Pensa a cantare, non fare politica: che grande cazzata

Dopo la stagione del disimpegno sembra che gli artisti siano tornati a parlare di politica e va bene così

Dopo qualche anno di disimpegno puro diffuso nel nuovo (e vecchio) pop, gli artisti sono tornati a parlare di politica, attirando le ire dei social. Chiariamo subito un concetto: che rottura di coglioni le ire dei social. È sempre più lampante che, specialmente Facebook, sia in mano a una generazione di 30-40-50enni di cui un'alta percentuale non ha mai avuto a che fare con forum, chat, messenger o network prima, quindi non ha nessuno strumento per comprendere tutti i livelli che compongono la comunicazione su un social così stratificato.  Per molti, si tratta di un sistema che livella le differenze e pone sullo stesso piano musicisti, chirurghi, attori di Hollywood, magistrati, politici, professionisti vari, pensionati, operai e tutto il resto. Buttata giù così sembra una roba idilliaca, utopica e fantascientifica, invece si è rivelata una cloaca maxima di invidia, risentimento, frasi offensive, minacce di morte e altre amenità.

Figuratevi cosa può succedere quando gli artisti, stanchi dello tsunami di tormentoni che si è riversato nel vasto oceano di Spotify, hanno deciso di prendere parola per parlare della situazione politica italiana: un mantra infinito di "Pensa a cantare, non fare politica" da parte dei commentatori social. Un po' come dire a un operaio "Pensa solo ad avvitare bulloni" o a un panettiere "Pensa a fare il pane". Può esistere stupidità più grossa? Ogni individuo, qualunque sia la propria occupazione, può esprimere il proprio pensiero perché fortunatamente non viviamo sotto dittatura. Tanto basta.

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Andiamo con ordine: negli ultimi giorni abbiamo assistito a un bel po' di esternazioni tra cui Motta contestato dal sindaco di La Spezia per le sue canzoni politiche tra cui Mio padre era un comunista, Sei bella davvero (da sempre dedicata a una persona trans), Dov'è l'Italia? (per i migranti), Tommaso Paradiso che critica Salvini perché predica bacioni e poi fa il bullo sui social, Vasco Rossi che critica Salvini per la presa di posizione contro la cannabis light, Levante che decica il suo singolo Andrà tutto bene a Stefano Cucchi e ai migranti, i Tre allegri ragazzi morti con Pierpaolo Capovilla che hanno scritto un singolo contro il mercato delle armi, gli Egokid che nell'ultimo album cantano "I profili dei fascisti sono pieni di gattini", gli Psicologi che con Alessandra criticano il neofascismo, i Cosmetic che lanciano messaggi contro Salvini affidandosi a una scritta sulla chitarra di Bart, J-Ax e Emma Marrone che si schierano con Carola Rackete, la capitana della Sea Watch ricevendo un sacco di insulti (i più schifosi, quelli sessisti rivolti a Emma, che qualificano chi li fa), ma anche Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale critica un graffito contro Salvini ritenuto troppo violento e invita a usare l'arma dell'ironia e dell'intelligenza, di non abbassarsi alla dialettica truce. Delle ultime ore anche la dichiarazione di Morgan che difende Salvini "Lasciatelo lavorare, non rompetegli i coglioni", per poi continuare così: "ci sono delle popolazioni al mondo che come me sono senzatetto e cercano di trovare un luogo dove possono avere amici". Ok.

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Un po' di esempi che spaziano dall'invettiva alla presa di posizione, alla semplice provocazione e sono tutti giusti, anche se alcuni non ci piacciono. La libertà di espressione è il caposaldo dell'arte, se un artista non può esprimere se stesso allora tanto vale che cambi passione. L'arte è di per sé politica, manifestazione dell'individuo e della società; anche la scelta di non fare politica è ugualmente politica ed è così da sempre. Capiamo però che il disimpegno del pop e la poetica da "tutto e subito" di certa trap possono aver allontanato i più vecchi e i più giovani dalla passione politica, preferendogli da una parte la sterile invettiva social e dall'altra l'ambizione egoica di rivalsa no matter what. Che fra le due reazioni preferiamo la seconda ça va sans dire, eppure qualcosa si muove, qualcosa di familiare per la generazione di mezzo, che ha vissuto la propria educazione musicale a braccetto con la passione politica. Senza viaggiare troppo nel passato per citare i soliti noti De André, Lolli, Gaber, De Gregori, il primo Venditti e tutti gli altri cantautori con cui sono cresciuti i nostri genitori e di cui abbiamo ereditato il bagaglio culturale, senza andare a parlare delle istanze sociali di Battiato e pure quelle ecologiste interpretate da Celentano, la generazione di mezzo è entrata in contatto con messaggi politici fin dall'adolescenza: Vasco Rossi, i C.C.C.P. prima e i C.S.I. poi su tutti, ma nei 90s di Berlusconi Presidente c'erano ben poche band che non abbiano mai mandato segnali di quel tipo: Afterhours, 99 Posse, Almamegretta, Yo Yo Mundi, Frankie Hi-Energy, Sangue Misto, Prozac +, Timoria, Subsonica, Carmen Consoli, Jovanotti fino ad arrivare a quel capolavoro de La fabbrica di plastica di Gianluca Grignani o ai primi 883 di canzoni come Cumuli. In pratica, cantare della politica e del sociale era la norma.

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In un'estate piena come non mai di canzoni per non pensare, in piena crisi etico/ambientalista, gli artisti che dicono la loro sulle faccende politiche esercitano il sacrosanto diritto di espressione, che va bene anche quando il loro messaggio non ci piace. Che lo facciano col garbo e l'ironia di Giovanni Truppi o della Brunori SAS, con lo sberleffo degli Zen Circus, che entrino a gambatesa e provochino come Morgan, ogni pensiero è lecito finché non va a ledere la libertà altrui. L'artista è un'antenna sensibile ed è giusto, sacrosanto che usi il palco per mandare i messaggi che vuole. Se non sta bene a una moltitudine di persone abituate a offendere senza metterci mai la faccia, beh, ce ne faremo una ragione.

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L'articolo Pensa a cantare, non fare politica: che grande cazzata di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-07-05 14:27:00

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