Luigi Tenco - Ben oltre la tristezza: le rivoluzioni di Luigi Tenco

Tenco ha l’eredità nominale di artista triste, desolato e senza speranza; tutte cose che non sono altro che un superficiale cumulo di aggettivi comodi e fuorvianti.

luigi tenco
luigi tenco - Foto via facebook.com/luigitenco60s

"Un uomo come tanti altri
e mi sento il più solo di tutti
come tanti altri."

Diversi anni fa, in una grande libreria di Roma, presi in mano un libro intitolato “Il ritratto oscurato di Pavese allegro” e immediatamente pensai a una canzone di Luigi Tenco, “Ieri”, probabilmente la sua canzone apparentemente più ‘allegra’ ed emotivamente sbruffona - l'unica, in effetti, in cui Tenco si concede un "fai come ti pare, tanto non t'amo più".  Con Pavese, oltre a condividere – forse – la forma di una fine, Tenco condivide oggi l’eredità nominale di artista triste, desolato e senza speranza, tutte cose che, nel suo caso, non sono che un superficiale cumulo di aggettivi comodi e fuorvianti.

Individuare nella tristezza la caratteristica principale della scrittura di Tenco significa relazionarsi alla sua discografia con una prospettiva non analitica, che ci porterebbe facilmente, invece, a riconoscere nel cantautore alcuni tratti rivoluzionari nell’approccio riflessivo e filosofico al pensiero cantato mai eguagliati nel secolo scorso. Lasciare da parte la centralità emozionale dunque, smettere di soffermarsi sulla tristezza, l’allegria, la desolazione come tratti caratterizzanti della sua scrittura.

Luigi Tenco, come nessuno prima e nessuno dopo di lui, ha avvicinato in primis il tema dominante di tutte le canzoni del mondo, l’amore, e lo ha rivoltato, iniziando a osservarlo e raccontarlo da una prospettiva completamente nuova, esegetica in modo capillare e descrittivo. Al centro dei brani, insomma, non ci sono più solo i sentimenti e le emozioni, com’era accaduto sempre e come sempre accadrà nella maggior parte delle canzoni d’amore che popolano le nostre vite, ma la natura profonda, spesso persino cerebrale della nascita, dello sviluppo e della fine di quei sentimenti. Oltre a ciò, sono ancora oggi moltissimi i temi che nella narrazione del personaggio-Tenco sono stati cancellati dalla memoria collettiva.    

"Visto che il nostro artista, assomiglia all'uomo tipico del nostro tempo" - La canzone sociale

Proprio a partire dagli angoli di alcuni brani della sua discografia a tema sentimentale, Luigi Tenco compone un meno conosciuto repertorio di brani connessi a tematiche sociali andando a distruggere in modo completamente avanguardistico alcune concezioni in auge negli anni '60.
L'idea canonica secondo la quale un ragazzo debba incontrare una ragazza che la sera anziché uscire se ne va a letto presto in "Una brava ragazza", oppure, nella straordinaria "Uno di questi giorni ti sposerò" un attacco al matrimonio come giuramento e sigillo di un'eternità impossibile - Tenco non ha ancora trent'anni ma conosce già tutto il velo di inverosimile che avvolge l'idea stessa di eternità:

Un giorno di questi
ti giurerò d'amarti
sino all'ultimo giorno;
ma tu sai già benissimo
che non si può sapere
cosa sarà domani. 

Un giorno di questi
ti sposerò, stai tranquilla,
così tu avrai diritto
di avere quelle cose
che adesso io ti do
soltanto perché t'amo:
anche l'amore.

Eppure, oltre all'arcinota "Ognuno è libero", che esce nel 1966 come "Ma che colpa abbiamo noi" dei Rokes affrontando lo stesso tema, Tenco scrive alcuni brani in cui si sofferma su temi di rilevanza sociale davvero calda: in "Vita familiare" struttura il testo su un'udienza ideale tra un uomo che vuole divorziare perché non ama più sua moglie, e un giudice; in "Vita sociale (ballata del progresso)", mette in piedi un valzer contro corruzioni e tentativi di furberie all'italiana.

Queste canzoni fanno oltretutto a pezzi l'idea del Tenco triste, sono brani ironici, interpretati in modo spesso molto teatrale, canzoni in cui la musica è assolutamente meno centrale rispetto alla parola.
Un pezzo sconvolgente, in questo senso, è "La ballata della moda", il pezzo che andrebbe messo prima di molti altri nelle antologie scolastiche: Tenco qui prova, attraverso le peripezie di un personaggio protagonista, Antonio, a raccontare il meccanismo che porta la comunità a seguire la moda, autoconvincendosi di agire per volontà e gusto e non, come invece accade in realtà, per automatico stordimento pubblicitario.
Non è tutto: Tenco, ne "La ballata dell'arte", formalizza il dibattito sul legame tra arte e società, tra uomo artista e uomo comune, qui cita Nietzsche, il mito della personalità e del Superuomo e si apre a una vera e propria dichiarazione di politica poetica.

Mentre l'Università entra molto lentamente nella vita degli italiani, Tenco è sul pezzo ancora una volta e con "Hobby" affronta il tema delle passioni e delle curiosità che si incontrano - o scontrano - con le possibilità economiche di chi può studiare ma non è interessato a ciò che studia e di chi invece lavora ma coltiva la propria passione nel tempo libero.

Per raccontare le diseguaglianze passando per le promesse false dell'autorità riconosciuta, in "Cara maestra", si avvale delle tre figure chiave dell'immaginario della provincia italiana: appunto la maestra, il curato e il sindaco. L'immagine del curato ritorna poi nella divertentissima "Un prete in automobile", una riflessione sottesa sull'uomo comune, i ruoli sociali, i confini tra il pensiero nobile di chi ne è riconosciuto come portatore sociale e il pensiero pratico comune a tutti.

La mia personale menzione, tra questi pezzi, va al protofemminista "Giornali femminili" che si accompagna benissimo proprio a "Prete in automobile". In "Giornali femminili" Tenco ride letteralmente in faccia all'idea secondo cui, viste le tematiche affrontate nei giornali femminili, la donna sia interessata unicamente a problemi futili, preoccupazioni di natura sentimentale, amori ideali con qualche grande attore da copertina e non, ad esempio, problemi alti come -  cito: "trasformare la scuola, abolire il razzismo, proporre nuove leggi, mantenere la pace". Un colpo da maestro, questo, davvero poco conosciuto.

"Più mi innamoro di te e meno tu mi ami" - La canzone d'amore

Anche quando scrive d’amore, Tenco lo fa da una prospettiva completamente nuova, e per capire questo aspetto della grana della sua scrittura non serve allontanarsi troppo dalle sue hit più famose. L’intera “Mi sono innamorato di te” altro non è che il racconto, razionalizzato, del processo dell’innamoramento, qualcosa che insomma scardina lo stilnovismo alla buona a cui le canzoni italiane popolari ci avevano abituato. Un senso di noia, di solitudine percepita (“non avevo niente da fare”), non i capelli biondi, gli occhi chiari, la pelle morbida e le gambe lunghe della donna: questo è il casus belli effettivo dell’inizio di un sentimento che, una volta nato e radicato nell’uomo, lo fa scontrare con una diversa percezione, contraria a quella da cui si era originato. Al senso di noia si sostituisce la sensazione di aver investito tutte le energie nel tormento amoroso, mentre fuori i sogni più intimi e solitari perdono quota e sono sostituiti dal pensiero – doloroso e costante, dell’altro.

Comunque la si pensi, l’analisi scientifica di Tenco del processo in questione è, nei secoli dei secoli, inappuntabile.
In “Ah… L’amore, l’amore”, uno dei suoi brani più interessanti anche nella struttura musicale, il ragionamento continua: leopardianamente l’amore è fonte di dolore continuo, l’amore è parole al vento, fa inventare poesie, sognare valli lontane ma brucia i sogni (il tema ricorre, il verso richiama quello, analogo, di “Mi sono innamorato di te”) e ti fa perdere il sonno.
Anche in questo brano, come spesso accade in Tenco, ci sono un paio di versi che possono raccogliere da soli il senso totale della canzone, sono bellissimi e sono un paradigma perfetto del viaggio dell’innamoramento:

E ti senti più grande del mare
e ti senti ancor meno di niente”,

ecco come, con una semplicità sconvolgente, l’autore rivela le alternanze del piacevole massacro dei sentimenti per disegnarne, poco dopo, la sua caratteristica prima, l’irrinunciabilità:

Ah… L’amore, l’amore
come puoi dir di no all’amore?

“La ballata dell’amore” continua la riflessione analitica sul tema ma cambia la prospettiva che, a questo punto, diventa meta-riflessiva. Il punto, qua, non è più l’amore ma il parlare d’amore e, più in generale, il modo in cui il mondo si relaziona narrativamente al sentimento; rime scansate, Tenco ci dice che va così:

Chi fa dell'amore la cosa più grande,
chi invece lo vede soltanto come un gioco,
chi ha dell'amore i suoi giorni più belli,
chi invece vi trova solo disperazione

Nell’ultima strofa il soggetto si sposta e l’amore diventa il soggetto a cui l’autore si rivolge direttamente sottraendosi, per una volta, alla scelta di dargli un ruolo e una definizione, di consumarlo a parole:

"Amore, amore, amore, amore, amore...
povero amore ti cercano sempre,
parlan di te anche troppo sovente,
io per una volta
non dirò niente."

Sembra che Tenco sia in qualche modo ossessionato, nella sua scrittura d’amore, da un tema che lucidamente è centrale nell’analisi della questione: lo smarrimento del progetto del singolo che, innamorato, perde di vista sé stesso e lascia che il sentimento si prenda tutto. L'argomento, che come abbiamo visto è focale in “Mi sono innamorato di te” e ritorna in “Ah… L’amore, l’amore”, si presenta anche in “Guarda se io”, una delle canzoni d’amore di Luigi Tenco in cui è evidente il senso di dannazione intrinseco, per l’autore, nel sentimento amoroso. Come in una specie di invocazione a metà tra senso di benedizione e maledizione, “Guarda se io" e “Se sapessi come fai” tuonano, con due titoli che sono locuzioni di uso comune se si parla di fasi diverse dell’incidente dell’incontro, un senso di rabbia per l’inevitabile smarrimento di un sé precedente:

Guarda se io che ero cosi sicuro della mia vita
dovevo incontrar te
ed ecco, da un momento all’altro 
nel mio mondo di ieri non capirci più niente,
nel mondo di domani vedere solo te

Se sapessi come fai” forse è il più grande inno italiano contro le tattiche amorose e le tira fuori da un antro nascosto per analizzarne – ancora analisi, sì – la struttura con il sogno, consapevolmente un po’ sadico, di provare a invertire le parti, di essere per una volta carnefice e non vittima:

Vorrei che per un giorno solo
le parti si potessero invertire:
quel giorno ti farei soffrire
come adesso soffro io.

Se sapessi come fai
a fregartene cosi di me,
a sapere cosi bene
sino a che punto ho bisogno di te,
a saperlo cosi bene
ancor meglio di me.”

Nell'anno precedente, 1965, Tenco aveva già pubblicato, sulla stessa identica linea, "Tu non hai capito niente" che stravolge tutti gli "in amor vince chi fugge" mai sentiti, e azzarda un'inversione dei ruoli di genere all'epoca certamente ancora centrali.

"Tu non hai capito niente
di come sono io
e di come ti amerei di più
se una volta fossi tu a cercarmi. 

Tu non hai capito niente
stai lì ad aspettare
devo sempre essere io
il primo a chiedere l'amore.

Poi appena ti stringo
una mano tra le mani
allora tutto cambia
tu diventi uguale a me
ma è già un'altra cosa
non è più la stessa cosa
è il primo passo
che vorrei da te."

Quello che Luigi Tenco fa, con una certa costanza, nei propri testi, è rivelare il ragionamento d’amore, le sue trame nascoste, i suoi desideri celati, quelli che insomma non si limitano alla sublimazione del desiderio ma riguardano le proiezioni intime dell’amante sullo sviluppo della storia, sulle sue trame, alti e bassi, attese, fini.

"Lontano, lontano", forse la più pop tra le sue canzoni, quella più rotondamente riuscita, compiuta, ha nel suo nucleo proprio queste proiezioni che colloca addirittura nel futuro. Fa parte della fine di una storia, vagheggiarne i riflessi in istantanee degli amori che verranno. Tenco, in questo senso, può non essere per tutti, perché conosce questi giochi della mente in amore, li scardina e li mette al microscopio, poi ti invita a guardare ed è possibile che tu non riconosca la composizione più piccola della materia amorosa sotto la lente: in questo senso non stiamo parlado di un autore semplice per definizione, e questo ben al di là dell'immediatezza del suo linguaggio. La sua scrittura pretende che esista, tra autore e ascoltatore, una simbiosi di sguardi, un livello comune di concezione e accettazione del sentimento e della sua analisi.

In definitiva, il viaggio di Tenco tra amore e società è, soprattutto, un continuo viaggio narrativo dentro sé stesso. Da "Una vita inutile", a quello che può essere considerato un vero manifesto, "Io sono uno", si distingue "Come mi vedono gli altri", un ragionamento, su un valzer fiabesco, su come sarebbe potersi osservare dall'esterno: "La mia paura è che a vedere me come sono, io potrei rimanere deluso".

 

---
L'articolo Luigi Tenco - Ben oltre la tristezza: le rivoluzioni di Luigi Tenco di Giulia Cavaliere è apparso su Rockit.it il 2017-01-27 07:00:00

COMMENTI (5)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • latinslaves 5 anni fa Rispondi

    Ciao GIulia
    cosa ne pensi della canzone "Una brava ragazza"?

  • iw0bim 6 anni fa Rispondi

    Luigi Tenco rimarrà nella storia !!!R.i.p.

  • josenrica 7 anni fa Rispondi

    Analisi perfetta, accurata, minuziosa, precisa. Si percepisce una profonda conoscenza dell'uomo, dell'artista, del poeta, del profeta. Complimenti all'autrice anche per l'esposizione corretta (non stupitevi di questo termine...) scorrevole, molto piacevole, sempre in opportuna correlazione ai versi analizzati. Grazie

  • massaronipianoforti 7 anni fa Rispondi

    Hanno ammazzato Tenco,
    Tenco è vivo.

    Grazie Giulia

  • coraline91 7 anni fa Rispondi

    Grazie per questo articolo.
    Un'analisi dettagliata, ben fatta e ben scritta di un'artista poco capito.