Un bel disco, tra grandi collaborazioni e grandi ospiti, ma con un paio di difettucci.
Un alieno si trova spaesato sulla Terra: vi ricorda qualcosa? È il tema di “Satellite in orbita” e “Siamo argento”, due brani di questo nuovo lavoro di Dellera: se avete risposto David Bowie e avete ripensato a “The Man Who Fell To Earth” o “Ziggy Stardust” avete fatto centro. Tanto più che lo spettro di David è consapevolmente evocato in “Non ho più niente da dire”, tramite la citazione di “All The Young Dudes”.
Tranquilli: Dellera non si è messo a copiare il Duca. Ha semplicemente preso in prestito una metafora che nel rock ha funzionato a più livelli e l’ha usata per parlare di quello che è il tema fondamentale di “Stare bene è pericoloso”: la ricerca del proprio posto in un mondo privo di certezze in cui, paradossalmente ma tristemente, dominano omologazione e controllo. Dellera lo fa con grande eleganza musicale, aiutato da amici speciali come Rachele Bastreghi, Nick Cester dei Jet, Gianluca De Rubertis (coautore di tre brani), Enrico Gabrielli, Xabier Iriondo e Rodrigo D’Erasmo (entrambi Afterhours), Micol Martinez.
Tanta abbondanza, unita alle idee di Dellera, genera un disco dalle sonorità ammalianti, dagli arrangiamenti talora lussureggianti, dalle canzoni che sembrano scie di profumo che ci ammaliano con il loro fascino. Si sprecano le citazioni. Talvolta per piccoli accenni, come in “Non ho più niente da dire”, dove oltre a “All The Young Dudes”, si sentono i Pooh di “Linda”, immersi in un’atmosfera Beatles. La splendida “Maharajà” inizia come “Moon River” di Henry Mancini, anche se poi piglia una direzione completamente diversa. “The Constitution” secondo la cartella stampa dovrebbe ricordare Beach Boys e Thee Oh Sees, ma il risultato, sentite a me, ricorda moltissimo i Manic Street Preachers anni ’90. In generale si incrociano miriadi di suggestioni: dalle sonorità del Morricone RCA anni ’60, a Mina, alla surf music, all’exotica, al rock, al glam, alla psichedelia.
Ovviamente i difetti ci sono, sennò staremmo parlando del capolavoro degli anni Dieci. Invece non è così, pur essendo questo un bel disco. E per due motivi. Uno, le canzoni non sono immediate e mostrano la qualità della loro scrittura solo dopo ripetuti ascolti. Due, si fatica notevolmente a seguire i testi: sarà per questo che “The Constitution” e “Maharajà”, i due brani in inglese, “arrivano” prima. Ma in fondo, poi, chi se ne frega: io sono sempre stato della scuola per cui i testi vengono dopo la musica, altrimenti tanto vale comprarsi il libro. Con un po’ di pazienza, in questo mondo veloce e distratto, “Stare bene è pericoloso” vi mostrerà le sue grazie nascoste. E sono notevoli. Garantito.
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La recensione Stare bene è pericoloso di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-09-11 09:00:00
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