Amor Fou La stagione del cannibale 2007 - Cantautoriale, Pop, Elettronica

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Disorientati dalla vacuità del nostro vivere "quotitaliano", gli Amor Fou si rifugiano nelle raccolte di giornali d’epoca, in cerca di fascino e di radici: il risultato è un ambizioso e colto romanzo epistolare neorealista, diviso in 12 canzoni pop

La storia potrebbe essere quella, recente, di quella ragazza che uccide il suo fidanzato nel più dolce degli atti d'amore: durante un bacio, gli appoggia sulla lingua una capsula di veleno. Un fatto di cronaca che è ben più di una semplice notizia. Un fatto d'amore folle; letterario di per sé; al contempo personalissimo (la storia, privata, di un amore che finisce nella sua sublimazione romantica: la morte) e al contempo sociale (inevitabile la dimensione condivisa dell’evento, il chiacchiericcio, i processi sommari, le supposizioni).

Se ci fosse un luogo abbandonato a sè, lo potremmo prendere.
Anche di notizie è fatta una Nazione.

Soprattutto di notizie è fatta una Nazione del ventunesimo secolo.

E proprio dal concetto di Nazione, di popolare, di pop voglio partire per recensire questo capolavoro d’esordio di questo nuovo gruppo che di nome fa Amor Fou - che si scrive come “amore pazzo” e si legge come “amore passato”, un po’ italiano e un po’ francese come le loro influenze, che evoca scenari letterari che partono dall'Ariosto per arrivare fino al nostalgismo; e alla voce formazione annovera Alessandro Raina (ex Giardini di Mirò, N00rda, già solista con Giacomo Spazio), Cesare Malfatti (La Crus, Dining Rooms, N00rda), Leziero Rescigno (La Crus, Alessandro Raina), Luca Saporiti (Lagash).

In Italia esiste un dibattito, in realtà non molto diffuso ma sicuramente fortissimo, fra che cosa è italiano e cosa non lo è. Un dibattito che in altre Nazioni è assolutamente inesistente, semplicemente perchè, in quelle Nazioni, si vivono sincronicamente tutti gli aspetti della propria nazionalità (con tutta la serenità che ne consegue: “così è, e ci pare”). In Italia, invece, no. Ricordo una professoressa alle superiori: “se vi chiedo per quali valori vi riconoscete italiani, cosa mi rispondete?” Prima fu il silenzio. Poi furono la pizza, il mandolino, il calcio... Ovvero le nostre caricature – in fondo nemmeno poi troppo distanti - all'estero. La baguette dei francesi. Il sandalo col calzino dei tedeschi. L'Italia è un paese in cui durante il fascismo, per vent’anni, la produzione musicale si è fermata, creando un grande divario con il resto delle nazioni europee. L'Italia è il Paese di Pasolini. L'hanno ucciso infamandone il corpo. L'Italia è un Paese dove gli intellettuali fanno la cronaca, mentre la gente fa il lavoro. Dove la sinistra scrive di storia, mentre la destra – spesso nostro malgrado – la fa.

Ma passerà, si, passerà questo pallore che ci rende così simili.
E' dal 1500 che non incidiamo nella Storia mondiale, eppure continuiamo a credere che il nostro passato basti a giustificare un presente vuoto, nullo, noioso, brutto e neoproletario. Un presente dove i piccoli successi, anche musicali, sono legati a fenomemi d'importazione e di riciclaggio. Bisogna dimenticarsi il Rinascimento. E’ questa la nuova sfida. E bisogna ripartire come negli anni cinquanta, quando dimenticata la scure fascista che aveva fermato l’Italia, raccontata dagli Antonioni e dai Fellini che trasportavano Verga sul grande schermo e raccontavano gli strappi di un mondo che cambiava mettendo al centro l'humanitas e perciò la poesia. Nuova, giovane, allegra, adatta al tempo che passa. E' questa la Nuova Onda. E' questo il Nostro Rinascimento.

Si, passerà.

Finalmente arriva la Musica a spazzare via tutto. “La Stagione del Cannibale” si apre con il gioco linguistico e la struggente melodia de “Il Periodo Ipotetico”, apripista magnifico nel quale Alessandro Raina canta “Se ci fosse un luogo abbandonato a sé/lo potremmo prendere”, quasi come se quel “sè” fosse un “se” e supportasse in licenza poetica un verbo al condizionale e non al congiuntivo come la regola imporrebbe. E’ una lettera di scuse e d’amore di cui abbiamo qua e là citato versi, che ho trasformato – tentando di sintetizzare il loro sentore con il mio sentire – in un atto di ribellione postmoderna per un cambiamento dei tempi e dei luoghi, ma soprattutto della musica dei nostri tempi e dei nostri luoghi. Dall’individuale al collettivo. E’ il manifesto di questo disco che, consapevolmente?, se sicuramente darà esempio a tutta la sterpaglia dei suonacome.

Mi perdonino dunque gli Amor Fou se, per parlare del loro disco, ho deciso di partire da lontano. Sappiano che lo si è fatto per arrivare meglio al punto, decisivo, del loro disco. Perchè non esiste album che possa prescindere dal contesto sociale, e non esiste arte che possa prescindere dal proprio tempo. Disorientati dalla vacuità del nostro vivere quotitaliano, gli Amor fou si rifugiano nelle raccolte di giornali d’epoca, in cerca di fascino e di radici. Quelle che gran parte dei musicisti italiani hanno dovuto abbandonare per colpa di una stagnante mediocrità e di un malsano provincialismo (lo stesso di cui sopra: che ci porta a credere di avere tutto perchè abbiamo avuto tutto). E riescono nell’impresa, magnifica se abbinata alla dote del saper scrivere canzoni, di capire 1) che l'arte oggi non ha, come nel passato, un'Italia il cui contesto sociale va raccontato, di per sé foriero di suggestioni, storie personali che contengono valori universali, il boom economico, lo strappo capitalistico, l'aggressione alla natura, la corsa verso il benessere, il cambiamento delle abitudini; 2) che la vera missione dell'arte oggi è occuparsi di ricostruire il contesto sociale e dargli una poesia.

Così, come i Calvino e i Vittorini che traducevano i romanzi della grande letteratura americana e poi scrivevano i grandi romanzi della letteratura italiana, oggi gli Amor Fou svezzano il cantautorato italiano all’Europa dei Notwist e all’America dei Blonde Redhead. Citano la Francia, ne somatizzano le pulsioni tardoromantiche e bohemienne, ne idealizzano quasi i tratti. Mischiano finalmente in maniera raffinata e totalmente equilibrata l’elettronica all’acustica. In una produzione perfetta, curatissima, seria e per fortuna poco indie. Il risultato è un ambizioso e colto romanzo epistolare neorealista diviso in 12 canzoni pop. L'esordio di Raina alla scrittura in italiano stupisce. Il perno sono le storie. Spesso raccontate in maniera colta, distante, geostaticamente. Ma sempre con profondità. Come una sonda millimetrica che dall’Iperuranio si stacca per esplorare le cavità del cuore.

Come nel loro nome, le suggestioni del “Cannibale” si dispongono a strati e creano una collisione a più alto livello. Sono piccole meteoriti che incrociano le loro traiettorie. Le storie personali, intimissime, si rarefanno nel loro sostanziale motivo artistico: divengono universali, vogliono essere condivise, e per questo spesso evitano il tono dello sfogo diaristico per provare a parlare un linguaggio più ampio. Cristiano Godano e Paolo Benvegnù rimangono gli esempi più fulgidi e la traccia storica di cui gli Amor Fou sono figli. Il tentativo di questa band è infatti lo stesso di Marlene Kuntz e ancor più Scisma (i primi omaggiati in certi passaggi lirici, gli altri in “Cos'è la libertà?”): unire un approccio di scrittura prevalentemente cantautorale a suoni, arrangiamenti e soluzioni europee. Senza dimenticare però l'esperienza dei Tiromancino e addirittura omaggiando De Andrè ne “La Strage”, una toccante ballata al pianoforte, che chiude il disco.

Già i Baustelle e i Non Voglio Che Clara gli scorsi anni avevano utilizzato lo stesso approccio (mischiando riferimenti britannici alla nostra migliore tradizione), e così fanno gli Amor Fou. Che senza paura cercano un equilibrio fra ieri ed oggi, fra la cronaca, la cultura popolare e il quotidiano. Con questo disco, avvertiamo un ulteriore segnale molto importante per il pop italiano “alternativo” a quello di grande successo della Sugar. E paradossalmente, la contemporanea Milano dei fighetti indie, delle frangette, di ciò che resta delle case discografiche, è la Milano che, come tanti anni fa, sta richiamando la Musica Italiana a sé, attraverso la riuscita filologia retrò dei Cosi ma anche attraverso il Nuovo! Rock! arrogante e dritto in faccia dei Ministri.

Non credo però che sia giusto sofisticare ulteriormente su un disco che, al di là di tutti i significati che gli si possono affidare, merita attenzione pura. Così come credo che non ci debba essere né vergogna né fierezza nel nascere in un luogo, credo che ci debba essere assoluta leggerezza nel godere di quella cosa così semplice e magica che solo ascoltare canzoni pop d’amore può regalare. Ma “La Stagione Del Cannibale” finisce qui ed inizia ora. Capito cosa intendo?

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La recensione La stagione del cannibale di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-10-02 00:00:00

COMMENTI (42)

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  • utente0 16 anni fa Rispondi

    leggiti i libri prima di parlare, walrus di stocazzo. negli anni venti c'era il fascismo e l'unica cosa che non girava era la musica, costrette a canzonette di regime.

  • walrus 16 anni fa Rispondi

    è l'unica cosa davvero pienamente sensata scritta su questa pagina...
    ma vi rendete conto del fatto che in questa recensione di quello che fanno questi ca**o di amor fou non si coglie nulla???? che della musica degli amor fou non si dice niente??? il nostalgismo??? 'cazzo sarebbe? una corrente artistica inventata da guzzanti????
    e poi, carletto mio, forse qualche ripassino ti occorre pure...ma che ne sai tu degli anni venti? la musica era ferma???? qui si inventavano il noise e l'industrial in quegli anni...
    riparti dal sussidiario...forse è meglio.

  • oxygen 16 anni fa Rispondi

    Raina sa un pò di Zampaglione!..
    In questi giorni ascoltando gli Amor fou mi è venuta in mente la voce lagnosa del cantante dei tiromancino..
    Che effetto di Mer..
    Non sn mai stato un gran estimatore dei Tiromancino..
    Brutto segno :(

  • srotolina 17 anni fa Rispondi

    ohhhh grande mooninjuneeeee!!

  • mooninjune 17 anni fa Rispondi

    No

  • srotolina 17 anni fa Rispondi

    sono eccezionali. ho appena letto che il 9 novembre saranno all'auditorium di radio popolare milano!!

  • utente0 17 anni fa Rispondi

    visti a radio sherwood, erano solo in due. Da brividi la cover di 'ragazzo triste' sembrava di essere nel '66!!!



  • srotolina 17 anni fa Rispondi

    è un disco delicato e poetico. un disco di gran canzoni. secondo me la voce si sposa benissimo con gli arrangiamenti e i testi/melodie. scusa ma cosa ci volevi sopra? Ian Gillan? :]

  • utente0 17 anni fa Rispondi

    mediocre mi sembra un pò eccessivo...è una voce 'di timbro' non è un vocalist (dio ce ne scampi), ha una voce molto delicata...educata direi ..sono stata alla festa di vitaminic ad ascoltare amor fou, le canzoni le ha scritte quasi tutte lui fra l'altro...



  • nuciari 17 anni fa Rispondi

    la fortuna gliela auguro tutta.
    ma non possiamo decidere che un disco sia fondamentale a una settimana dalla sua pubblicazione.
    con questi toni si può parlare di sgt.pepper a trent'anni di distanza, non basta dire mille volte che un disco è fondamentale per far sì che lo diventi.
    bisogna aspettare con pazienza.
    se fra qualche tempo ci accorgeremo che questo disco resiste, che saprà far da traino, che saprà ispirare, allora anche quello che è stato scritto avrà un senso.
    per ora possiamo augurargli buona fortuna.