corrispettivo del Luca Carboni nel '95, quando io feci il video di “Inno Nazionale”, non farebbe mai un video come “Inno Nazionale”.

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In alcuni video di Tiziano Ferro trovi delle sfumature ansiogeno/disturbanti che sono anomale per il pop da classifica, no?
Sì, ma rimangono sempre video molto patinati. L'unico che fa dei video che mi fanno venire la voglia di lavorarci insieme è Lorenzo Jovanotti. Lui rimane uno sperimentatore capace ancora di mettersi in discussione. Chapeau.

Prima dicevi di metterti a disposizione della musica.
Faccio in modo che chi guarda il video veda un'esperienza autoriale, ovvero il lavoro di una persona che cerca un senso o un immaginario che non deriva necessariamente dalla canzone.

A volte sembra che te non ne freghi proprio dell'immaginario della canzone. Ad esempio, nel video che hai fatto per i Cross My Heart Hope To Die inserisci addirittura dei dialoghi in italiano, e loro sono americani.
È quello che considero una collaborazione paritaria. È lo stesso discorso fatto con i Bud Spencer: nel primo video c'era questa clownessa che ballava nuda davanti ad una luce strobo, l'ultimo invece l'ho fatto montando roba che ho trovato su YouTube. Come ti dicevo, ultimamente mi sto concentrando sulla rielaborazione di immagini preesistenti.

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Sembri anche affascinato dalla luce: spesso nei tuoi video ci sono flash che abbagliano, scariche elettriche, etc..
Be', la luce è la cosa che racconta di più. In “Phantastica”, ad esempio, il fatto che i Verdena fossero illuminati da questi enormi proiettori fermi li rendeva molto crudi e sottolineava il loro essere primordiali. In quest'ultimo invece ho utilizzato la luce naturale.

Qual è l'errore più frequente che vedi nei videoclip italiani?
(lunga pausa, NdA) È quello di avere paura, è cercare di voler gratificare un ipotetico pubblico senza avere, in realtà, quella libertà che ha l'arte. Se il video è vissuto ancora come un elemento di marketing è ovvio che ricadi in un ragionamento di questo tipo, se invece te ne liberi allora il video diventa una cosa a sé. Il paradosso è questo, ed è una cosa solo italiana: più l'artista raggiunge vette di vendita importanti più si uniforma. Normalmente se un artista diventa grande conquista la libertà di fare cosa vuole e spesso la usa per sperimentare cose più estreme. Prendi Madonna: per tutta la sua carriera ha sempre alzato l'asticella del limite; in Italia succede l'esatto contrario.

E secondo te perché?
Credo sia insito nel nostro dna: quando un artista italiano, di ogni tipo, raggiunge un plateau che gli garantirebbe massima libertà viene addomesticato dal suo stesso successo. È come se non fosse in grado di gestirlo e allora non rischia più. L'eccezione che conferma la regola è Lorenzo: è uno che ha fatto tesoro del suo potere conquistato negli anni e adesso lo usa portando dal vivo spettacoli sempre davvero interessanti. Ha le palle quadrate, se invece vai a vedere in un palazzetto uno dei tanti big della musica italiana ti sembra un concerto fatto nell'86.

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Dobbiamo chiudere. Mi dici due video davvero rivoluzionari usciti ultimamente?
Quello dei Die Antwoord fatto da Harmony Korine. E poi Spoek Mathambo, il suo video è girato da un fotografo geniale, Pieter Ugo: dal punto di vista visivo non ha niente di speciale, ricorda anche dei video dei New Order. C'è qualcosa di antico però è super, lavora non tanto sulla forma ma su una sostanza molto nuova, pura, non filtrata. Mentre quello dei Die Antwoord è un capolavoro, è come dovrebbe essere un video oggi.

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L'articolo L'intervista ad Alex Infascelli, regista di "Un po' esageri" dei Verdena di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2015-01-22 11:32:00

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