Alessio Bertallot - "Che cos'è un dj?"

"La presenza di più musica non ascoltata che ascoltata è una condizione non reversibile che fa parte di una sorta di nuova ignoranza dei tempi in cui viviamo". Alessio Bertallot ci spiega la sua idea di dj

Alessio bertallot
Alessio bertallot

Nella sua lunga carriera, Alessio Bertallot ha affrontato tutti i molteplici aspetti della figura del dj - in radio, come in pista - arrivando ad avere un’idea molto chiara di cosa significhi oggi selezionare canzoni e condividerle con il proprio pubblico. Lo coinvolgiamo nella rubrica “Che cos’è un dj?”, la nostra serie di interviste dedicate a chi, per lavoro ma soprattutto per passione, passa la vita a far ascoltare agli altri la propria musica preferita. 

Negli ultimi anni la fruizione musicale ha cambiato volto in maniera irreversibile e sembra sempre più difficile immaginare un modello dominante che sostituisca quello preesistente, posto che ci possa essere davvero un modello all'orizzonte. Che cosa pensi dello scenario attuale e come vedi il futuro del modo di ascoltare la musica?
L'innovazione tecnologica ha rimescolato le carte e molti modi di fare marketing all'interno dell'industria musicale non rispondono solo ad esigenze creative ma ad un'evidente incapacità di capire che cosa davvero possa funzionare. Ti faccio un esempio che riguarda il mondo dei dj: l'avvento dei giradischi con il controllo della velocità, che doveva servire per rendere quello strumento più adatto alle situazioni di performance dal vivo, ha indotto una creatività forzata: infatti possiamo immaginare che generi come la drum'n'bass o il trip hop siano nati durante sperimentazioni un po' pazze in qualche rave... La tecnologia insomma potrebbe avere instradato una creatività che dunque sarebbe effetto e non causa dell'innovazione tecnologica. Questo mi sembra un modo di descrivere la situazione fluida nella quale ci troviamo, dove ogni cambiamento sul piano della tecnologia ci costringe a riorganizzare creativamente i contenuti, che quindi sono influenzati dal cambiamento stesso.
Il continuo movimento ha un suo lato positivo, ma significa anche dispersione, confusione, disseminazione dei contenuti. Mi viene da usare un neologismo per descrivere tutto questo, e cioè informazionismo: una pioggia di contenuti informativi che spesso tendono a ripetere cose già note e che rendono difficile una forma di organizzazione superiore che sia sufficientemente coerente. Questa situazione secondo me dura da un po' troppo tempo per poter parlare di un momento di transizione. Credo invece che ci troviamo in un'era di intossicazione ermetica che o prelude ad un disegno così ampio da renderne impossibile una previsione, un'intuizione, o prelude ad una vera e propria decadenza. Il disordine, a meno di non essere un caos primordiale, quindi generativo, può diventare pura entropia.

Mi viene in mente il collasso dell'Impero Romano con la conseguente dispersione di informazione che ne derivò.
Sì. Non so se andiamo verso un riordinamento. È come se stessimo attraversando un mare ma senza sapere se c'è una terra dall'altra parte. Come se per inerzia continuassimo un viaggio ma senza sapere quale sia la direzione. Come nella fase di decadenza di un impero.

Credi che in questo panorama la figura del dj possa assolvere ad una funzione organizzativa delle informazioni? La selezione musicale come un isolotto dove fermarsi durante l'attraversamento di questo mare?
Sì, credo che rispetto al passato il ruolo del dj si sia sempre più concentrato su una funzione di filtro, di selector. Prima io ero un dj che andava a Londra e fisicamente tornava in Italia con della musica, ora invece ho tutto a portata di click e quindi seleziono la musica senza muovermi. E credo che la gente si aspetti proprio di poter essere sollevata dalla fatica di non dover fare ricerca e selezione. Questo lo vedo molto per esempio anche nel lavoro che sto facendo per TIMmusic: più proponi dei prodotti, che possono essere banalmente delle playlist, che assolvano a questo compito di guida, e più i fruitori sono contenti. La ricerca può stancare ed io stesso percepisco alle volte questa fatica, pur avendo la motivazione del mio mestiere a a motivarmi. Il dj dunque una volta aveva il compito di farti ascoltare la musica che tu non potevi avere: ora invece è quello che ti dice “Questo sì, questo no, secondo me”. Lo definirei un ruolo culturalmente costruttivo.

È vero però che il mestiere del dj non si limita a questo, non è un algoritmo umano che coordina contenuti: l'altro aspetto interessante è quello della condivisione della musica. Non è vero che si colleziona dischi per sé stessi, ma per condividere qualcosa che si ritiene valido, interessante, bello. È un aspetto ludico, sociale, istintivo, non intellettualistico, assolutamente fondamentale. Credo che il dj sia uno stato dell'essere musica: se da una parte abbiamo l'erudito, il musicologo, che è lo stato “gassoso” della musica, e dall'altra parte abbiamo il musicista, lo stato “solido” della musica, il dj sta al centro, essendo lo stato “liquido”. Io francamente riconosco un primato ai musicisti, sia che si tratti di musicisti tradizionali, sia che si tratti di spippolatori di software o di bottoncini. Il musicista è la radice di tutto.

In una recente intervista Matthew Herbert diceva che la maggior parte della musica su iTunes non è mai stata ascoltata e si chiedeva se forse, invece che continuare a produrre musica, non dovremmo piuttosto fermarci ad ascoltare quella che è già stata fatta. A onore di Herbert va detto che anche lui ha dichiarato di sentirsi, da musicista che produce dischi, parte del problema.
Probabilmente è vero quello che dice lui. Ora è diventato facile fare musica così come è diventato facile fare video o scattare delle fotografie. Tutto questo materiale contribuisce all'intossicazione ermetica di cui parlavo, al disorientamento culturale. Una volta fare un disco era un'avventura che si affrontava con una mentalità diversa. I musicisti, in quanto parte della società nella quale si trovano a vivere, sono una delle cause del disorientamento, e sono d'accordo con il pensiero di Herbert. Bisogna rassegnarsi all'idea che l'avere tutto non significa capirlo e quindi la presenza di più musica non ascoltata che ascoltata è una condizione non reversibile che fa parte di una sorta di nuova ignoranza dei tempi in cui viviamo. Ma forse lo stesso problema si è posto ai tempi della Biblioteca di Alessandria: forse la maggior parte dei suoi libri non venivano letti... Credo che sicuramente ci sia un bisogno nella nostra civiltà di alleggerirsi, e anche io mi rendo conto di come negli anni ciò che ha trovato posto nel mio cuore sia un'infinitesima parte di ciò che ho fatto ascoltare come dj.



Ti è mai successo di sentirti in qualche modo sopraffatto dalla quantità di informazioni da gestire?
Mi succede alle volte di rimanere senza ascoltare musica per due o tre giorni consecutivi. All'inizio non me ne accorgo e mi sento in qualche modo purificato; poi, il primo disco che ascolto dopo questo “digiuno” mi sembra immancabilmente una figata pazzesca. Mi ha sempre colpito questa cosa perché si tratta di una sensazione fisica. Mi sono anche reso conto però che negli anni l'abitudine a gestire questa mole di informazioni ha influenzato la mia creatività come autore di musica. Passo molto più tempo ad ascoltare e selezionare la musica e questo toglie la voglia di afferrarla nel modo in cui i musicisti la sanno afferrare. Fare il dj ti può estraniare da quel mondo profondo e misterioso che è la musica.

Ci sono esperienze musicali come quella di Christian Marclay che hanno cercato di far interagire il mondo del dj e del disco in vinile con quello dell'arte contemporanea. Che cosa ne pensi?
La musica non è teatro e non è arte moderna; io vedo nella musica un elemento istintivo, animale, che non comunica attraverso la razionalità. È vero che ci sono musiche così complesse da avere bisogno di un pensiero profondo sia per essere fatte che per essere capite, però se pensi ad esperienze come quelle di Steve Reich o di Perotino, dove c'è un rigore incredibile che presiede al pensiero musicale, ti rendi conto che anche lì c'è un grado di comprensione nell'ascolto, o di godimento, che è ancora una volta animalesco, istintivo. Tutti quegli esperimenti che violentano la musica per fare spazio ad un contenuto eccessivamente sbilanciato sul piano intellettuale sono interessanti, ma non mi fanno ballare, non mi fanno venire la pelle d'oca. Credo che sia importante mantenere un contatto animalesco con la musica, e non trovo che l'istintività sia un elemento riduttivo della percezione del mondo del quale la musica è una parte. Istintivamente si capiscono delle cose con una profondità spesso maggiore rispetto a quanto offertoci dal puro raziocinio. Io vedo la musica come una porta verso qualcosa di veramente trascendente.

Nicola Piovani diceva che Fellini riteneva i musicisti non dei veri artisti ma dei rabdomanti che trovano la musica e la portano dal piano in cui si trova a quello della realtà.
Sì, anche io nella mia piccolissima esperienza in questo senso ti posso dire che più che costruire qualcosa, ho spesso avuto la sensazione di dover dissotterrare. Spesso devi abbandonare delle cose per trovare quello che stai cercando, e non metterne delle altre.

Il dj fa anche questo infatti: il crate digging, la famosa ricerca della perla rara o inaspettata seppellita nelle vaschette di qualche bancarella male in arnese.
Alle volte il dj si trova a farlo ahimé anche nel proprio disordine, e non solo in quello degli altri!

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L'articolo Alessio Bertallot - "Che cos'è un dj?" di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2016-02-23 15:18:00

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