Portland

Portland

david ragghianti

2015 - Cantautoriale, Folk, Country

Descrizione

“La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.” Scriveva così Fernando Pessoa nel suo Libro dell'Inquietudine e potrebbero essere queste le prime parole utili a descrivere “Portland”, disco di debutto del cantautore Toscano David Ragghianti. Un lavoro nato per lo più in casa, semplicemente con la chitarra acustica e la voce, e poi affidato a Giuliano Dottori (ex Amor Fou) che ha ne ha curato la produzione e gli arrangiamenti per poi pubblicarlo con la propria etichetta Musica Distesa insieme a Caipira Records.

“Portland” è un disco di canzoni pop lievi che rasserenano. Mai troppo ruffiane o troppo pesanti. Eppure meditative, inquiete, attraversate da una vibrazione esistenziale personale che diviene collettiva. Nove tracce originate da riflessioni e domande, provando a dare risposte oblique, che non impongono una verità ma affiancano chi ascolta. Brani che disegnano piccole volte melodiche sorrette da tante chitarre elettriche mai invasive, e poi pianoforti, mandolini e percussioni. Qualche accenno in levare, qualche risplendente apertura corale e ospiti come Mattia Pittella, Mauro Mr. Fox Sansone e Nico Turner (già al lavoro con Cat Power). Il tutto a racchiudere testi dove ricorrono spesso immagini sulla natura ed emerge talvolta anche uno spirito zen.

Insomma è una specie di percorso di ricerca in forma di canzone quello di “Portland”. La ricerca del “comune abisso a tutti / da dove viene il nuovo” (“I prati che cercavo”) e quella di un equilibrio fra la consapevolezza e “Trilli con la polvere di stelle” (“Amsterdam”). Ma anche la ricerca che tocca a tutti, quella del filo rosso nel labirinto del primo singolo “Tema del filo”, per la quale conviene lo stesso sano ottimismo “delle cicale in estate / (che) ripetono va tutto bene / non ci dobbiamo preoccupare” (“Occhi asciutti”). Perché poi c'è pure il dolore, contro cui non dobbiamo sparare le nostre “Raffiche di fuga”, ma provare invece a lasciarci condurre e proteggere dall'amore, il “bell'inganno / (di) quella carne che mi dai” (“Dove conduci”).

E' fatta di tutto questo la strada verso “Portland”, che come racconta David Ragghianti è “un nome geografico, un luogo dove finisce la terra e comincia il mare. Lo spazio tra finito ed infinito. Un confine da abitare, non una linea. Uno spazio dove si ricompongono gli opposti, e dove io finito posso immaginare l'infinito. A Portland si è un intero. Tutto si ricompone là dove si è separato. Un luogo che ricongiunge. Esiste Portland quando decidi che il centro del mondo è dove sei. Quando parti dalla voce e non dall'eco. Quella siepe come umana finitezza possiamo guardarla come sconfitta oppure pensarla come una circostanza necessaria per mettersi in rapporto con l'infinito, per poterlo intuire attraverso il limite. Portland sembrava una meta, poi si è rivelato un viaggio. Abitare il dove sei. Qui e ora.”

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