Sense Of Akasha - via Mail, 16-10-2008

I Sense Of Akasha emergono da una scena musicale - quella del Trentino Alto Adige - solitamente poco conosciuta e lo fanno con un album davvero eccellente. "People do not know who rules" è un disco dagli umori post-rock, ricco di influenze e spunti interessanti. E' un gruppo su cui puntare. Ester Apa li ha intervistati.



Quando inizia e come si sviluppa il progetto dei Sense of Akasha?
Ci siamo formati come "Sense of Akasha" nel 2002 dopo svariate esperienze musicali. Abbiamo suonato insieme in diversi gruppi, ed è nato subito quel feeling per le composizioni di stile "rock alternativo". Nel 2003 abbiamo pubblicato il primo album, dal titolo "Euphoria", pieno di emozioni e suggestioni tra pop e rock. Da questa esperienza è scaturita la voglia di allargare il nostro mondo musicale integrando strumenti classici, suonando concerti "unplugged" e collaborando con altri musicisti. Tra loro Irene, che con il suo violoncello, è diventata una componente "fissa" del gruppo. Da qui l'album Lo-Fi "U_plu__ed" del 2004, pubblicato in sole duecento copie. Nel 2005 segue l'ep "Sulphur, salt and mercury", tre pezzi intensi del nostro "full power rock". Seguono esperienze di "unplugged" miste al "full power rock" in una serie di concerti contaminati con strumenti classici come il flauto, il violino e naturalmente il violoncello. La volontà di sperimentare ci ha portato ad integrare dialoghi e samples, ad usare strumenti come il contrabbasso, percussioni, programmazioni, sintetizzatori. Sei anni di esperienza insieme per definirci ancora una band di "rock alternativo", ma molto più ricercato e meno pop.

Il riferimento che portate nel nome "Akasha" è un atto di riverenza verso l'omonimo termine sanscrito o un omaggio ad Anne Rice e alle sue "Cronache dei vampiri"?
Non c'entrano i vampiri. Ci riferiamo al termine sanscrito che significa etereo, sostanza dell'universo, universo dal quale scaturisce il suono.

"People do not know who rules", il vostro ultimo disco, nasce in una vecchia stazione ferroviaria, dove avete per l'occasione sistemato il vostro home studio. Cosa vi ha portato a scegliere questo luogo? Quali suggestioni volevate cogliere?
Non a caso siamo finiti in quel casello. Fino a due anni prima è stato la nostra sala prove. Regia, sala di registrazione, cucina e un giardino, il tutto ben lontano da orecchie indiscrete. Sono condizioni ideali per lavorare. Lí in mezzo ai prati abbiamo trovato la tranquillità che cercavamo ed in piú quel luogo ha qualcosa di magico, che secondo noi si rispecchia anche nell'album.

A chi è rivolto il titolo dell'album?
"People do not know who rules" è una frase tratta da un discorso del Mahatma Gandhi. E con un suo discorso inizia anche il disco. L'affermazione del titolo è rivolta a noi stessi, a chiunque. La gente non sa veramente chi comanda, noi pensiamo che valga la pena porsi la domanda ed essere sempre alla ricerca della risposta.

Dopo un partenza come formazione rock classica composta essenzialmente da basso, due chitarre, batteria, ritroviamo in questo disco un impianto strumentale decisamente contaminato: dal violoncello al banjo, passando per il pianoforte, le percussioni e l'akkordeon. Che suono volevate che uscisse dall'impasto di questi strumenti?
Abbiamo sperimentato con il suono aggiungendo nuovi strumenti. Senza fretta di terminare la registrazione, abbiamo arrangiato pezzi già strutturati per esempio con l'hammond, per aggiungere ancora più presenza, oppure con banjo o glockenspiel per creare melodie in sottofondo. Volevamo creare una stratificazione sonora, in modo che i piani di ascolto fossero molteplici. Abbiamo cercato di creare le canzoni in modo che non diventino mai noiose.

La cosa più bella sarebbe se l´ascoltatore, alla centesima volta che sente del disco, trovasse all´improvviso una nuova melodia in sottofondo della quale non si era mai accorto.

Quali sono i motivi comuni che legano questo album ai vostri precedenti dischi e in cosa invece, oltre che all'entrata di nuovi strumenti, "People do not know who rules", si differenzia?
Pensiamo ci sia grande differenza tra questo album e quelli precedenti. Solo le registrazioni sono durate tre mesi, mentre nei precedenti album dovevano bastare due settimane. La maggior parte del disco "People do not know who rules" è cresciuto in studio. Tutta la produzione del disco è stata eseguita "in casa", dalla registrazione al mixaggio, senza influenze, raggiungendo per la prima volta il "nostro vero suono". Anni fa ci mancavano le attrezzature per fare un disco come questo. Ma da sempre vogliamo creare musica lontana dal "mainstream", un rock "diverso".

Alcuni dei brani di questo quarto disco superano la durata dei dieci minuti alternando a complessi passaggi strumentali multiformi intrecci vocali. In fase di composizione dell'album avete mai pensato che pezzi così articolati potessero essere un limite per chi vi ascolta per la prima volta?
Sappiamo che la lunghezza media dei nostri brani non è pop. Per ascoltare il nostro disco la prima volta bisogna ritagliarsi un pò di tempo. È stata nostra intenzione fare un'opera intera e non una raccolta di brani. La maggior parte dei passi finisce con l'inizio del passo successivo, senza pausa. Poteva anche essere un brano unico di 60 minuti.

Explosions in the Sky, Deus, Leaf. Se è chiaro quali siano i gruppi d'Oltralpe a cui vi ispirate, lo stesso non si percepisce invece per le band di casa nostra. Non avete "debiti" musicali con nessuna delle formazioni del Belpaese?
Naturalmente traiamo ispirazione anche da band italiane come i Giardini di Miro, Yuppie Flu o i Marlene Kuntz. Poi ci sono i Mary's Jail di Bolzano e i Juda di Milano che ormai sono dei nostri amici. Da poco abbiamo scoperto anche gli Eimog (di Agrigento) che fanno della musica stupenda. Ma vogliamo citare anche i CSI che tanto hanno influenzato la scena musicale alternativa italiana.

Sentiamo musicalmente poco parlare della regione in cui siete nati: il Trentino Alto Adige. Ci raccontate se esiste una scena, un rapporto di mutuo soccorso fra i gruppi che suonano dalle vostre parti?
Il Trentino-Alto Adige è associato a livello internazionale alla musica folcloristica. Esistono però da svariati anni anche gruppi musicali di tutt'altro taglio, popolari anche all'estero, come i Graveworm. Si ascoltano gruppi che dal metal all'elettronica fino al folk e rap formano il panorama musicale nostrano. Nel suo piccolo una scena complessa ed articolata. Ma è negli ultimi anni che si respira aria di progressi nella musica sperimentale e alternativa. I nuovi media hanno inoltre aumentato l'interesse verso le nuove forme di musicalità, e le pubblicazioni sono aumentate. Rimane però difficile esportare la propria musica oltre i confini. La comparsa di alcune etichette è stata importante. È segnale di un trend positivo.

"People do not know who rules" sarà licenziato dalla Riff Records. Avete trovato in quest'etichetta indipendente il basamento ideale per lavorare serenamente?
La collaborazione con Riff Records è appena nata e si è subito rivelata fruttuosa. Siamo molto ottimisti per il futuro, visto che loro come noi hanno tanta passione. Si tratta di credere, tutti insieme, in un progetto comune.

In questi anni avete maturato importanti esperienze musicali all'estero dividendo il palco con Clawfinger, Sportfreunde Stiller, Bauchklang. Cosa vi hanno lasciato questi incontri e che idea vi siete fatti sullo stato della musica fuori dall'Italia?
Ci ha fatto onore dividere il palco con musicisti di livello internazionale. Di fatto la scena musicale internazionale è molto variegata e si evolve continuamente. Le contaminazioni dei generi e le sperimentazioni musicali sono tantissime. Si respira aria creativa, e questo è un dato più che positivo.

La musica riesce a farvi pagare l'affitto o i membri dei Sense of Akasha - come l'80% delle band italiane - hanno un lavoro "rispettabile" che gli dà da vivere?
Viviamo per la musica e lavoriamo per il pane.

Porterete in giro l'album? Avete altri progetti in cantiere, la voglia di cimentarvi con altre sfaccettature musicali?
"People do not know who rules" esce ufficialmente il 7 novembre. Nei mesi a venire sono in programma concerti in Italia e all'estero. Altra novità è il video, realizzato da poco, di "Make me real", girato da una troupe di Vienna in un frammento d'Alto Adige. Lavoriamo anche a progetti con altri musicisti e sono in cantiere alcune registrazioni. Gli spunti e la voglia di sperimentare e rivoluzionarsi ancora non mancano mai.

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L'articolo Sense Of Akasha - via Mail, 16-10-2008 di Ester Apa è apparso su Rockit.it il 2008-10-24 00:00:00

COMMENTI (7)

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  • utente0 16 anni fa Rispondi

    cazzo c'hanno messo quattro album per ricevere un po' d'attenzione?

  • pecorellapressata 16 anni fa Rispondi

    I Sense of Akasha sono una delle migliori scoperte di quest'anno (mi spiace averli incontrati solo al quarto progetto discografico, ma recupererò). People do not know who rules mi fa da colonna sonora.
    Resto in attesa di un live.

    Pecorella Pressata :)

  • nur 16 anni fa Rispondi

    wooooooooooooooo

    ma da dove sono usciti questi?!

  • marcoad 16 anni fa Rispondi

    "PEPOLE DO NOT KNOW WHO RULES" è un gioiello.
    Il filo conduttore è il dialogo, la parola, la continua ricerca di risposte.
    Musicalmente ineccepibile, preciso e pulito.
    La title track, THE SUBJECT HIMSELF, la rivisitata COME 2 REALIZE THAT e WISH sono pezzi universalmente belli ed emozionali/emozionanti che potrebbero con facilità girare il mondo.
    CAN'T REMEMBER, MELLOW, MADE OF DIRT e MAKE ME REAL completano un album che ci si augura venga divorato dal panorama musicale italiano.

    Dal vivo i S.O.A. riescono a riportare la completezza dell'album con una maggiore spinta sonora pur mantenendo una purezza di suono che crea un velo di magia.

  • nleander 16 anni fa Rispondi

    Grazie !!!

  • utente0 16 anni fa Rispondi

    People do not know who rules è davvero qualcosa di molto bello...
    Dal vivo, i Sense of akasha, sprigionano energie rare... coinvolgono magicamente tutto, TUTTO il pubblico...

  • enver 16 anni fa Rispondi

    davvero un gran disco.