La storia di “L'anno che verrà”, uno dei più grandi successi di Lucio Dalla

Chi era il destinatario "troppo lontano" a cui Lucio Dalla scriveva "più forte"? Tutta la storia e l'analisi di "L'anno che verrà"

"L'anno che verrà" fu registrato nel 1978 agli Stone Castle Studios, situati nel castello di Carimate (Como), nati per volontà di Antonio Casetta, discografico della Bluebell e della Produttori Associati, tra gli artefici del successo di Fabrizio De André: una struttura in cui artisti, musicisti e tecnici potevano vivere a stretto contatto in un ambiente isolato per concentrarsi sulla registrazione dei dischi senza distrazioni e vincoli di orario. Attrezzature e personale di prim’ordine popolavano gli Stone Castle Studios: e fu proprio un fonico leggendario, Ezio De Rosa, a registrare il brano di Dalla, supportato dall’orchestra diretta da Giampiero Reverberi (che scrisse anche gli arrangiamenti dei pezzi) e la studio band del cantautore, composta da Ron al pianoforte, Ricky Portera alla chitarra, Marco Nanni al basso e Giovanni Pezzoli alla batteria.

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"L'anno che verrà" andò a concludere la scaletta di "Lucio Dalla", il disco, uscita a febbraio 1979, che capitalizzò la popolarità del cantautore bolognese e l’eccellente qualità tanto dei suoi precedenti dischi con Roberto Roversi quanto del primo scritto interamente da solo, il capolavoro "Com’è profondo il mare", convertendola in un successo duraturo che consacrò Dalla tra le star del firmamento musicale italiano. L’album sarebbe stato infatti il più venduto dell’anno, precedendo in classifica l’altro disco di Dalla del 1979, il live "Banana Republic" in condominio con Francesco De Gregori. Metà dei brani di "Lucio Dalla", pur non essendo mai stati pubblicati su 45 giri, finirono per essere dei singoli in radio: "L’ultima luna", "Stella di mare", "Anna e Marco", "Cosa sarà" (scritta con Ron e cantata con l’amico De Gregori) e, appunto, appartenente al filone popolareggianti del repertorio di Dalla, lo stesso di brani come "4 marzo 1943" e "Piazza Grande", "L’anno che verrà" non concludeva solo l’lp in cui era inserita: idealmente concludeva gli anni '70.

Il peso degli anni di piombo si fa sentire nel testo di questa canzone scritta in un 1978 costellato di tragedie nazionali (il delitto Moro e il dilagare del terrorismo; la morte naturale di papa Paolo VI e quella misteriosa del suo successore Giovanni Paolo I; le dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, sospettato di corruzione), cui Dalla fa riferimento nel testo, a volte ironicamente: i versi "Si esce poco la sera compreso quando è festa / e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra" alludono infatti alla paura della violenza terrorista e malavitosa che ai tempi causò effettivamente la chiusura in casa delle famiglie, fatto testimoniato anche da molti film dell’epoca, così come la trasformazione promessa dalla televisione si riferisce invece alla sicurezza esibita dal governo in un calo dell’inflazione per il 1979 (salirà invece quasi al 20%).

Per questi motivi "L’anno che verrà" interpretò benissimo un diffuso sentimento popolare, ovvero la stanchezza per il clima di violenza e difficoltà economiche in cui si dibatteva il Paese, in un biennio, quello 1978-1979, in cui si stava concretizzando il quello che venne definito riflusso, ovvero il desiderio di un ritorno alla sfera del personale, fatta di fuga dall’impegno politico e di un edonismo sfrenato che per il momento si concretizzavano nel successo della disco music e delle mitologie, anche cinematografiche, ad essa collegate.

Scritta in una forma davvero originale, quella della lettera, non totalmente inedita nel pop rock (basti pensare a "Letter to Hermione" di David Bowie, 1969), ma al contempo poco frequentata, e ispirata dalla lettura di "La passeggiata" di Robert Walser, in cui dalla consapevolezza dell’infelicità si passa all’evocazione del mondo come vorremmo che fosse, "L’anno che verrà" parte appunto elencando cosa ancora qui non va. E non a caso sceglie la forma e il ritmo del fado, genere folkloristico portoghese, il cui nome, come recita Wikipedia, “deriva dal latino fatum (destino) in quanto si ispira al tipico sentimento portoghese della saudade e racconta temi di emigrazione, di lontananza, di separazione, dolore, sofferenza”.

I motivi di dolore e sofferenza sono esposti nella seconda strofa (gli anni di piombo, la solitudine dei poveri di spirito), ma a partire dalla terza vengono elencate le speranze per l’anno nuovo, evocando una sorta di Paradiso in Terra in cui si ritroverà il senso di comunità, chi soffre smetterà di farlo, ci sarà abbondanza per tutti, miracoli simbolici per cui i poveri di spirito di cui sopra potranno esprimersi (i sordi che già lo fanno invece sono gli egoisti, quelli che né ascoltano gli altri né sono disponibili verso il prossimo e connotano la nostra società), l’omosessualità non sarà più condannata, scompariranno cretini e troppo furbi e sarà permesso il matrimonio dei preti (tema caldo negli anni '70, in cui per questo motivo i cattolici d'Olanda del cardinale Alfrink avevano minacciato lo scisma e l'11 marzo 1970 don Pio Ottemio, parroco di Casale Monferrato, presentò ai fedeli la fidanzata Clara Panizzolo per evitare lo scandalo. Prete sospeso, parrocchiani dalla sua parte. Dino Risi ci trasse un bel film, "La moglie del prete").

foto di Gorup de Bezanez - Wikimedia
foto di Gorup de Bezanez - Wikimedia

Il brano, dunque, nelle strofe si solleva dalla commiserazione del presente alla speranza in un futuro di giustizia: coerentemente Dalla armonizza in maggiore (tonalità che comunica positività) invece di utilizzare il minore, più diffuso nel fado (tonalità che comunica tristezza e sentimenti negativi). Poi, la tonalità si alza progressivamente: dal Re delle prime due strofe (doléances sul mondo che non va) si eleva di un tono (Mi) nella seconda strofa e mezza (dedicata comunità e abbondanza) e poi ancora di un altro tono e mezzo (Sol) nella terza strofa (in cui si parla della fine delle discriminazioni sessuali).
A questo punto si vola in alto di due toni e mezzo (giungendo in Do) e si passa a un ritmo rock (proprio tipico del primo rock’n’roll, dondolante, swingante) che esalta il desiderio bruciante che tutto ciò che si desidera avvenga, fosse anche per un istante (un espediente utilizzato anche in altri brani di "Lucio Dalla", come "Stella di mare").
Ancora una volta, la struttura armonica sottolinea il discorso: dal Do ci slancia in Re (un altro tono sopra, e un’ottava rispetto all’inizio della canzone), per poi ricadere però significativamente in un malinconico Si minore, che pare indicare la coscienza che, in fondo, si tratta solo di vane speranze, che vengono però riaffermate perentoriamente dal conclusivo Si maggiore. Esauritosi lo slancio velleitario del sogno, si ristorna mestamente alle strofe dal sapore di fado (scendendo in Sol) e concludendo con un misto di disillusione e speranza: "L'anno che sta arrivando tra un anno passerà" (vanità delle speranze), ma comunque "io mi sto preparando: è questa la novità" promessa all’inizio della lettera.

Magistralmente Dalla ha così unito ansie collettive e motivi derivanti dalla profonda crisi personale, già ampiamente testimoniata in tutto l’album "Com’è profondo il mare". Ma chi è l’amico a cui è indirizzata la lettera? Ai tempi, l’omosessualità mai dichiarata, ma al tempo stesso conosciuta da tutti, faceva sì che si ritenesse indirizzata a un cantautore greco “amico” di Dalla (mai saputo chi fosse, ma si sa come funzionano le leggende metropolitane).
Ma se invece la realtà fosse un’altra? Se l’amico molto lontano a cui è necessario scrivere più forte per farsi sentire fosse davvero molto lontano, così lontano che per lui sarebbe una novità anche sapere una cosa banale come il fatto che l'anno vecchio è finito e Dalla si sta preparando a quello nuovo, che, come già detto, poi è una sorta di Paradiso in Terra?
Sarà follia, ma in quell’amico ci vedo una testimonianza della fede di Dalla: a mio avviso, probabilmente l’amico è Cristo e l’intera canzone è una preghiera. Il che mi pare coerente tanto con i riferimenti religiosi contenuti in tutto il testo quanto con l’antica identificazione di Dalla come povero Cristo proclamata fin dai tempi di "4 marzo 1943" (per la gente del porto io sono / Gesù Bambino: testo di Paola Pallottino, ma “cucito” addosso a Dalla), con cui, forse dunque non a caso, questa canzone ha in comune anche i riferimenti stilistici prettamente musicali.

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L'articolo La storia di “L'anno che verrà”, uno dei più grandi successi di Lucio Dalla di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2017-03-01 18:00:00

COMMENTI (3)

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  • manor 5 anni fa Rispondi

    Ho letto questa recensione, trovata mentre cercavo tutt'altro. Ovvero: a chi è dedicata Stella di Mare, nello stesso disco? Quindi mi inserisco anche io nella querelle. Se l'Anno che Verrà è forse dedicata ad un amico lontano (Cristo? Perchè no?), io ho la sensazione, tenendo presente quello che si dice sulla sua importante relazione con Rosalino Cellamare, pianista della band di Dalla,che Stella di Mare sia dedicata a Ron. O meglio al suo rapporto intimo, perchè no?, con lui. Magari è una mia fantasia. Qualcuno può dirmi qualcosa?

  • Alma 6 anni fa Rispondi

    Articolo e interpretazione profonda, credibile e soprattutto molto interessante. Grazie!

  • qlone 7 anni fa Rispondi

    Mi è piaciuto molto questo articolo, che si sofferma anche su questioni strettamente musicali (cosa che non si vede spesso), mi ha deluso però il paragrafo finale riguardo l'interpretazione del destinatario della lettera.
    Pareri ne ho anche io, come tutti, ma imho sarebbe stato meglio glissare del tutto.