Casa del Mirto Still 2014 - Elettronica

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Tra le coperte più dolci, i risvegli che ci colgono di sorpresa e i tentativi di definire il nostro universo

Abbiamo passato notti intere a parlare di universo, a tentare di misurarlo, di capire ciò che comprende e ciò che resta fuori: il nostro universo, la distanza tra te e tutto, il punto in cui ci incontriamo e l’infinita corsa parallela con chi non ne farà mai parte. Ma perché sforzarci, mi chiedo, se ogni giorno alla fine ci svegliamo differenti, apriamo e chiudiamo nuove porte, ci guardiamo allo specchio con gli occhi ancora carichi di sonno e i sogni che s’allontanano tra le ciglia, i capelli in rivolta, i segni del tempo che s’affacciano sempre più arroganti, e i pensieri e i piani rivoluzionari e gli affetti che cambiano nome o intenzione o importanza. “Still” racconta l’immensità, il profondo, il sentirsi uniti perché apparteniamo a qualcosa, ma è qualcosa in perpetuo movimento, mutevole come noi, e allora non serve tentare di definirlo, piuttosto conviene immergersi nelle onde e viverlo.

Giunti al terzo disco, i Casa del Mirto proseguono nei loro intenti chillwave arricchendo i brani di influenze molteplici, riuscendo a ottenere un mirabile equilibrio tra sponde dance inclini all’IDM, incursioni nel passato tra pop e new wave, uso intelligente e calibrato di nuove tecnologie ( vedi la Buddha Machine utilizzata in “8” e la voce di “Last Blue Wind”, creata con una app per i-phone). Già dall’intro, guidata dal piano e distesa in uno spazio ampio e malinconico, ci troviamo nell’istante in cui la nostalgia è l’unica arma per ricomporre pezzi trascinati via da maree montanti di anni trascorsi a immaginare il futuro senza dar peso ai ricordi; si cede presto alle movenze r’n’b di “Invisible”, singolo impreziosito dalla voce di Avalon Omega e dall’artwork di Michael Stipe, dove un ritornello catchy e morbidissimo si insinua fra visioni di pacata tristezza, per cullarci, smorzare il pianto, disperdere lo spleen con un soffio.

“Reflex” è la perla che luccica nel buio, scintillante nel suo vestito umorale che pare fatto di un’infelicità necessaria, che si scioglie piano sul finale grazie alle trame sinfoniche del mellotron, “Where You Stand” è una pista anni novanta dove si balla vicini senza abbracciarsi mai, mentre “Pressure” tocca lo stesso periodo puntando però sul pop sofisticato che non disdegna impulsi sintetici; “A Picture Of” sperimenta, mescola e plasma forme cangianti di elettronica, con le varie parti che si sovrappongono e s’innamorano in una sorta di pomeriggio domenicale passato a ricucire gli strappi, a soppesare gli errori del giorno prima, a cercare disperatamente appigli che non siano fragili e tengano almeno un poco.

Dopo la parentesi ipnagogica di “8” col featuring di Aaron Larcher, si incontrano i bassi dominanti di “What I See Inside Of Me?”, si torna sulla dancefloor a cercare una risposta, e la risposta è ‘waves’, e tornano così le onde, per trasportarci chissà dove, per sopraffarci o lasciarci in superficie spingendo gli sguardi verso i luoghi più reconditi del nostro universo; e non rimane che affondare in “Still” che è la paura e il superamento di essa, che è un tappeto di piccole luci leggere che si accendono sotto i nostri passi incerti, dove il piano e gli effetti producono meravigliosi panorami elettronici in cui l’orizzonte diventa traguardo, nuovo punto di partenza, ma soprattutto il posto in cui perdersi piacevolmente per un momento.

Tra le coperte più dolci, i risvegli che ci colgono di sorpresa, i tentativi di definire il nostro universo, “Still” ci rappresenta, immobili eppure sempre diversi, nella ricerca costante di un suono che possa accompagnare il percorso che stiamo affrontando: possiamo ballare, abbandonarci, scoprire un sentimento nuovo, chiudere il cerchio o aprirne milioni di altri senza chiuderli mai, perché alla fine ciò che conta davvero resta un segreto, confidato in chissà quale notte lontana, e portato via dalle onde.

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La recensione Still di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-12-29 00:00:00

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