Inchiesta sulla SIAE: l'equo compenso è davvero equo?

Gianfranco Giardina di DDay.it ci riassume le conclusioni della sua lunga inchiesta, e dei suoi (tristi) risultati

Siae
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25/08/2014 - 11:08 Scritto da Gianfranco Giardina

Tanto si è detto, a proposito e a sproposito, sulla destinazione dei compensi per copia privata. C'è chi dice che se li "mangi" tutti la SIAE, chi dice che siano utilizzati per finanziare la creatività dei giovani artisti.
Si tratta in entrambi i casi di fesserie: lo svela chiaramente un’inchiesta realizzata dal magazine online DDAY.it che ricostruisce per quanto possibile la destinazione del fiume di denaro che entra nelle casse SIAE a titolo di compenso per copia privata e che, molto lentamente, riparte per la ridistribuzione agli aventi diritto.
Di certo i circa 150 milioni di euro di raccolta (sulla base delle nuove tariffe disposte a luglio dal Decreto Franceschini) fanno gola e alimentano un sistema di interessi all’interno del quale è difficile discernere dove finisca il ruolo di garanzia e indipendenza dei ripartitori e dove inizi invece una selva burocratica capace di sollevare una coltre di nebbia che, tecnicismo dopo tecnicismo, parametrizzazione dopo parametrizzazione, rende difficile se non impossibile riconciliare e chiudere precisamente i conti. 
Gianfranco Giardina ci ha provato con una lunga inchiesta su DDay.it, che ha tentato di riassumerci in questo nuovo articolo per Rockit.it

Cosa sono i compensi per copia privata

 

Per chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che un consumatore ha di copiare un contenuto legittimamente acquistato (e quindi tassativamente non pirata) su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che però è sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione anticopia) il consumatore è tenuto al pagamento di un compenso che grava non sui contenuti stessi (almeno quelli copiabili) ma su supporti e apparecchi. Per semplicità di gestione, il compenso viene versato a SIAE da chi importa o produce i prodotti assoggettati, che poi - nella stragrande maggioranza dei casi - carica quest'onere sulla filiera a valle (con incremento di IVA e margine del canale distributivo) fino ad arrivare a consumatore finale. SIAE si occupa della ridistribuzione del ricavato di questi compensi, sottratti i propri costi, seguendo alcune indicazioni di legge (per esempio sulle percentuali tra diverse categorie di aventi diritto) e stabilendo autonomamente altri parametri di ripartizione (come per esempio l’incidenza di quota audio e di quota video e così via).

L’inchiesta di DDAY.it: una complessità di ripartizione che intorbidisce le acque

 

L’inchiesta di DDAY.it, attraverso un lavoro analitico, ha tentato di ricostruire i flussi di denaro a valle della raccolta SIAE, un aspetto su cui, al di là degli aspetti definiti dalla legge, in pochi si sono spinti. Nell’articolo si approfondisce, rivolo per rivolo, dove vanno e secondo quali criteri (a volte decisamente cervellotici) vengono ridistribuiti i proventi per copia privata. E se ne scoprono delle belle, come per esempio che tra i percipienti ci siano anche le sezioni OLAF (arti letterarie e figurative) e DOR (opere drammatiche e radiotelevisive) di cui risulta difficile capire in cosa consistano le copie audio e video che creerebbero nocumento agli aventi diritto. Ma soprattutto emerge un sistema di ripartizioni successive, bloccate dalla tardiva delibera in SIAE delle ordinanze di ripartizione e dai successivi passaggi alle associazioni degli altri aventi diritto (produttori e interpreti/esecutori), le quali a loro volta, chi più chi meno, hanno i loro ritardi e le loro trattenute. Il quadro che ne esce è di un sistema lento, assolutamente non riconciliabile in mancanza di una contabilità separata e quindi difficilmente controllabile, sia dagli enti di controllo che dagli aventi diritto, che pur ricevono qualcosa ma non saranno mai in condizione di sapere se si tratta del giusto o di cifre inique.
Per chi voglia leggere un'analisi approfondita dell'argomento, comprese le modalità di ripartizione delle singole associazioni a valle di SIAE (Anica, APT, Ass.Artisti 7607, Audiocoop, Itsright, NUOVOIMAIE, P.M.I., S.C.F. e Univideo), rimandiamo alla trattazione completa dell’articolo di DDAY.it
Per tutti gli altri, qui sotto c'è un riassunto delle conclusioni ricavate dall'inchiesta. 

Le conclusioni: la copia privata è un sistema costoso, lento e opaco, non sempre dalla parte degli aventi diritto

 

L’utilizzo, nella ripartizione dei proventi da copia privata, di sistemi super-analitici e parametrizzati e di percentuali stabilite a tavolino addirittura con doppia cifra decimale, fanno pensare di certo a un sistema artatamente complicato, tanto da rendere impossibile, in mancanza di contabilità del tutto separate, una precisa rendicontazione. Tanto più che, data la natura intrinsecamente arbitraria e presuntiva della logica della copia privata, il voler rendere più formale e deterministico un sistema totalmente statistico appare un vero colpo di coda di una burocrazia autoreferenziale fuori dal tempo e che tarda a morire.
La ridistribuzione a carattere secondario dei proventi da copia privata, ovverosia perequata su altre ripartizioni primarie, richiederebbe, per un controllo adeguato, l’analisi puntuale di tutte queste ultime: se la ripartizione primaria è mal fatta (o come si dice spesso favorisce i "soliti noti"), finirà per esserlo anche quello dei compensi per copia privata. E questo aggiunge un livello di opacità nel modello di ridistribuzione.
Inoltre il flusso dei pagamenti ha un orizzonte strutturalmente pluriennale, con pagamenti agli aventi diritto che iniziano mesi se non anni dopo gli incassi e con una selva di accantonamenti per rischi veri o presunti; questi fattori, sommati a una certa “pigrizia” di alcuni apparati burocratici, non permettono di chiudere i conti entro orizzonti temporali decenti (si arriva a 10 anni e oltre per una definizione totale), entro i quali c’è spazio per mancate chiarezze e in considerazione dei quali comunque vige un’impossibilità di fatto per gli aventi diritto di controllare i propri conti.
Questa “stagnazione” di capitali nelle collecting, SIAE prima fra tutte, genera ovviamente un importante flusso di proventi finanziari; il paradosso è che, salvo rarissimi esempi (siamo a conoscenza solo di Univideo che accantona su un conto fruttifero) i fondi trattenuti e in attesa di ridistribuzione non generano interessi poi riversati a favore degli aventi diritto (come sembrerebbe d’obbligo sia da un punto di vista legale che morale) ma si trasformano solo in proventi che restano nelle casse di chi cura il collecting: e questo, stante l'orizzonte temporale pluriennale della ridistribuzione, è un vero e proprio scandalo.
Il caso di SIAE da questo punto di vista balza sicuramente agli occhi: con l’equivalente di circa due anni e mezzo di compensi da copia privata ancora in cassa in attesa di distribuzione, ricava di più in interessi su questi fondi parcheggiati che dal proprio (non trascurabile) rimborso spese del 7%. Addirittura, guardando l'ultimo bilancio, se venissero meno i proventi finanziari riconducibili ai soli fondi di copia privata, SIAE vedrebbe il proprio margine operativo azzerato e probabilmente metterebbe a segno una perdita. Il recente aumento rilevante dei compensi stabilito con il discusso decreto Franceschini, porterà in questo sistema “aria fresca”, in grado di rinvigorire i flussi in ingresso in SIAE e quindi di rialimentare la dinamica dei proventi finanziari, pur aumentando i pagamenti agli aventi diritto e magari aumentandone anche un po’ la tempestività.
Una sorta di “refresh” della politica un po’ di facciata che ha portato molte associazioni di aventi diritto a dichiararsi soddisfatte della maggiore velocità nei pagamenti assunta da SIAE, proprio negli stessi anni in cui i debiti verso aventi diritto per copia privata triplicavano passando dai 58 milioni del 2009 ai 151 milioni del 2013.
Un discorso a parte merita la fattispecie dei rimborsi per utilizzi di tipo professionale: da facilitazione per le aziende che dovrebbero essere tenute esenti dai compensi per copia privata, si trasforma addirittura anch’essa in un business per SIAE che, oltre a trattenere spese più alte per questa gestione, mette a segno importanti proventi finanziari sulle cifre accantonate, diventate in questi ultimi anni, altissime rispetto ai rimborsi effettuati. È evidente che bisognerebbe passare a uno schema non di rimborsi ma di esenzioni che eviterebbe sia la gestione burocratica che gli improbabili accantonamenti, a vantaggio sia per gli utilizzatori professionali, che avrebbero il dovuto risparmio a monte, che per gli aventi diritto, che vedrebbero i propri soldi molto prima.
Non crediamo che SIAE ritenga però percorribile una strada che di fatto elimina completamente la sua funzione di società intermediaria.
Quanto alle associazioni a valle di SIAE, rimborsi spese variabili dal 3 al 15% raccontano di un panorama troppo variegato, che forse meriterebbe almeno un indirizzo di tipo governativo a tutela degli aventi diritto che, almeno in alcune fattispecie, non vedono un sistema veramente concorrenziale.
In definitiva, appare oramai chiaro come sia urgente almeno iniziare la migrazione verso un modello legato al reale utilizzo, cosa che i mezzi di distribuzione digitale dei contenuti consentono ampiamente: paga la copia privata solo chi copia e in ragione di quanto copia; ricevono proventi solo gli artisti, esecutori, interpreti e case produttrici copiate, secondo le percentuali di legge.
Certo, in questo modo, potremmo scoprire che il gettito totale da copia privata potrebbe scendere, ma semplicemente perché la stessa copia, nel nuovo contesto digitale, sta cessando di esistere. Si potrà pensare a delle attività di sostegno governative per il settore della creatività; si potrà ipotizzare un percorso pluriennale che ci porti a questo ragionevole obiettivo. Ma bisogna riformare l’istituto della copia privata prima che le “stonature” che emergono da questa analisi diventino così forti da risultare addirittura ingiustizie insopportabili.
Con buona pace dei 16 milioni di euro all’anno che in questo momento alimentano gli apparati burocratici che – quasi più degli aventi diritto – lottano perché il vecchio e non più funzionante sistema della copia privata possa essere eternato sine die.

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L'articolo Inchiesta sulla SIAE: l'equo compenso è davvero equo? di Gianfranco Giardina è apparso su Rockit.it il 2014-08-25 11:08:00

COMMENTI (1)

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  • faustiko 10 anni fa Rispondi

    I soldi sono finiti, ma non per tutti.