Egreen - Vaffanculo State of Mind

Outsider. Un termine che potrebbe essere facilmente affiancato al nome di EGreen. Del resto è lui il primo a prendere le distanze da una certa fetta della scena italiana. E pure da quell'altra fetta. Nel nuovo album, “Il Cuore e la Fame”, ne ha praticamente per tutti. L'intervista di Enrico Piazza.

Outsider. Un termine che potrebbe essere facilmente affiancato al nome di EGreen. Del resto è lui il primo a prendere le distanze da una certa fetta della scena italiana. E pure da quell'altra fetta. Nel nuovo album, “Il Cuore e la Fame”, ne ha praticamente per tutti. L'intervista di Enrico Piazza.
Outsider. Un termine che potrebbe essere facilmente affiancato al nome di EGreen. Del resto è lui il primo a prendere le distanze da una certa fetta della scena italiana. E pure da quell'altra fetta. Nel nuovo album, “Il Cuore e la Fame”, ne ha praticamente per tutti. L'intervista di Enrico Piazza. - Foto di Massimo Contino

Outsider. Un termine che potrebbe essere facilmente affiancato al nome di EGreen. Del resto è lui il primo a prendere le distanze da una certa fetta della scena italiana. E pure da quell'altra fetta. Nel nuovo album, “Il Cuore e la Fame”, ne ha praticamente per tutti. Ma in fondo il suo è un vaffanculo costruttivo, pieno di amore. Sul serio. Perché EGreen è uno vero, sincero, schiettissimo. Sa mettersi a nudo nei testi che scrive così come in un'intervista. E va a finire che dietro quella scorza dura si scopre una persona umile e realmente genuina, che mette cuore e fame in ogni cosa.

Partiamo dall'album: ci hai messo più cuore o più fame?
Sicuramente più fame.

E che senso dai al concetto?
Mah, credo che sia il sentimento che caratterizza di più anche il mio "personaggio artistico” sviluppatosi nel corso degli anni. Si collega anche al modo in cui interpreto il rap: diretto e senza troppi fronzoli, dettato sempre e comunque da quella "fame", appunto. È la fame di rivalsa e di affermazione di un genere che deve ancora trovare, almeno a mio parere, un suo equilibrio e una sua identità agli occhi del grande pubblico italiano.

È ora che la gente capisca che c'è qualcosa che non va. Fanculo pure a tutti 'sti puristi sempre sul piede di guerra, è ora che torniamo coi piedi per terra". Fra chi non c'entra nulla con l'hip hop e chi al contrario si fa troppe pippe finisce che non salvi praticamente nessuno.
Esatto! [Ride, Ndr]

Stando a quanto detto qua sopra, vien da sé che la scena di oggi è... Continua tu la frase con i primi aggettivi che ti vengono in mente.
In continua trasformazione ed evoluzione, con tutti i pro e i contro del caso (non ho usato aggettivi, sorry). E dicendo così, voglio ovviamente fare riferimento a tutti gli aspetti del gioco.

Beh, allora nonostante il vaffanculo a tutto e tutti mi sembra ci sia ottimismo. Il concetto di evoluzione, di solito, lascia presupporre dei risvolti positivi.
Assolutamente e totalmente. Ci sono due problemi fondamentali – e all'occorrenza comprensibili – che incombono quando si parla di EGreen e del suo "Vaffanculo State of Mind":

1. La gente fa finta di non capire certi concetti e non sa leggere tra le righe.

2. Quasi mai le persone si incuriosiscono al punto da andare ad ascoltare i miei vecchi lavori. Che alla fine, se vengono fruiti in maniera cronologica, sono talmente chiari da essere spiazzanti per come riescono a mostrare una spontanea e naturale evoluzione del mio pensiero. Ormai credo di avere una torcida di aficionados che – avendo sentito le mie cose precedenti – mi difendono a spada tratta e sono perfettamente consapevoli del mio iter, di come sono partito e man mano cambiato sviluppando in maniera totalmente spontanea quello che sono oggi, quello che cerco di rappresentare con la mia musica e di trasmettere attraverso il mio "personaggio".

In conclusione, sì: sono molto ottimista in realtà.

Ecco, cerchiamo di dare qualche dettaglio in più anche a chi non ti conosce bene: nonostante si parli di un primo album ufficiale, sei in giro da un bel po' di tempo. Chiarisci meglio i due punti sopra raccontando il tuo percorso.
Questa domanda mi rende molto felice. Non ho grandi capacità di sintesi, ma ce la farò!

Vai, crediamo in te.
Dunque, considerando il demo come un album a tutti gli effetti, questo è il mio ottavo lavoro. Sono partito con il pensiero di chi ha vissuto questa musica nei Novanta (per chi legge: non cagate il cazzo, è così. Punto). Un pensiero che mi è stato trasmesso assieme a delle regole, dei codici e – perché no – anche un protocollo gerarchico, oggi molto criticato ma che, per quanto possa dare fastidio sentirne parlare, c'è sempre stato. Il fatto è che io appartengo a una "razza" di Mc che sono stati prima di tutto educati a essere devoti a quanto descritto sopra. Vien da sé che i primi concept o temi delle mie liriche non potevano che essere dettati dall'amore per una cultura e dalla volontà di mantenere tutto il più puro e genuino possibile. Ammetto che può essere una visione un po' radicale ed estremista. Con il passare degli anni ho smussato alcuni punti di vista estremi, ma ho allo stesso tempo rafforzato le mie convinzioni su come dovrebbero essere fatte le cose. Per concludere, quello che la gente forse non sa – e che invece dovrebbe capire bene così come lo dovrebbero capire i vari nuovi giovani fenomeni, per quanto possano essere bravi – è che non si possono bruciare le tappe. Affinché uno possa raggiungere una sana e solida maturità artistica, è indispensabile compiere un determinato percorso. Io sono partito da un messaggio di unità, amore e aggregazione. E ora sono arrivato al vaffanculo. Ma se ascolti tutti i miei lavori capisci che dietro a ogni singola sillaba pronunciata c'è un motivo ben preciso. È tutto scritto è non ho bisogno di giustificarmi. Ci sono i fatti a parlare. Stop.

Per me il rap non è mai stata una fottuta via d'uscita, a me 'sto cazzo di rap ha rovinato la vita”. Che ti è successo?
Purtroppo mi sono ritrovato dopo anni a guardarmi indietro e a rispecchiarmi pienamente in una serie di barre di alcuni mostri sacri Italiani – quelli più seri e veri – alle quali, ai tempi, non avevo mai dato troppo peso. Quando ascoltavo questi versi, anziché allarmarmi, mi dicevo: "Massì, avrà un po' esagerato", "Quanti drammi per niente", "Tutta scena" e cose del genere. In realtà, poi, mi sono ritrovato io stesso a rendermi conto di aver perso amici, un po' di salute, sacrificato molti rapporti e ad avere una vita personale quasi a brandelli sotto molti aspetti. Per non parlare di altre cose come il percorso scolastico e via dicendo. Tutto perché questa roba mi ha rapito e rubato il cuore. E chi la vive alla stessa maniera può capirmi in pieno.

Ma come? I rapper non hanno un sacco di soldi, figa e tutto il bello della vita?
[Ride, Ndr] Certo, come no!

Ti penti di qualche scelta?
Sì, molto. Più delle scelte che riguardano il lato umano che delle decisioni artistiche. Ma alla fine, si sa, le cose vanno sempre di pari passo e il risultato non è mai bello. Parlo per esperienza personale.
 

E perché alla fine non hai mollato tutto per dedicarti a una vita "normale"?
Perché diciamo che già di mio sono partito con qualche handicap, sempre parlando di vita personale. Per assurdo, se non ci fosse stato il rap, per colpa di qualche piccolo sbaglio adolescenziale forse oggi mi troverei a stringere ancora meno fra le mani. Scusa il luogo comune – specie se si parla di rapper – ma purtroppo è vero [Ride, Ndr]. Comunque la tua è una domanda che io stesso mi pongo spesso, e nella terza strofa di "4 Secondi" mi do anche in qualche modo una risposta: “Non mi sono reso conto d'esser diventato uomo”. [Ride, Ndr]

Tra l'altro, parlando di vita personale, c'è anche il fatto che sei nato a Bogotà, hai girato il mondo e poi sei finito in Italia. Come ti collochi all'interno del panorama nostrano? Avresti preferito fare quello che fai altrove?
Mi colloco come uno che cerca di fare sempre quello che va fatto. Spesso penso che sarebbe stato bello avere la possibilità di fare rap in altri paesi, questo lo ammetto. Darei un rene e un polmone per poter passare del tempo a New York a fare il disco nuovo e nel mentre mantenermi facendo un lavoro completamente inutile e umiliante. È il mio sogno nel cassetto.

Parlando di cose concrete, invece, come e quanto hai lavorato all'album?
Mah, sono stati 3 anni in cui ho semplicemente preso i beat e ho scritto. In realtà ho dovuto registrare il disco due volte: una a Torino, prima che si concretizzasse il progetto con Unlimited Struggle, e poi di nuovo a Treviso. Ma il tutto si è svolto in maniera molto regolare. Al solito, il periodo più lungo è stato aspettare che uscissero altri progetti e apportare tutte le rifiniture del caso. Ero a un passo dal collasso nervoso. Ma alla fine ce l'abbiamo comunque fatta.

Si nota una certa omogeneità attitudinale nella scelta degli ospiti. In base a che criterio li hai invitati?
Tanto per cominciare è tutta gente per cui farei carte false pur di poterci lavorare insieme. Sono tutte persone che rispetto. A volte mi è capitato di esordire con proposte alla buona tipo: "Oh, facciamo una roba insieme sul mio disco". Poi sentivo il beat adatto e mi veniva da pensare che era il momento di concretizzare la collaborazione. Ad esempio, i pezzi con Bassi e Mista e quello con Ghemon sono nati proprio così.

Quindi alla fine non è vero che non si salva nessuno.
Certo, la contraddizione è inclusa nelle voci del contratto stipulato direttamente dal demonio per concedermi la mia licenza poetica. Vorrei chiudere però con un messaggio chiaro e incontestabile: FARE RAP NON È OBBLIGATORIO.

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L'articolo Egreen - Vaffanculo State of Mind di Enrico Piazza è apparso su Rockit.it il 2013-05-13 13:06:35

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