Odiens Prima Incisione 2015 - Pop, New-Wave, Indie

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Siamo alle prese con quanto di più acuto e fine il sottobosco musicale italiano stia partorendo nell’ultimo lustro.

C’è stato un tempo in cui la chiesa spiava fin dentro la cabina elettorale e minacciava pene dantesche per chi avesse votato il pericolo rosso; c’è stato un tempo nel quale i posaceneri del Cynar facevano bella mostra di sé sopra i tavolini dei bar all’aperto; c’è stato un tempo in cui un bicchiere di spuma al ginger costava cinquanta lire e il modello di auto più in voga aveva l’apertura delle portiere al contrario. Un universo mondo che ha ispirato saggi, film, dischi, moda, costume e di cui ancora ne rinveniamo tracce nell’oggi.

Stiamo parlando, ovviamente, degli anni ’60, decade dalla quale i romani Odiens sembrano aver attinto la propria Weltanschauung, una visione del mondo caleidoscopica, intrisa di beat e yé yé. E naturalmente, ad una così netta e chiara esposizione teoretica deve sempre corrispondere una prassi altrettanto decisa, cosicché ci troviamo al cospetto di undici tracce (di cui quattro precedentemente contenute nell’ep “Tema di scandalo al sole” del 2011) registrate completamente in analogico e con strumentazione - attenzione, attenzione, sto utilizzando quell’orrendo termine – vintage. Va da sé che questo disco profuma di brillantina e salsedine, che lo avremmo potuto tranquillamente ascoltare nel 1966 stesi sul bagnasciuga di uno stabilimento in Versilia, diffuso da un jukebox in compagnia di Equipe 84 e I Corvi. Ovviamente stiamo semplificando, perché poi, all’atto pratico, i nostri cinque amici capitolini di farina, dal proprio sacco, ne attingono a piene mani ponendo in essere sì un’ “operazione nostalgia” con tutti i crismi, ma con una sensibilità e con modalità del tutto contigue con i nostri giorni. E quindi come non volare con il pensiero ai primi Baustelle del Sussidiario, all’ascolto de “Il fascino discreto della misantropia” o “Routine”, oppure a Il Triangolo quando premiamo play su “Banale”.

Ciò detto, non significa che ci troviamo di fronte dell’ennesima band amante del revival filologico fine a se stesso ma, al pari dei concittadini I Demoni, siamo alle prese con quanto di più acuto e fine il sottobosco musicale italiano stia partorendo nell’ultimo lustro. La produzione e l’egida dell’immarcescibile Matteo Bordin (The Mojomatics), depongono ulteriormente a favore di questo godibile disco. Odiens assicurata.

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La recensione Prima Incisione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-27 00:01:00

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