Paura e delirio con Metal Carter

L'horror core, il nuovo album "Dimensione e violenza" e tutto il mondo di Metal Carter. L'intervista.

L'horror core, il nuovo album "Dimensione e violenza" e tutto il mondo di Metal Carter. L'intervista.
L'horror core, il nuovo album "Dimensione e violenza" e tutto il mondo di Metal Carter. L'intervista.

Lo si incontra in un noto studio di tatuaggi nei pressi di Centocelle, ci si sposta in un bar e si resta lì un'ora buona a chiacchierare. Lui parte dal rapporto con i suoi fan per finire sul rap italiano in generale. Ovviamente ci parla dell'ultimo mixtape "Master of pain", ci racconta in anteprima il nuovo album, "Dimensione violenza", e di tutto l'immaginario horror core che ne consegue. Maria Claudia Nuccetelli e Giovanni Caiati hanno intervistato Metal Carter.

Partiamo dall'uscita del tuo ultimo mixtape “Master of pain”, l'hai presentato poco tempo fa in un instore qui a Roma. Come è andata?
Questo instore non era neanche previsto. Lo abbiamo fatto da Graff Dream che è un negozio importante per chi sta nel mondo dell’hip-hop: è un punto di riferimento per tanta gente e per il merchandising. Abbiamo fatto pubblicità 4-5 giorni prima, la gente è venuta. "Master of pain" è un mixtape (numerato a mano e autografato) che ho fatto missare da Santo Trafficante che è un esperto di rap americano. Si acquista unicamente sul mio sito. Sono molto soddisfatto del prodotto e di come abbiamo fatto insieme la selezione delle tracce. I pezzi sono unicamente miei, partono dal 2003 e arrivano al 2013: dieci anni di rap in 80 minuti.

Come è stato il tuo approccio con i fan?
I fan hanno molto apprezzato. Con loro ho un rapporto paritario, a parte quando sono maleducati. Diciamo che se mi dimostrano rispetto e stima non nego mai una foto. Anzi, li fomento per sostenere me e la crew. 

Stai lavorando  al nuovo album, “Dimensione violenza”, ce lo racconti?
“Dimensione violenza” avrà dei testi estremi, molto più aggressivi del solito. I beat saranno duri ma non troppo: non volevo appesantire i testi con la musica. Le basi saranno un compromesso tra la golden age dell’hip hop americano e la scena italiana anni '90 . Il tutto miscelato con dei beat un po’ più moderni ed attuali.

Sarà pubblicato dalla storica Mandibola Records, come sei entrato in contatto con loro?
L’etichetta l’ho conosciuta attraverso Ice One, che saluto e ringrazio. Loro hanno stampato l’album di due miei amici, Fez Darko e Denay, ottimi rappers e ottime persone. E’ una etichetta storica, ha pubblicato “Fight Da Faida” di Frankie Hi-nrg nel 1991. Attraverso Ice One ho fatto sentire i provini e alla fine ho firmato per loro. Mi sono trovato bene, li sono anche andati a trovare a Bologna. Sono molto ben organizzati, tutte persone oneste, educate e gentili.

Ok. Ora vorrei tornare un po’ alle origini di Metal Carter.
Vai.

Come nasce la tua passione per il rap?
Guarda, il rap l’ho conosciuto da adolescente, però lo seguivo poco. Il mio primo amore musicale è stato il metal. Dai 12 fino ai 16 anni infatti ho suonato la batteria in vari gruppi metal. Devo dire che alla fine in quegli anni ascoltavo pure dei dischi rap, soprattutto i Public Enemy. A 16 anni ho conosciuto il Kimo (noto studio di tatuaggi romano, NdR) e più o meno a quell’età mi sono appassionato di più, anche perché frequentavo ogni sera degli Mc romani. Quindi, più che altro, questa passione è venuta proprio perché frequentavo “gli addetti ai lavori”, condividendo con loro opinioni e un pezzo di vita. Ovviamente anche frequentando le serate rap di quell’epoca. Poi molti di noi del TruceKlan erano writers abbastanza conosciuti...

...com’è fare i live adesso e com’era farli dieci anni fa?
Ai live l’atmosfera era molto diversa rispetto ad adesso. Prima andare ad un concerto hip hop era quasi come ad andare ad un concerto punk, perché i live si facevano quasi esclusivamente nei centri sociali. Le persone erano sempre le stesse. Chi rappava sul palco, il 70% del pubblico lo conosceva di persona. Quindi era quasi una festa tra amici. Adesso è un’altra cosa. La gente giustamente paga un biglietto e quindi vuole uno show come si deve. Certi eccessi che c’erano prima, tipo persone che salivano sul palco ubriache, non si presentano più… A parte qualche personaggio tipico, a cui viene concesso proprio perché è tipico. Ad ogni modo, oggi l’importante è rendere bene lo show, ognuno trova il suo metodo. Se ti bevi una bottiglia di whisky e dopo riesci a rappare bene puoi farlo. L’importante è dare ai fan quello che si aspettano, giustamente.

Se potessi spiegare il rap in tre parole?
Allora direi: libertà di parola, rivalsa e individualismo.

Una tua opinione di questi dieci anni di Truceklan?
Diciamo che il 2008 è stato l’anno del picco: è uscito “Ministero dell’Inferno” e il mio album “Vendetta privata”. Poi era uscito da poco “Verano zombie”, di Noyz Narcos. Abbiamo avuto un grosso seguito, la gente era veramente esaltata, a livelli esagerati! Adesso giustamente ci sono anche altri klan che vanno forte. Noi abbiamo sempre i nostri fan che rimangono molto fedeli alla crew.

Prima dicevi "individualismo", come lo coniughi con l'idea di gruppo, di crew?
Il rap in generale è una cosa molto egocentrica, altrimenti non faresti rap. Sei tu con una base e con un microfono dici una marea di parole e di concetti con la tua voce e la gente ascolta. Forse è il genere più egocentrico in assoluto. D’altro canto, il gruppo è importante perché siamo tutti diversi e ognuno mette del suo. Poi noi abbiamo puntato molto su questa cosa della crew. Adesso, avendo tutti più di trent’anni, ognuno si fa un po’ di più i cazzi suoi, non ci vediamo più tanto come prima. Ognuno ha il proprio percorso da solista. A volte capita pure che non tutti siano d’accordo su certe cose, non è sempre facile gestire una crew. Ci stanno dei momenti che ci sentiamo più affiatati, altri meno. Però ripeto, questo è dovuto all’età, agli impegni che sono cambiati e alle necessità economiche.

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Da piccola sono cresciuta ascoltando l’hip hop americano, in un secondo momento mi sono avvicinata al rap italiano e ho conosciuto anche la vostra musica. Ho sempre pensato che i vostri testi violenti siano una sorta di denuncia, o meglio di esorcismo di quella brutalità e violenza quotidiana che si legge sui giornali o si vede in televisione. Tu che ne pensi?
Confermo pienamente. Non sono messaggi da prendere alla lettera, specialmente per quanto mi riguarda. Ad esempio, nella nostra crew ci sono dei rapper più real, altri meno. Comunque è esattamente quello che dici: un esorcizzare con la musica questa violenza, per poi evitarla nella vita quotidiana. Affrontando il problema a voce, e quindi con il rap, spettacolarizzando il tutto, in qualche modo il problema svanisce.

Se si analizzano i tuoi testi si nota che la cosa più ricorrente è la morte.
Penso che sia dovuto dal fatto che sono un appassionato di film horror… Era inevitabile tenere fuori questo tipo di tematica. Poi, se vogliamo usare delle definizioni, faccio un tipo di rap che in America chiamano “death rap” oppure “horror core”. E’ il genere che richiede questi temi, non solo la morte, ma tutto ciò che gli ruota intorno: l’oscurità, il male ecc. E’ uno stile che in Italia ho approfondito per primo. Di canzoni “horror” ne erano già state fatte, per esempio Menti Criminali avevano fatto un pezzo, anche Ice One, però nessuno mai aveva approfondito come me. Addirittura c’ho creato uno stile sopra. A livello italiano, questa cosa mi viene riconosciuta e vengo considerato il pioniere di questo genere. In America invece, già c’erano rapper che avevano questo approccio.

Sia nei testi che nei video - prendi ad esempio“Dimensione violenza” - affronti la tematica del femminicidio. Perché?
Guarda... a parer mio, se in quel video la vittima fosse stata un uomo sarebbe stato uguale. C’è da dire, però, questo: nei film horror, e questa è una cosa proprio al livello statistico, è molto più frequente vedere le donne rispetto agli uomini, fa molto più effetto vedere una donna uccisa o una donna terrorizzata che scappa piuttosto che un uomo. Nell’immaginario collettivo funziona di più. Ovviamente sono contro il femminicidio e contro ogni tipo di violenza reale.

Nel 2008 hai fatto un featuring con Fabri Fibra nella traccia “100 modi per morire” dell’album "Bugiardo". Cosa ti ha colpito di questa collaborazione?
A quel tempo lavoravo con il Quadraro (il management Quadraro Basement Ndr), tramite loro, appunto, stavamo facendo “Ministero dell’Inferno”. Fibra, tramite la sua manager, ha parlato con qualcuno che mi seguiva all’epoca e mi ha proposto di fare un feat. Ovviamente ha centrato pienamente il tema. E’ stato molto bravo, mi ha detto “scrivi quello che vuoi, non farti influenzare da quello che scrivo io…” Infatti la strofa è assai brutale. Poi abbiamo collaborato di nuovo nel mio disco "Società segreta" nella traccia “Senza chiedermi”.

Sei appassionato di cinema, se ti chiedessi invece uno scrittore a cui sei legato?
I racconti di Lovecraft.


Nei tuoi testi ci sono spesso riferimenti a cantautori italiani mainstream come Vasco Rossi e Max Pezzali. 
Si, quando mi capita ascolto un po’ di tutto. Mi piacciono molto le canzoni d’amore perché è un tema che io non tratto. Comunque pure l’amore nella vita è importante: l’uomo ha bisogno di essere amato per vivere bene. Visto che non lo esprimo nella mia musica, compenso anche ascoltando la musica leggera che passano in radio. Ovviamente non tutta è roba buona… Anzi… Però ci sono alcune cose fighe.

Hai fatto un cameo nel video di “Mezzo pieno mezzo vuoto” di Pezzali. In che rapporti siete?
Ci siamo visti un paio di volte. Gli ho chiesto: “ma posso dire nelle mie canzoni che tu sei un mio fan?” Lui mi ha risposto: “DEVI dirlo!”. Per me Max nel pop è incontrastabile, ovviamente, rispetto al mio, è un altro genere.

Domanda, ormai, classica: che ne pensi dell'attenzione che si è ritagliata il rap italiano negli ultimi anni?
E’ ok. Il problema sta nel non confondere il rap con il pop. Parlando degli artisti mainstream nel rap, penso che tecnicamente è tutta gente capace. Credo che però siano un po’ forzati dalle etichette e per motivi economici a volte fanno pezzi eccessivamente pop. Però sicuramente è gente che se la metti su un beat classico sa rappare molto bene.

Immagino che questa nuova generazione di rapper abbia un altro tipo di background, di storia di influenze…
...si, a differenza di quando eravamo ragazzi noi, i ragazzi di adesso vedono subito il rap un po’ come il calcio, cioè soldi facili, donne, e fama. Vogliono arrivare subito a quello. Noi all’inizio pensavamo più a crearci un ruolo sociale, a mettere su una sorta di famiglia tra di noi. Ci confrontavamo nel rappare sempre meglio. Il fatto economico è sopraggiunto dopo. Adesso sembra che questa cosa venga messa al primo posto. Non è sbagliato perché alla fine se uno ci vuole vivere con la propria musica è obbligato a scendere a compromessi. Io sostengo molto la mia crew e spero che possa fare il più possibile.

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L'articolo Paura e delirio con Metal Carter di Maria Claudia Nuccetelli e Giovanni Caiati è apparso su Rockit.it il 2013-12-02 16:46:44

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