Levante - Fare a meno dello zucchero. Come realizzare i propri sogni anche se nessuno ti prende sul serio

Gramellini dice che la sua è stata un'infanzia di merda, lei ci scherza su. Levante ci racconta le sue canzoni.

Ci incontriamo a pranzo e chiacchieriamo a lungo, anche dopo il dolce, il caffè, e l'ammazza caffè. C'è una bella storia dietro questa ragazza che ama i treni, scrive canzoni tristi, e che ha avuto un'infanzia di merda, come dice Gramellini. Parte da "Alfonso" e finisce con le tante volte che si è i
Ci incontriamo a pranzo e chiacchieriamo a lungo, anche dopo il dolce, il caffè, e l'ammazza caffè. C'è una bella storia dietro questa ragazza che ama i treni, scrive canzoni tristi, e che ha avuto un'infanzia di merda, come dice Gramellini. Parte da "Alfonso" e finisce con le tante volte che si è i - Levante

Ci incontriamo a pranzo e chiacchieriamo a lungo, anche dopo il dolce, il caffè, e l'ammazza caffè. C'è una bella storia dietro questa cantautrice che ama i treni, scrive canzoni tristi, e ha avuto un'infanzia di merda, come dice Gramellini. Parte da "Alfonso" e finisce con le tante volte che si è innamorata. Ci racconta della sua famiglia, della sua gavetta discografica - in Italia una cantante non la prendono mai sul serio, dice - e di come è arrivata a pubblicare il suo primo album, "Manuale Distruzione".

 

Partiamo dall'inizio: a 14 anni lasci la Sicilia e ti trasferisci in Piemonte.
Esatto. Abbiamo avuto un lutto famigliare e abbiamo deciso di trasferirci.

Tuo padre.
Si, io e mia madre siamo salite a Torino, ho iniziato il liceo e ho fatto la classica vita da liceale. Per farti capire: ero una ragazzina che preferiva stare in camera piuttosto che andare in discoteca. Cantavo, scrivevo, man mano sono arrivati i primi concerti e le prime manifestazioni musicali.

Non sono riuscito a trovare molto sulla tua gavetta, quando hai iniziato?
A 13 anni, il “Festival degli sconosciuti” di Ariccia, vicino Roma. Non mi prendono, torno a casa, ciao. L'anno successivo provo con un altro concorso, non mi prendono, e così l'anno dopo ancora. Etc. Etc. A 19 anni mi diplomo e contemporaneamente firmo il mio primo contratto discografico con un'etichetta torinese, l'A&A recordings, ma diciamo che si occupava più di jingle televisivi e non di musica. Ho imparato tante cose, è stata un'opportunità, ma ero piccolina e mi hanno indirizzato verso strade che non erano le mie.

Tipo?
Musica alla Dari, per darti un'idea. Ma dopo tre anni di contratto tutto era ancora inedito: si lavorava, si lavorava, si lavorava, e non usciva mai niente. Sono scattata e me ne sono andata in Inghilterra, a Leeds. Lì ho incontrato dell'altra gente che aveva, nuovamente, delle idee molto strane su di me.

Tipo?
Mah, credo mi avessero immaginato come una sorta di Leona Lewis. Ero finita in una crew molto soul, diciamo. In più mi ospitava questo ragazzo bipolare pazzo: mi faceva dormire in bagno, avevo un materassino e dormivo, tutte le notti, in un bagno. Dopo due mesi sono tornata a casa. Volevo dare una possibilità all'estero, pensavo di farcela con un disco in inglese, e invece...

…forse due mesi sono pochi per capire.
È vero. Ma se quando arrivi in un posto l'accoglienza è quella di quattro neri che vogliono subito cambiarti in qualcos'altro, di nuovo, e in più stai da un ragazzo biopolare e dormi in un cesso, ti dici: forse devo tornare a casa.

Quindi l'hai presa come un segno del destino.
Esatto (sorride, NdA). Torno a casa e, sotto consiglio del mio ex fidanzato, scrivo a Dade (dei Linea 77, nonchè attuale discografico di Levante, NdR). In realtà ci metto un po' a convincerlo, sia le canzoni vecchie che quelle in inglese non gli piacevano. Poi gli faccio sentire “La Scatola Blu” e lui mi risponde: mi ha fatto capottare dalla sedia. Allora ho iniziato a scrivere “Manuale distruzione”. Ho cercato di lavorare con diversi produttori ma non mi trovavo molto. Ho poi conosciuto Alberto (Bianco, NdR), sono impazzita per i suoi due dischi e ho deciso che doveva produrlo lui. Mi sono affidata completamente: ho giusto chiesto alcune cose sulle armonizzazioni delle voci, gli ho spiegato come volevo i cori, per il resto ha fatto lui. Mi ha anche ringraziata per questo. Ci siamo trovati, ci siamo incastrati bene.

Tu come lo volevi questo disco?
Volevo che uscisse il testo. Inizialmente, infatti, avevo pensato a delle cose molto semplici, tipo voce e chitarra e suoni di caffetteria, di cucina...

...tipo CocoRosie.
Esattamente, bravo. Come vedi è uscita una cosa molto diversa, ma era la mia idea, non era per forza la migliore.

È strano trovare questo tipo di umiltà in un musicista, sai. Se ci aggiungi che la maggior parte è molto gelosa delle proprie canzoni.
Ero obbligata, io non potevo seguire totalmente gli arrangiamenti. Potevo andare in studio un paio di pomeriggi a settimana e la sera. Dovevo lavorare per pagare il disco e pagarmi l'affitto, bisognava agire in questo modo (sorride, NdA).

Facevi la barista.
Si, prima lavoravo in questo bar. L'ho mollato a settembre dopo aver fatto il tour con Gazzè. Ora riesco a mantenermi solo con la musica, certo ci riesco anche perché al momento non ho da pagare un affitto, sto a casa del mio fidanzato, altrimenti avrei dei seri problemi. Dal momento che la Siae non arriva...

Tua madre è ancora qui?
Vive e lavora a torino.

Che rapporto hai con lei?
Ho un rapporto strano, nel senso: la amo tantissimo, è una delle persone che stimo di più in assoluto però la vita ci ha portato a separarci un po'. Non ti parlo di attriti, ma il fatto che sia mancato papà e che io abbia trovato una dimensione molto solitaria rispetto agli altri componenti della mia famiglia... Poi, sai, sei adolescente, te ne stai chiusa in camera e basta.

Parliamo del disco: è triste, sei d'accordo?
A prescindere da come mi potesse presentare "Alfonso", sono una persona molto cupa, è vero.

Più che cupa, sono tutte storie d'amore andate male.
No, dai. Se dobbiamo parlarne dobbiamo fare nome e cognome (sorride, NdA).

Va bene, partiamo dalla mia preferita: “Senza Zucchero”.
Ma non parlo di me...

...lo so, il protagonista è un uomo.
Racconto la storia di un ragazzo che ho conosciuto, un dongiovanni, e questo inizia a dirmi: guarda io non riesco a innamorarmi di nessuno, l'unico mio vero amore si sposa a settembre con un ragazzo francese. E io inizio a immaginarmi di questo uomo senza zucchero, che vive senza meta e senza una metà, ma che ha anche il suo lato romantico, il suo lato ferito. Mi affascinava il suo menefreghismo nei confronti dell'amore, mi diceva: ho amato solo una donna... a parte questo, come fai a innamorarti di una sola donna in tutta la vita?

Quante volte ti sei innamorata?
Tante, possono essere cinque, sono comunque tante se ci pensi.

Andiamo avanti: “Come quando fuori piove”.
Ah sì, quella sì, ero io che piangevo sotto la finestra del mio fidanzato.

In “Farfalle” è come se tentassi una specie di anestesia per non sentire nient'altro.
Eh beh, mi piaceva uno che non potevo avere. (sorride, NdA)

“Memo”
Guardo una storia finita chissà dove.

“Sbadiglio”
La noia nell'amore...

Scusa se l'ho interpretato triste. Hai ragione tu.
(ride, NdA) Ma si, capita a tutti. Dammi il testo di quella che ti spiego meglio (prende i miei fogli, NdA)

Posso dire che “silenzio catartico”, nel 2014, non lo si può più sentire?
A me piace tantissimo, e poi quel “senza trovarsi mai” è bello. Va bene siamo un po' in crisi, capita a tutti. E l'ultimo ritornello dice: “sembrava romantico, quel silenzio catartico – che ti fa cagare, pazienza – anche senza le stelle, ascoltarsi tacere, poi sfiorarsi la pelle, senza lasciarsi mai. Finisce bene. Secondo me non sei stato attento, non ti piaceva la prima parola e non hai approfondito.

“Sbadiglio”, insieme a “Memo” e “Alfonso” sono molto diverse dalle altre. A prescindere da un arrangiamento più allegro, sono scritte in un altro modo: c'è una storia, dei personaggi, usi parole più semplici. Sono quelle nate per ultime?
No, “Alfonso” l'ho scritta nel gennaio 2012, “Memo” settembre 2012, “Sbadiglio” maggio 2013. Sai, penso che alcune idee tornino ciclicamente. Intendo, certe immagini e un determinato modo di scrivere. Posso intuire che non sia facile trovare una linearità tra tutte le canzoni, ma è perché io sono tante cose. Spero che tu non scriva sempre gli stessi articoli.

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“Alfonso” ti ha cambiato la vita?
Chiaramente, dalla cosa più banale del non dovere più arrotondare con i caffè, fino a a provare finalmente la sensazione di poter provare a vivere di musica e basta. Questa visibilità minima mi ha fatto uscire dal buio di quel tunnel e dalla paura di trovare sempre solo 10 persone in sala. Non può non influenzarti una cosa simile.

Il discorso di prima sulle canzoni tristi, in realtà, mi serviva per parlare di un tema più che centrale nei giorni nostri: la “debolezza”. Per dire: c'è una bellissima serie TV, “Scandal”, tutta incentrata nel raccontare persone sempre sul punto dil crollare. Lei è Kerry Washington, dovrebbe piacerti.
Stupenda, in “Django Unchained” è formidabile. Mi piace molto Tarantino, lo sto riguardando ultimamente.

Ecco, lei è una specie di Mr. Wolf al femminile. Per lavoro si fa carico delle debolezze altrui e si innamora di Lui - il presidente degli Stati Uniti d'America - che in sostanza è un senza-palle che scappa di fronte alle sue responsabilità.
Uno potrebbe dire che queste canzoni svelano delle mie debolezze, ma non è vero. Ce ne vuole di forza per raccontare cose simili. Per me è come una cura. Vuol dire fare i conti con le cose che senti, scrivendole, registrandole e poi facendole sentire a tutti. E poi di cosa avrei dovuto cantare? Che sono figa, che vado ai party e che mi diverto spesso? Sarebbe molto da rapper (sorride, NdA).

Cosa ti piace dello scrivere?
Quando metti il punto alla canzone, e poi la canti miliardi di volte al giorno perché hai fatto, o ti sembra di aver fatto, una figata. È una sensazione grandissima. Poi io mi sfogo tantissimo a scrivere. Mi piace perché è come se avessi dei segreti che normalmente non riuscirei a raccontare, poi le scrivo e arrivano a tutti, ma rimangono ancora dei segreti.

Perché siete così poche a farlo?
Non saprei, fondamentalmente perché se sei donna non ti prendono sul serio.

C'è da dire che il mondo della musica italiana non è totalmente maschile, anzi: Rockit ha molte donne - tra redattrici e collaboratrici - e il MI AMI non funzionerebbe senza la nostra direttrice di produzione. Molti nomi grossi della musica italiana si affidano a manager donna, e la Caselli è tra i pochi discografici vincenti.
È vero, ma è una cosa diversa salire su un palco.

Hai ragione. E quindi ti porto i pareri di due produttori italiani importanti: secondo Carlo U. Rossi è colpa del bigottismo cattolico; secondo Tommaso Colliva è perché non abbiamo mai avuto un show business all'americana dove l'essere provocanti è più che permesso. Non ci scandalizziamo per il gossip o Berlusconi, ma se una fa la cantante non può essere contemporaneamente bella e brava.
Sai, farei il discografico se avessi queste risposte. Anche a me dicono che faccio tutte queste visualizzazioni solo perché sono bella. Non ti prenderanno mai sul serio, non ci riuscirai mai: tu sali sul palco e nella testa di chi sta sotto, e non parlo solo dei maschi, scatta un altro tipo di ragionamento. Per questo non esiste la Shakira italiana, siamo retrogradi e tanto affezionati alla Pausini, che è la brava ragazza della porta accanto. E lo dico con stima, mi piace la Pausini, fa quello che vuole e lo fa davvero bene. Elisa è la brava ragazza, Malika Ayane idem. E ti ho citato tre donne che stimo molto.

“Duri come me” parla anche un po' di questo?
È una mia riflessione sull'ottenere quello che desidero. Parlo di musica fondamentalmente, ma non è una semplice ambizione professionale, è un'ambizione a vivere di musica, che vuol dire mettersi in gioco continuamente mirando alla cima più alta.

Sei molto anni 90 sai.
Feist la trovi anni 90? Anne Brown, Lily Allen. Feist mi ha influenzata tanto, forse non è così evidente all'ascolto, meglio così.



Mi racconti “Le margherite sono salve”?
Una parte racconta il giorno che è morto mio papà, avevo 9 anni, era il 26 giugno del 1996. Racconto di questo giorno caldissimo in Sicilia, mio papà è mancato di tumore, quindi qui (passa il dito sulla pagina, NdA) c'è la sua malattia: “la vita è una spina al petto”, e poi “l'ultimo saluto prima di vederti andare”. Queste altre frasi invece sono del giorno in cui ho scritto la canzone, il fatto che lo sentissi vicino era una sensazione un po' strana, quasi trascendentale: “Che ci fai qui vicino a me? Perchè mai possiamo vederci?”. Se prima ti ho detto che la persona che stimo di più al mondo è mia madre non era per dire una frase fatta. Lei davvero mi ha insegnato tantissimo, casalinga con quattro figli, in un momento dove tutti eravamo a pezzi si è rimboccata le maniche, aveva la terza media, ha preso il diploma, mi ha portato a Torino e abbiamo cambiato vita.

Tuo padre che lavoro faceva?
Ferroviere, per questo sono innamorata dei treni. Mi piacciono. In realtà lavorava negli uffici, ma ho sempre frequentato le stazioni. Il primo treno l'ho preso quando avevo otto mesi.

Ultime domanda: sono andato a sentirmi il pezzo che hai scelto per 15 domande: "La strada" di Ilaria Forni e Francesco Graziano, cosa ti piace di quella canzone?
E adesso tu mi dirai che sono una pesantona: mi piace il dolore di quella canzone (ride forte, NdA).

Guarda che non sei l'unica. Tra i tutti i nomi usciti, diciamo negli ultimi dieci anni, trovarne uno allegro è difficile.
Ma Brunori non è felice?

No, è molto triste secondo me.
Pure lui (ride, NdA). Ti posso dire una cosa? Sono molto amica con Massimo Gramellini, l'avevo ringraziato per “Fai bei sogni”, che è un libro in cui mi sono ritrovata tantissimo. È un bellissimo saggio sul dolore, parla dalla morte di sua mamma, quando aveva 9 anni, esattamente come me. Lui una volta mi ha detto: effettivamente non sei un artista se non hai passato un'infanzia di merda.

Fai bei sogni?
Quando speravo che mi prendessero per Sanremo ne facevo tanti dove cantavo, ma era una Sanremo anni 60, con i fiori, io ero acconciata bellissima. Quando mangio pesante c'è sempre qualcuno che mi rincorre, non molto di più.

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L'articolo Levante - Fare a meno dello zucchero. Come realizzare i propri sogni anche se nessuno ti prende sul serio di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-03-19 00:00:00

COMMENTI (4)

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  • silvana.piazza.562 10 anni fa Rispondi

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  • lucianomarittimo 10 anni fa Rispondi

    Grande Levante!

  • Prostatico 10 anni fa Rispondi

    bella

  • faustiko 10 anni fa Rispondi

    Una chiacchierata piacevolissima da leggere. E la musica è solo un (bel) pretesto alla fine dei conti.