Bulbart Festival - Parco dei Camaldoli (Napoli)

Un festival nel bosco con il golfo di Napoli sullo sfondo: atmosfera e buona musica
Un festival nel bosco con il golfo di Napoli sullo sfondo: atmosfera e buona musica

La BulbArtWorks è una di quelle belle piccole realtà napoletane che spinge la musica indipendente in città. Quest’anno lo fa anche organizzando una due giorni di musica nel boscoso Parco dei Camaldoli, “ospitata” da un’altra manifestazione ormai abituale dell’estate napoletana, la Festa di Riscossa Popolare. La location è di tutto rispetto, soprattutto per la posizione dell’anfiteatro dove è montato il palco: non capita spesso di vedere un gruppo suonare con il Golfo di Napoli come scenografia, anche se per fortuna gli eventi musicali al Parco dei Camaldoli stanno diventando un’abitudine.



La prima band che vedo sono i Grammophone. Nonostante lamentino qualche disagio tecnico, i quattro riescono a ricreare fedelmente il sound massiccio ed elegante del loro primo album, “Multiverso”, ibrido di classe fra alternative rock, elettronica e pop sul quale svetta la voce sorprendente di Felice Calenda. Assolutamente promettenti.
I Vena salgono sul palco. Voce tagliente e distorsioni rocciose a manetta, il loro concerto è una mazzata nello stomaco che si riceve piacevolmente, tanto più che sonorità alternative metal e stoner come le loro non sono roba frequente, a queste latitudini. Anche loro hanno un solo album all’attivo, “Inner Circle Emotion”, ma promettono bene.
Il sole è calato, giusto il tempo di sfidare l’oscurità ormai totale del bosco per un panino con porchetta più caraffa di vino, e si cambia completamente atmosfera con La Bestia Carenne: formazione da musica di strada (violino, cajon, due chitarre) e la giusta dose di rilassatezza, divertono e coinvolgono il pubblico, che ormai è abbastanza numeroso e conta diversi fan del quartetto, a suon di folk e swing dal sapore gitano. La formula a metà fra cantautorato e folk stradaiolo funziona ed è sicuramente adatta ad un contesto come questo.



A seguire, il one man-show di Giovanni Truppi. Più che un concerto, un flusso di coscienza disobbediente alle regole e alle strutture metriche, verbali e musicali. Infantile, punk (in senso lato), brillante ma difficile da inquadrare, la musica di Truppi, c’è poco da fare, è così, prendere o lasciare. E a giudicare dall’accoglienza, il pubblico sembra prendere, nonostante non manchino diverse facce perplesse. La cover di Gianfranco Marziano merita, questo è poco ma sicuro.
Altro ripido cambio di atmosfere con i The Vickers, oggi fieri esponenti italici del revival psichedelico a là Tame Impala. Per promuovere il loro “Ghosts” di recente hanno girato un bel po’ anche fuori dai confini nostrani, approdando per esempio sul palco di un festival che potreste aver sentito nominare, il Primavera Sound di Barcellona. Per la gioia di tutti i presenti, il loro è un concerto impeccabile: sound splendidamente “di genere” senza essere eccessivamente derivativo, estetica retrò che non guasta mai, e soprattutto un repertorio forte, che va dal momento orecchiabile alla psichedelia più cupa e rarefatta.



Main act della serata, i The Gentlemen’s Agreement. Il loro recente “Apocalypse Town” è una piccola perla, e non solamente dal punto di vista strettamente musicale o lirico (per dirne una, il disco è stato prodotto interamente grazie al baratto) e lo show mantiene alta la bandiera. Per un’ora si scivola tra melodie brasiliane e ritmi tropicali conditi di rumorismo industriale, accelerazioni afrobeat e chitarre in levare, grazie soprattutto ad una sezione ritmica mutante che passa dal contrabbasso al basso elettrico, da congas e percussioni ad un affare costruito per far suonare pialle elettriche e trapani, senza disdegnare l’uso di pentole e padelle nel drumkit. Su tutto, un messaggio e una storia chiari, quella dell’album e della sua lavorazione; orgoglio operaio e una felice decrescita rurale si mescolano nei testi e nei discorsi del frontman Raffaele Giglio, atteggiamento rilassato ma idee e parole forti, da convinto e coerente portatore del suo messaggio. Per la gioia delle suore del convento che sovrasta il parco, la chiusura della serata è affidata al live set dei Sixth Minor, che salgono sul palco intorno alle due per salutare il pubblico del Bulbart Festival. Il loro set non brilla per eterogeneità, ma l’impatto sonoro è devastante, e la loro dubstep crepuscolare in stile Aucan squarciata da schitarrate industrial è la chiusura perfetta per questa eclettica giornata di festival. Infatti il pubblico, nonostante l’ora, si attarda volentieri.



Tanta musica di generi diversi, realtà locali e non, una bella cornice, pochi euro di ingresso: la festa di BulbArtWorks ha tutte le carte in regola per diventare uno degli appuntamenti di punta dell’estate concertistica napoletana, quindi tanti auguri.

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L'articolo Bulbart Festival - Parco dei Camaldoli (Napoli) di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2014-07-23 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • faustiko 10 anni fa Rispondi

    The Gentlemen’s Agreement una spanna sopra tutti!