Editoriale: MI AMI 2016, sull'arte di fare i festival

Scrivere la scaletta di un concerto è proprio come fare un puzzle, il più bello e difficile possibile

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31/05/2016 - 18:14 Scritto da Carlo Pastore

Sono stato spesso sedotto dall'idea di associare all'arte del fare i festival l'arte di fare i puzzle, questo per diversi motivi. Primo: se le tessere fossero band e il cartellone finale fosse l'immagine ricomposta, ecco che il gioco sarebbe in soldoni quello di collegare una tessera all'altra, di incastrare gli elementi singoli nell'insieme. Secondo: i puzzle sono fotografie stampate su un cartoncino che viene poi diviso in innumerevoli pezzi, che cos'è un festival se non una fotografia di innumerevoli band? Terzo: puzzle e festival sono due parole di origine anglofona che non hanno traduzione in italiano (ciò nonostante, dopo essere state adottate, hanno ora a tutti gli effetti ottenuto la cittadinanza e risiedono stabilmente nella nostra cultura).

La cosa che più mi affascina della suddetta associazione è che nel puzzle gli elementi non preesistono all'insieme: una singola tessera, presa in mano e vista nella sua specificità, non dice granché. Il dettaglio di una foglia? L'unghia di un dito, forse un mignolo? Eppure, inserita di fianco alla tessera corretta, un'altra tessera che vista da sola non dice granché, assume un senso. La loro unione, unita alle altre unioni, è insomma il compimento dell'insieme, quell'insieme che determina gli elementi, e non viceversa. Non è forse questa la magia di un festival?

Lo scrittore Georges Perec nel preambolo di “La vita, istruzioni per l'uso” si sofferma sulla figura dell'artefice di puzzle: “nella larga maggioranza dei casi, una pressa tranciante regolata secondo un disegno immutabile taglia i fogli di cartone sempre nel medesimo modo”. È un po' quello che sta succedendo con la industria dei festival al giorno d'oggi: decine di manifestazioni tutte uguali, che si abbeverano dalle stesse fonti replicando un modello di successo senza aggiungere né togliere niente. Music Week lo scorso anno ha analizzato i cartelloni delle cinque più importanti manifestazioni inglesi (Glastonbury, Reading & Leeds, V, T In The Park and Isle Of Wight) per capire quale sia stato il ricambio tra gli headliner: negli ultimi 10 anni solo tre band il cui disco d'esordio è uscito prima del 2006 si sono guadagnate quella posizione in scaletta; il resto, sempre i soliti. D'altronde sono sempre i soliti che fanno scatenare i botteghini e aiutano le manifestazioni a esistere e resistere, in un contesto sicuramente non facile ma positivo per un'industria che solo negli States (dati raccolti da Nielsen), ha visto 32 milioni di persone partecipare ad un festival nel 2014.

Eppure, prosegue Perec, “il vero amatore respinge questo tipo di puzzle, non tanto perché sono di cartone invece che di legno, né perché sulla confezione è riprodotto il modello, ma soprattutto perché con questo sistema si viene a perdere la specificità stessa del puzzle”. Una specificità che è basata sul dialogo costante fra un pezzo e l'altro, certo, ma soprattutto fra chi ritaglia il cartoncino e chi lo giocherà. Perché ogni mossa che il giocatore tenta è una mossa precedentemente vissuta e pensata dall'artefice, il che rende l'idea di un gioco tutt'altro che solitario.

È proprio in questa dinamica che rivedo il rapporto fra MI AMI e la gente che ci viene: un dialogo costante in cui all'interno della medesima passione per lo stesso tipo di fotografie o, meglio fuor di metafora, di ambito musicale la dimensione del gioco, dell'enigma, della provocazione, della ricerca della specificità e dell'identità rendono la fotografia viva, mutevole, cangiante, sorprendente, precisa. Un festival in cui la voglia e il coraggio degli artisti nel non bastarsi come tessere singole e non farsi bastare il proprio puzzle personale regala un senso alle tessere successive e al loro incastrarsi al netto di generi, estetiche, scelte e, di nuovo dentro la metafora, unghie di mignoli. Un lavoro in cui, per quanto i nostri sforzi siano quelli di preparare i percorsi (“L'occhio segue le vie che nell'opera gli sono state disposte”, Paul Klee) alla fine siete sempre voi a scrivere i vostri, aumentando la realtà percepita e spostando il limite del cielo un poco oltre.

E allora godiamoci questi due giorni imperdibili fatti di musica, fumetti e baci. Vestiti delle nostre camicie migliori o delle nostre magliette peggiori, saranno comunque ricordi a fior di pelle. Come quella volta che ci siamo fatti sposare da Elvis all'Idroscalo. Come quella volta che ci siamo rotolati sulla Collinetta. Come quella volta che... te lo ricordi? Welcome to fabulous MI AMI 2016.

L'importante è volerlo. 

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L'articolo Editoriale: MI AMI 2016, sull'arte di fare i festival di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2016-05-31 18:14:00

Tag: MI AMI

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