Francobeat Radici 2014 - Pop, New-Wave, Alternativo

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Testi scritti dai matti (bello!), musica carina ma che non lascia il segno.

Un disco che si chiama “Radici”, in Italia, non può che non rimandare al capolavoro del 1972 dell’emiliano Francesco Guccini, che indaga sulla propria vita fino ad allora e sulla tradizione tanto della propria famiglia quanto della propria regione, con tanto di miti fondanti di una particolare visione del mondo. Francobeat, 42 anni dopo, se ne esce con un disco dal titolo uguale. Ma intanto è romagnolo: e come tale si inserisce in quella tradizione della sua terra che dei matti subisce il fascino. Si pensi a tutta l’opera di Zavattini (da “I poveri sono matti” del 1937 al film “La veritaaaà” del 1982) o ai matti di Fellini. Così decide di far scrivere i testi del suo disco ai matti di San Savino, vicino a Riccione: e agli operatori sanitari fornisce, come propedeutica, “La grammatica della fantasia” di Gianni Rodari. In più, la copertina cita “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Insomma, il matto come visione diversa della vita, forse più sana: “Ma io non ci sto più / e i pazzi siete voi”, cantava già De Gregori sempre in quel lontano 1972. Da questo punto di vista il disco è assai interessante: i testi sono esempi di quella poesia stralunata ma allegra (opposta alle malinconie di Roger Waters sul tema), che colpì anche l’artista francese Jean Dubuffet, spingendolo a creare l’art brut.

Ma un disco è fatto anche e soprattutto di musica: benché lo spettro sonoro di Francobeat sia vario (“Verde/secco” ricorda gli Afterhours; “Io ero bellissima” cita la “Prima Gymnopédie” di Erik Satie; “Le mie meraviglie” incrocia dei Lali Puna acustici col primo Morgan solista; l’immancabile lounge similbrasileira di “Pillole”; gli Area di “Il pupazzo di neve”, ecc.), non colpisce mai. Tutto è carino e gradevole, ma nulla lascia il segno. E per di più è già sentito. La follia dei testi non si traduce né in canzoni dall’hook irresistibile, che uncina e non molla più, né in delirio psichedelico (soluzione che, ammetto, sarebbe stata fin troppo scontata e banale). Come è vizio di tanta musica di oggi (inteso non come “tempi moderni”, ma come “questo momento storico”), tutto rimane in un limbo che non dispiace a nessuno, ma neppure colpisce e rimane sottofondo. Il che certo non è colpa di Francobeat. Ma di sicuro la forma non risponde al contenuto e il disco non può dirsi pienamente riuscito. 

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La recensione Radici di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-23 00:00:00

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