Mauro Pagani ed Educazione Siberiana, come si scrive una colonna sonora

Intervista a Mauro Pagani, autore della colonna sonora di Educazione Siberiana, il nuovo film di Gabriele Salvatores

Intervista a Mauro Pagani, autore della colonna sonora di Educazione Siberiana, il nuovo film di Gabriele Salvatores
Intervista a Mauro Pagani, autore della colonna sonora di Educazione Siberiana, il nuovo film di Gabriele Salvatores

'Educazione Siberiana' è il nuovo film di Gabriele Salvatores, in sala dal 28 febbraio. Tratto dal libro omonimo di Nicolai Lilin, racconta la formazione e la crescita di due ragazzi all'interno di una comunità criminale di origine siberiana. Storie di onore, rispetto, codici secolari messi alla prova del tempo e di un mondo in cambiamento, quello dell'Unione Sovietica in disfacimento. Accanto ai due giovani protagonisti, un enorme John Malkovich, che interpreta l'anziano della comunità. La colonna sonora è firmata da Mauro Pagani, che lavora per la quarta volta con Salvatores dopo "Sogno di una notte d'estate", "Puerto Escondido" e "Nirvana". In occasione della presentazione del film, Marco Villa gli ha fatto qualche domanda.


Come si scrive una colonna sonora?
La prima cosa da dire è che si gioca a ping pong su un sentiero che qualcun'altro ha tracciato. Si è spesso complici, ma a volte si subisce questo sentiero. Ovviamente il tracciato e il colore sono scelti da chi ha girato e dal modo in cui ha girato. "Educazione Siberiana" è un caso esemplare: siamo partiti per tempo e sia io che Gabriele Salvatores siamo partiti leggendo il romanzo di Nicolai Lilin. Letto il romanzo, io sono venuto a contatto con la prima sceneggiatura, che è già un modo diverso di disporre gli oggetti che stanno dentro alla storia. Poi c'è stata una seconda sceneggiatura e mano mano inizi a vedere le prime scene girate che ti arrivano. E a ogni passaggio il film che ti eri costruito nella tua testa si modifica. Tu leggi il romanzo e ti immagini un tuo passo narrativo per la storia, una velocità espressiva che è tutta tua e a volte è corretta, a volte no. Ti immagini anche dei colori. Spesso quando non hai le immagini e pensi a cosa si potrebbe vedere, pensi a dei colori molto forti, perché dentro di te risuonano molto, poi quando vedi le immagini scopri che sono troppo forti. Altre volte, invece, succede l'esatto contrario. Tutto il lavoro è adattare quello che ti è venuto in mente al passo narrativo reale.

In che modo ci si adatta?
Ad esempio, tu immaginavi certe facce e poi ne arrivano altre. Alcune hanno bisogno di essere aiutate, altre sono forti abbastanza e magari devono essere smorzate. È difficile pensare di dover aiutare un personaggio come quello interpretato da John Malkovich in "Educazione Siberiana". Al limite devi tenerlo a bada, perché è una presenza enorme, che riempie lo schermo. Il difficile è riuscire a capire quanto devi essere romantico se la storia è romantica, quanto devi essere duro se la storia è dura, però ogni volta è un caso a sé. Arrivi, vedi la scena e devi imparare a dosarti. È il bello e il brutto di essere l'ultimo a intervenire su una scena che poi non si può rigirare. Se la scena è venuta troppo cruda, tocca a te stemperare. Se la scena è venuta poco cruda, tocca a te spingere. Sei un po' Mr. Wolf. Arrivi e risolvi i problemi (ride, NdR). La cosa bella è che insieme al regista si impara a costruire lo spessore dell'aria che circonda e intride il film, lavorando soprattutto sul non detto e sul non visto, sui sentimenti nascosti del film.



Quali sono i sentimenti nascosti di "Educazione Siberiana"?
"Educazione Siberiana" è un film di sentimenti non espressi fino in fondo. I personaggi si amano, ma non succede nulla. Sono ragazzini, ma non hanno un'adolescenza vera e propria, perché sono messi di fronte da subito a una realtà molto cruda. La affrontano in maniera molto giocosa, ma la regola siberiana e l'impatto con la realtà economica, che li obbliga a guadagnarsi da vivere, è qualcosa con cui hanno a che fare fin da subito. Con Gabriele abbiamo deciso di far emergere la dimensione del sogno, della voglia e della capacità di sognare, della nostalgia per un mondo che i protagonisti non hanno visto. Ad esempio, la Siberia viene nominata ma non si vede mai. Quindi la Siberia è un ricordo diverso per il personaggio di Malkovich e quelli dei ragazzi. Per loro è la regola, il codice che il nonno gli insegna, ma non godono delle pianure sterminate o dei vantaggi del vivere alla siberiana.

Come ti sei avvicinato a questo mondo siberiano citato, ma mai mostrato nel film?
La quantità di "siberiano" che c'era nella musica era da dosare: non aveva senso spingere troppo in quella direzione. Inizialmente ce n'era molta di più, c'era più musica mongola, che è una delle ossature della cultura musicale di quelle zone, visto che l'impero mongolo ha condizionato le fonti culturali di quella zona per tantissimi anni. A volte abbiamo puntato su quello e ci siamo accorti che era troppo, perché in realtà sono ragazzini, non hanno in mano lance per cacciare foche. Sono ragazzini con il coltello che mangiano pane e salsiccia e vivono su una piazza di cemento.

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Qual era il rischio più grosso?
Il rischio era sovraccolorare tutto. Banalizzarlo con le figurine, andare sullo stereotipo. Da questo punto di vista è un film molto riuscito perché è involontariamente crudo. È la vita che è cruda. Quello che viene raccontato è la realtà, non c'è compiacimento nel soldato che spara a un nemico ferito a terra. Gli spara, punto. È la realtà, è così. È un film fatto di sentimenti che arrivano piano piano. È come se i sentimenti non te li potessi permettere. Come se fossero un lusso.

È la quarta volta che lavori con Salvatores, dopo "Sogno di una notte d'estate", "Puerto Escondido" e "Nirvana". Negli altri film c'era sempre un legame con qualcosa di vostro, in questo caso si parla di ambienti e storie lontanissime. C'è stata qualche differenza rispetto al passato in questo senso, anche nel rapporto con Salvatores, visto che lavoravate a qualcosa che non è tuo, né suo?
Da un certo punto di vista sì, ma credo che Milano sia un posto che ti abitua a occuparti d'altro. È una città fatta di gente che viene qui e porta cultura e sogni di altre parti. E qui c'è un modo milanese di viverli. Si sogna il mare, ma il mare non c'è. Si sognano i viaggi, ma rimane una città chiusa. Si vivono sentimenti forti, ma i cortili sono chiusi: la bellezza delle case sta all'interno, non è fuori. È una città che ti dà un'educazione sentimentale che in qualche modo accomuna chi ci vive, soprattutto se si parla di persone che hanno vissuto qui quando c'era una capacità di sognare molto forte, ovvero negli anni Settanta. Non è un caso che Gabriele sia il regista del viaggio. In fondo anche "Educazione Siberiana" è un viaggio e di nuovo è un film di nostalgia per qualcosa che non c'è.

Per chiudere cambierei discorso. Poche settimane fa eri a Sanremo come direttore musicale e da 15 anni hai fondato Officine Meccaniche a Milano, che da tempo è uno degli studi più ambiti dove registrare. Hai trovato delle differenze tra questi due mondi?
La cosa che più mi è mancata a Sanremo è lo spazio per i giovani, ma perché era così nel regolamento. Solo otto giovani, di cui sei (su trecento) scelti da noi e due provenienti da Area Sanremo. Di questi otto, quattro hanno cantato la loro canzone solo una volta, poi sono stati eliminati. È troppo poco. Se dovessi pensare a un possibile sviluppo di Sanremo è cambiare la formula dei giovani per dare loro più spazio. Non possiamo lasciare ai talent show la responsabilità di lanciare i giovani, perché i talent show non lanciano cantautori, lanciano interpreti e se riduciamo di nuovo l'industria agli interpreti siamo finiti.

Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un'intervista a Taketo Gohara e lui è molto ottimista sulla situazione delle musica italiana. Tu cosa ne pensi?
Abbiamo avuto un periodo non esaltante, ma secondo me ora c'è molto. E noi dobbiamo aiutare i ragazzi a essere sempre più indipendenti e a tirare fuori la loro identità. L'unica cosa che ti permetterà di vivere una vita da musicista... una vita, non una parentesi, è un'identità forte e qualcosa da dire. Quindi bisogna permettere a questi ragazzi di lavorare, di avere spazi, di trovare risorse per fare i dischi, perché ormai si parla di sopravvivenza, non di ricchezza. Dobbiamo trovare spazi per loro, altrimenti è finita. Non si può andare avanti tutta la vita con De André e Pagani. Che palle, no?

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L'articolo Mauro Pagani ed Educazione Siberiana, come si scrive una colonna sonora di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2013-03-04 11:31:19

COMMENTI (1)

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  • Ur-Fascista11 anni faRispondi

    cos'è, siamo in pieno fervore a 5 stelle?