Diplomatics don't be scared, here are the Diplomatics 2014 - Rock'n'roll, Punk, Blues

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"Who will save rock'n'roll?" cantavano i Dictators. Signore e signori, i Diplomatics.

Quando si parla di punk rock o, allargando lo spettro, di rock’n’roll, al di là dell’aspetto strettamente e tecnicamente musicale, c’è un attributo, letteralmente fondamentale, che rende almeno degna di considerazione una band: la credibilità.
Concetto labile quest’ultimo, ne sono consapevole, ed in quanto tale arduo da teorizzare, ma dai tempi della blues people è sempre stato così e sempre lo sarà: it don't mean a thing if it ain't got that swing. Qualunque cosa tu faccia. La credibilità è quella attitudine individuale che maturi facendoti il culo nella vita reale, è quell’arroganza che, per questo, ti puoi permettere quando parli di te e quando ti poni davanti agli altri anche senza aprire bocca, costringendoli a guardarti, a non ignorarti, ad avere un’idea qualunque di te. “Decido io cosa è punk: se io guido una Cadillac, allora guidare una Cadillac è punk”, usando le parole di un tale John William Cummings.
E –cazzo- i Diplomatics quest’arroganza se la possono permettere e come. Copertina e titolo che più citazionista non si può, giacchette giuste, facce toste e un album che sembra uscito dal tardo 1975 newyorkese, da quell’epoca d’oro, eroina e polvere che decise cosa è punk, appunto. Questo lavoro trasuda non solo piena padronanza della materia trattata, ma soprattutto passione ed urgenza, testimonianza resa anche dalle registrazioni live in studio.
Lo stile è tutto: ci sono dentro i Dead Boys, Johnny Thunders con i Dolls e gli Heartbreakers, Lou Reed, i Dictators, ma anche una certa lascività rabbiosa à la Rolling Stones che conferisce quel tocco di garage sound e che richiama in alcuni episodi i nostrani Peawees (“Needings” e, soprattutto, quella piccola bomba dal titolo “Where I was born”).
Otto brani in totale, sospesi tra potenza e melodia, tra rabbia e sensibilità, pop art malata, masticata e sputata via, cori e coretti di stampo sixties, blues metropolitano e voglia di lasciare il segno, se non nella storia, almeno quando si cammina nel proprio quartiere.
Credibilità. Ed i Diplomatics ne hanno a pacchi.

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La recensione don't be scared, here are the Diplomatics di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-05-31 00:00:00

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