Compton Calling – l’anniversario della rivolta di Los Angeles e i padrini del gangsta-rap

29/04-04/05 1992, quella volta che Los Angeles divenne lo sfondo di una delle più grandi sommosse a sfondo razziale della città

27/04/2018 - 10:55 Scritto da Marco Ritz

C’è una scena in "Straight Outta Compton" (il film del 2015 che racconta la storia degli N.W.A. e l’esplosione della scena gangsta-rap a fine anni ’80) in cui Dr. Dre e Ice Cube girano in macchina per Los Angeles, ridotta come una zona di guerra: auto in fiamme, sirene della polizia e gente che entra nei negozi distruggendo le vetrine. È fine aprile del 1992, la band si è sciolta da poco, e il teatro di guerriglia cittadina è un ottimo fondale per quel preciso mood; anche Eazy-E, l’ex frontman, sta guardando le stesse scene dal divano bianco di casa sua, assieme al proprio manager, e nessuno crede ai propri occhi: per sei giorni, South LA continuerà a bruciare.

Nel film come nella realtà, il successo planetario per i Niggaz Wit Attitudes arriva già al primo album, uscito nel 1988 per Priority/Ruthless Records e intitolato appunto "Straight Outta Compton". L’intuizione di Jerry Heller, un manager bianco che aveva già lavorato con The Who e Grand Funk Railroad, si era rivelata esatta: la violenza del ghetto, rappata da ventenni dei sobborghi e piccoli criminali, aveva un hype pazzesco sulla prima generazione MTV, checché ne dicessero i Public Enemy.

Compton e tutta South Los Angeles sono sia background che soggetto di un disco violentissimo, fresco e sincero che si apre con la tripletta "Straight Outta Compton", "Fuck Tha Police" e "Gangsta Gangsta": tre lezioni di rime come petardi nell’epoca del Parents Music Resource Center, e dell’introduzione del bollino Parental Advisory (tuttora negli States le versioni non censurate degli album non si possono acquistare prima dei 17 anni). "Fuck Tha Police", in particolare, attacca la violenza indiscriminata del dipartimento di polizia cittadino (LAPD) nei confronti della comunità nera, di cui la band aveva avuto esperienze in prima persona, anche dopo il successo. Il tutto in una polveriera di periferie attraversate da tensioni razziali e di classe, destinata ad esplodere nel giro di un paio d’anni.

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"Fuck the police comin' straight from the underground / A young nigga got it bad 'cause I'm brown
And not the other color so police think / They have the authority to kill a minority"

(Fuck Tha Police – N.W.A., 1988)


È mezzanotte e mezza del 3 marzo 1991, Rodney King ha venticinque anni, è un tassista afroamericano e sta guidando a 185 km/h lungo la I-210, attraverso la San Fernando Valley di Los Angeles. Ha due passeggeri a bordo, un’auto di reduci da una serata di birra e NBA in televisione, quando passa davanti a Tim e Melanie Singer, marito e moglie nella vita ma in quel momento coppia di chippies in servizio, la polizia stradale californiana. King è in libertà vigilata da tre mesi, dopo aver scontato un anno in carcere per la rapina di un negozio, duecento dollari di ricavo complessivo. Decide di non fermarsi.

L’inseguimento finisce otto miglia più avanti, dopo aver coinvolto altre volanti e un iconicissimo elicottero. Cinque agenti fanno scendere i due passeggeri, se li portano in auto, e poi tornano da Rodney King: lui esce dall’abitacolo ridendo, con le mani alzate, mentre saluta in direzione del rumore delle pale. Melanie Singer ha paura che sia armato, allora il sergente Koon la informa che il comando passa alla polizia di LA: i cinque agenti colpiscono King trentatré volte, utilizzando sia taser che manganelli, ma non sanno che un vicino sta riprendendo tutto. Dopo l’arresto, Koon e i suoi metteranno a verbale che il sospetto (che si scopre essere disarmato) era con tutta probabilità sotto PCP, nonostante il tossicologico dica il contrario.

Un anno dopo, i notiziari di tutto il Paese (compreso quello che stava guardando Eazy-E sul divano) aprono con il verdetto del processo scatenato dal video amatoriale, che incrimina chiaramente quattro degli agenti presenti sulla scena: George Holliday, l’autore del video, ha provato ad avvisare il LAPD prima di inviarlo alle emittenti, ma pare che nessuno fosse interessato. Rodney King riporta quindi danni permanenti a cranio, cervello e reni, ma tre degli agenti vengono prosciolti dalle accuse; sull’ultimo, la giuria non si trova d’accordo. L’impatto è enorme, dal Sindaco al presidente Bush (padre) le istituzioni prendono posizioni nette contro la sentenza, ma mediaticamente fa molto più effetto il video di Holliday riproposto a catena da ogni telegiornale: South Los Angeles esplode.

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"Pretty soon we'll catch Sergeant Koon / Shoot him in the face, run up in him with a broom"

(We Had to Tear This Muthafucka Up - Ice Cube, 1992)


Tra il 29 aprile e il 4 maggio è l’anarchia generale, dalle prime proteste davanti al tribunale che radunano trecento persone dopo solo mezz'ora dal verdetto, all’intervento congiunto di marines, Guardia Nazionale e federali di diverse agenzie. Nel frattempo, si cerca di regolare ogni possibile conto in sospeso, con pestaggi diffusi nelle strade e assalti ai negozi: riguardando ora i live report, il richiamo a GTA – San Andreas è immediato, quasi ridicolo. Oltre al confronto con la polizia, quello di stampo etnico, dato che un terzo dei coinvolti negli episodi di criminalità sono appartenenti a gang latine. Non solo: due settimane dopo l’arresto di King, una quindicenne afroamericana era stata uccisa dalla proprietaria di uno dei molteplici, minuscoli store che i coreani gestiscono a LA: la signora Du prima aveva provato a colpirla, convinta di sventare il furto di una bottiglia di succo, poi aveva esploso un colpo di pistola. Latasha Harlins muore stringendo i due dollari che aveva in mano. Ancora una volta, la giuria designata era stata di buon cuore, mandando a casa l’imputata con una multa di 500 dollari e aprendo una frattura di base tra le due comunità, sfogata a maggio ‘92. Sia alla prima sentenza King, che a quella successiva (nel 1993 era stato aperto un altro procedimento a livello federale), la corsa alle armi da parte dei coreani è immediata, arrivando a formare squadre di vigilantes armati che proteggano i negozianti. Il bilancio finale è di 63 morti in sei giorni, e più di 12.000 arresti.

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Nei titoli di coda di "Straight Outta Compton" troviamo Dre, che con Snoop Dogg, Eminem e 50 Cent in curriculum resta probabilmente il più grande produttore hip hop in vita; Ice Cube invece si divide tra album, film e una propria, personale versione del basket, con tanto di campionato autofinanziato. Dov’è Eazy-E non si può dire, ché se no si spoilera il film. Compton ha continuato a produrre hip hop e gangsta, da The Game fino al prossimamente-re-delle-Terre-emerse Kendrick Lamar. Gli echi della battaglia di Los Angeles si sono continuati a sentire negli anni, che fossero in un disco dei Rage Against The Machine, in un pestaggio della polizia o nelle reazioni ai tweet di Donald Trump; una non-rivoluzione che ha mostrato quanto diventa brutale la tensione razziale negli States se lasciata a se stessa.

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L'articolo Compton Calling – l’anniversario della rivolta di Los Angeles e i padrini del gangsta-rap di Marco Ritz è apparso su Rockit.it il 2018-04-27 10:55:00

Tag: storie

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