Donatella Bardi, una voce che parlava di bellezza

La breve e luminosa carriera artistica di Donatella Bardi, regina del Re Nudo Pop Festival, vale la pena di essere raccontata

Donatella Bardi
Donatella Bardi
30/01/2017 - 15:50 Scritto da Giuseppe Catani

Il Festival pop di Parco Lambro, Milano alla ricerca di un miracolo, Re Nudo (il mensile fondato nel 1970 da Andrea Valcarenghi) a dirigere il traffico. E un’ultima edizione, quella del 1976, conclusa con un disastro annunciato. A quarant’anni da quegli eventi, siamo stati in molti a ricordare, tutti – chi più, chi meno – trascinati dalla nostalgia canaglia, da un incontenibile desiderio di (ri)scoprire il perché di determinate dinamiche, le stesse che hanno reso così esplosivi gli anni ’70. Partendo dalle numerose contraddizioni di una sinistra extraparlamentare talmente piena di sigle, frazioni e frazioncine che a ricordarle tutte viene il mal di testa: d’altra parte, la tre giorni di Parco Lambro era dedicata proprio agli arrabbiati, ai non garantiti, al cane sciolto e al frikkettone, a quella galassia che poteva raccogliersi all’interno della dicitura “proletariato giovanile”.

(foto di Dino Fracchia)

Spesso, nelle analisi tese a ricordare quelle giornate convulse, si è corso il rischio di porre in secondo piano la protagonista assoluta di quei Festival: quella musica ribelle, incazzata, a volte un po’ mistica e/o avanguardista capace in ogni caso di aggregare, costruire e inventare. Peraltro, da quelle parti, ci son passati in tanti, forse troppi.
Alcuni di loro sono tuttora in sella (come Eugenio Finardi), di altri non si capiva il perché fossero capitati lì in mezzo (che dire di Adriano Pappalardo?), altri ancora sono finiti nell’oblio (non dovrebbero essere in tanti a ricordare i Comma 22 o gli Opium).
Poi, c’è chi ai Festival di Re Nudo è cresciuto, fino a diventarne una delle presenze più apprezzate. Donatella Bardi, per esempio.

Esordio nell’edizione del 1972, a Zerbo, con Il Pacco, band nella quale militano Alberto Camerini, suo fidanzato dell’epoca, oltre al già menzionato Finardi, band nella quale entreranno poi Ricky Belloni che da lì a poco avrebbe ingrossato le fila dei New Trolls, Lucio Fabbri, destinato a entrare della line-up della Premiata Forneria Marconi, Paolo Donnarumma e Walter Calloni.

In realtà, la breve (purtroppo) parabola di Donatella Bardi non parte tra il caos organizzato dei Festival di Re Nudo. Lei, nata a Torino nel 1954, dotata di una voce bellissima, è attiva da tempo nei circuiti underground di Milano, la sua città di adozione. “Ricordo il nostro primo incontro" racconta a Rockit l’artista psichedelico Matteo Guarnaccia "lei nascosta dietro i suoi lunghi capelli e ad Alberto (Camerini). Indossava un afghano bianco e un sorriso. Era seduta con noi (tra gli altri Eugenio Finardi, Mario Camerini, Gigi Lobina) al tavolo de ‘Il Ragno’, un baretto di Brera. Quando cantava la sua voce parlava di bellezza e occhioni sgranati”.
La stessa voce che troverà spazio all’interno di “Volo magico numero 1”, la seconda fatica discografica di Claudio Rocchi: suo il controcanto nella title-track. È la prima di una serie di collaborazioni che da lì a poco vedrà l'artista a fianco di Simon Luca, Equipe 84, Nino Tristano, Loy & Altomare.

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In attesa che succeda qualcosa di rilevante, Donatella, fedele alla linea di un decennio attraversato da venti di ribellione pronti a scardinare la sacra trimurti famiglia-casa-benessere, trova rifugio nella Comune di Terrasini, dove prova a cercare nuovi stimoli. Ed è probabile che la fuga serva anche a cercare se stessa. “Sono andata in Sicilia – dichiara in un’intervista concessa a Gong nel 1975 – perché erano ancora gli anni in cui si andava via da tutto (…). Ho abitato per due anni in un posto meraviglioso, un castello rosa a picco sul mare, sul filo dell’Africa, lontana dal crampo di Milano e dai cento problemi di studentessa fallita e di cantante ancora da svezzare (…). Eravamo dei figli della borghesia, in fondo, e stavamo lì a guardare le cose come su un palcoscenico. Gli altri si aprivano di più, ma noi continuavamo a non capire. Alla fine lo abbiamo capito, e abbiamo avuto almeno la coerenza di far scivolare la musica dietro questi pensieri”.

Una volta lasciata la Sicilia e riabbracciata Milano, in casa Bardi, una sera, squilla il telefono: è Pier Tacchini della Wea, c’è un contratto già pronto, basta una firma e il gioco è fatto. È il 1974 e la musica può davvero cominciare a scivolare dietro i pensieri di Donatella Bardi. I contatti con Donnarumma ripartono, lui nel frattempo si è fatto un nome anche negli ambienti mainstream suonando nei dischi di maggior successo di Drupi. I due decidono di chiamare a dar man forte il tastierista Gianfranco “Pepe” Gagliardi e il batterista Antonello Vitale, Donatella porta con sé il fratello Lucio, 16 anni, alla prima tappa di una carriera che lo porterà a suonare con i più affermati cantautori italiani, da Edoardo Bennato a Roberto Vecchioni, passando per Ivano Fossati e Francesco De Gregori. In studio avranno una parte anche il chitarrista Kalvin Boullen e il violinista Goran Marianovich.

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Buona parte delle canzoni che troveranno spazio tra i solchi del vinile sono registrate a Tortona seguendo l’istinto, anche nella scelta del titolo: “A Puddara è un vulcano”.
“Siamo entrati in studio con del materiale pronto, vecchio di anni – spiega ancora la Bardi tra le pagine di Gong – e ci siamo accorti che non andava bene. Così abbiamo creato: improvvisato, proprio come si faceva una volta, senza gimmicks, base registrate, effetti”. Anni dopo, Paolo Donnarumma ricorderà quei giorni così: “Io facevo un po’ da coordinatore (sinonimo di produttore, nda) perché conoscevo il ritmo del lavoro di studio, i tempi e il metodo ma c’era molta libertà. Davo magari delle indicazioni sul suono: perseguivo questa mia ricerca sul suono ‘naturale’, senza riverberi. Tenendo comunque conto che eravamo agli inizi dell’era della tecnologia e i mezzi erano quelli che erano. Parliamo di 35 anni fa. Siamo andati a Tortona senza aver fatto una pre-produzione. Allora non si usava. Si entrava in studio magari segnando qualche appunto, ma poi si faceva tutto lì, la componente umana era assolutamente fondamentale” (dichiarazione tratta dal booklet della ristampa su cd de “La Puddara è un vulcano”, curata della Vololibero e uscita nel 2010).

(L'interno di "A puddara è un vulcano", foto via)

L’esordio discografico di Donatella prende forma nel 1975. Undici le canzoni messe insieme all’interno dell’album, i testi sono farina del sacco di Vitale, mentre la parte musicale è divisa in parti pressoché uguali tra Gagliardi, Donnarumma e la stessa Bardi, che offre a papà Mario, pittore parecchio affermato all’epoca, il recitativo di “A Puddara”. È un disco che a riascoltarlo oggi suona un po’ datato, peraltro come una buona parte delle produzioni dell’epoca, ma la sua bellezza è al di fuori di ogni discussione.
La voce di Donatella è morbida e coinvolgente, la musica pesca a piene mani dalle tradizioni popolari e dal country-folk che andava per la maggiore in quegli anni, senza dimenticare qualche divagazione in direzione rock e progressive. “A Puddara è un vulcano” non avrà riscontri significativi dal punto di vista commerciale e, al di là delle dichiarazioni di facciata, Donatella non ne sarà del tutto soddisfatta. “Il disco non rispecchia quel che era Donatella" confida a Rockit suo fratello Lucio "Sandy Danny, Grace Slick e Janis Joplin erano le sue influenze caratterizzanti, ma in ‘A Puddara…’ non si sente, si sente più che altro il percorso musicale dei musicisti che la accompagnarono. No, lei non era felicissima di quelle registrazioni, registrazioni che non le rendono giustizia, ma parliamo di canzoni che hanno comunque un loro valore”.



“A Puddara è un vulcano” avrebbe dovuto essere un punto di partenza per Donatella Bardi, invece rappresenterà un punto di non ritorno. Lei prova a staccarsi dal mondo della discografia, non prima di aver regalato la propria voce ad Alberto Camerini in “Bambulè”. Alla fine del decennio c’è un ritorno di fiamma: Donatella riprende a studiare canto, registra dei jingle con Patrizio Fariselli degli Area, collabora con la percussionista Mariolina Zitta, torna a lavorare con Claudio Rocchi e, a all’inizio dei ’90, entra nel gruppo di estrazione etnica Ensemble. Nel frattempo mette su famiglia, cosa che non le impedisce di scoprire la recitazione, tanto da entrare nella compagnia teatrale di Memè Perlini. Si dà da fare, insomma, anche se non da protagonista assoluta. Chissà, forse un giorno avrà anche pensato di tornare a incidere un disco tutto suo, anche se non lo sapremo mai: la morte colpisce Donatella Bardi all’improvviso il 13 dicembre del 1999, all’età di 45 anni, mettendo la parola fine a una vita artistica dalla quale avrebbe meritato qualcosa di più.

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L'articolo Donatella Bardi, una voce che parlava di bellezza di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2017-01-30 15:50:00

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