Stead Rough 2012 - Cantautoriale, Lo-Fi, Folk

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Melodie semplici, ma allo stesso tempo raffinate e incisive, che nell'insieme creano un 'atmosfera intima, umana, evocativa.

Si possono percorrere migliaia di chilometri nella vita, senza mai infrangere la superficie dei luoghi in cui approdiamo, delle persone che incontriamo e delle storie che incrociamo. Si può vivere a Londra, New York, Nuova Zelanda, senza mai domandarsi il come e il perché del nostro andare, restare, ripartire. Si può decidere di salpare senza avere la consapevolezza di cosa stai lasciando. Questo è turismo, non è viaggiare. Oppure, se è vero che, parafrasando Italo Calvino, il vero viaggiatore è colui che in ogni nuova città riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha, allora, Stefano Antoci D'Agostino, in arte Stead, è indubbiamente un "vero viaggiatore", e non solo in senso fisico e temporale. Scrivo questo perché ci sono le prove tangibili: "Rough", un preziosissimo diario di bordo, che testimonia l’esplorazione intrapresa.

Un progetto nato a New York, germogliato a Milano, maturato a Berlino e fiorito a Londra, "Rough" è la sintesi di un cammino durato 4 anni, che va oltre i confini geografici, utilizzando come filo conduttore un'attenta riflessione introspettiva, sulle storie che hanno attraversato la strada del suo viaggio. Otto tracce acustiche, deliziosamente folk. Una chitarra pizzicata delicatamente, leggeri assaggi di batteria, piano, violino e fisarmonica che fanno da sfondo per creare un senso di contagiosa nostalgia e di amabile malinconia.

Melodie semplici, ma allo stesso tempo raffinate e incisive, che nell'insieme creano un 'atmosfera intima, umana, evocativa. Pezzi come "Wheeler Dealer", "Another Me", richiamano il candore folk di Bob Corn e la semplicità fanciullesca di Kyle, rivisitati attraverso una logica più introversa e plumbea. Sublime, anche la traccia “Twentynine Times”, nata dalla collaborazione con Dave Muldoon, che con la sua voce roca e cavernosa, accompagnata da una melodia più ruvida e diretta, regala un perfetto squarcio di blues-folk, come la migliore scuola di matrice americana insegna. “Rough” è un disco senza forzature e trucchi, che lascia intravedere qualcosa di davvero molto vicino all’incanto : un bellissimo esempio di cantautorato folk-lo-fi. Ci sono dischi di cui è un piacere parlarne, dischi che non vedi l'ora di condividere e scoprire pian piano, "Rough" è uno di questi.

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La recensione Rough di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-08-20 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • ilgufo70 12 anni fa Rispondi

    Ragazzi incredibile il primo comments positivo di feedbaknoise....yeahhhh

  • utente57088 12 anni fa Rispondi

    la voce deve maturare ma e' un ottimo lavoro e anche un ottima disanima ( sta diventando raro....) della Angius - 8

  • FrankyCiliegia 12 anni fa Rispondi

    bel disco!