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Non capita tutti i giorni di imbattersi in dischi (e artisti) così originali

Non capita tutti i giorni di imbattersi in dischi (e artisti) così originali, tanto da spiazzarti e farti vedere la musica, e ancora di più il rock, da altri punti di vista finora mai considerati. Ecco in parte spiegato cosa significa avvicinarsi all’arte dei Quintorigo, band di origine romagnola che molti di voi si ricorderanno per l’esperienza sanremese di “Rospo”, tappa fondamentale di una carriera appena iniziata e che subito dopo è stata segnata da traguardi quali il “Premio Tenco” come miglior opera prima del 1999 e la vittoria nel referendum di fine anno del mensile “Musica & Dischi” come miglior gruppo ‘rivelazione’.

Dopo così tanti titoli in pochi mesi, la formazione non si è certo emozionata e ha continuato dritta sulla strada intrapresa ancora prima che il grande pubblico li conoscesse, confezionando un grande seguito dopo l’esordio già ampiamente lodato. “Grigio”, infatti, non sposta di una virgola la cifra stilistica del gruppo, ma fotografa comunque un ensemble ispiratissimo, capace di dar vita a composizioni che stupiscono per lo spessore (non solo musicale ma anche delle liriche).

Fin dalla prima traccia, intitolata “La nonna di Frederick lo portava al mare”, i nostri cominciano a dar vita a quello strano ibrido formato, in maniera assolutamente variabile, da swing, jazz, rock e pop che sembra perfetto in qualsiasi delle 10 forme lo si ascolti. Per cui, se la prima traccia ha certi accenni swing (dalle prime note sembra di aver a che fare, guarda caso, con i belgi Venus, molto affini ai Quintorigo), la successiva è ancora più entusiasmante (con John che non sappiamo se faccia il verso a Tom Waits, Capossela o Paolo Conte). Sta di fatto che questo dischetto contiene un sacco di perle luccicanti: la ‘metallara’(?!?) “Egonomia” (con un testo amarissimo!), la malinconica “Lola darling” (tema tratto dal primo lungometraggio di Spike Lee) e la stuzzicante “Precipitango” (canzone che vede ospite la tromba di Enrico Rava). Tutto il resto splende allo stesso modo (andate a sentirvi “Zara”, un gioco di voci realizzato dal vocalist: grande! …niente a che vedere con i Neri per Caso, al massimo Le Voci Atroci!!!), al punto che c’è da rimanere accecati di fronte alla paradossale cover di “Highway star”, pezzo a firma Deep Purple (contenuto nell’album “Machine head” del 1972), che bissa, in fatto di riuscita e originalità, la “Heroes” di David Bowie presente nei solchi del precedente lavoro.

In sostanza questo disco, se vogliamo, è meno ‘arrabbiato’ del precedente: la sezione archi è stata impostata diversamente da “Rospo”, quasi a sembrare meno ‘schizofrenica’, e alla voce di John viene dato ancora più spazio.

Altro da aggiungere? Beh, se sono i fatti a contare, questo cd è una vera bomba… e non c’è neppure una chitarra!!!

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La recensione Grigio di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2000-09-16 00:00:00

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