Topsy The Great Fampor 2014 - Strumentale, Twee, Ghettotech

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Mettersi a correre senza sosta in un mondo fatto di colori vividissimi e suoni distortissimi

Chi è Topsy The Great? Secondo Wikipedia è il nome di un elefante indiano di fine ottocento condannato alla folgorazione, oltre che il nome scelto, non a caso, da questa band.
Sembra infatti che le loro musiche partano da lì, dalla testa e dalle emozioni di quell'elefante nei minuti prima, durante (e dopo?) la sua atroce fine (tra l'altro pure registrata, la trovate su Youtube). Immaginate di essere l'elefante: dall'ansia per il fortissimo presagio di un qualcosa di brutto e imminente al terrore, quando bloccato a terra ti cospargono il gigantesco corpo di elettrodi, per finire con la fortissima scarica, troppo improvvisa, troppo devastante, costringerti a scagliare violentemente a terra i quintali della tua massa, ormai morto.

Che la musica dei Topsy The Great abbia una grande affinità con l'elettrocuzione è fin troppo banale a dirsi, ma è esattamente questa la sensazione che le loro canzoni trasmettono: scariche elettriche forti, scostanti, ripetute. Composizioni disarmoniche che mettono una semplice e grezza linea melodica al centro della canzone, stravolgendola, scomponendola e sviscerandola in continuazione.
Tra le tante ypsilon dei loro titoli (tra cui "Rymettyty y guanty"), il pezzo che spicca maggiormente è senza dubbio "Gyannesta": 2 minuti e 52 di elettroshock dove chitarra, basso e batteria sembra facciano un po' quello che gli pare, esplodono, rallentano e si scatenano mentre noi ignari uditori dobbiamo ancora capire bene dove siamo finiti. Ci ridestiamo quando alla fine del brano sentiamo pure un gatto che miagola, e via con il pezzo successivo, sempre sullo stesso filone.
Musica estrema per palati tutto fuorché raffinati, possibilmente aventi una certa familiarità con generi come punk, hardcore, noise, math rock e tanto jazz; artisti come Don Caballero o Battles, afferrati e scaraventati in un mondo completamente disordinato, dove la musica all'apparenza è un qualcosa di sconclusionatissimo.

Insomma, la band ci sa fare, ha fantasia, carattere e pesta durissimo; inutile sottolineare che un viaggio a Fampor, “un posto che sta tra Croty e la Scrozya, sovrastato dai Poggy Polyny, dove liberi corrono i Coor (cavalli con ali di papera su tutto il corpo)”, è assolutamente d'obbligo.

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La recensione Fampor di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-23 00:00:00

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