Respira forte: Francesco Motta è diventato la migliore versione di se stesso

Il live report della data all'Alcatraz di Milano, a poco più di un anno dalla fine, su quello stesso palco, de "La fine dei vent'anni".

Foto di Claudia Pajewski
Foto di Claudia Pajewski

Ieri sera, 31 maggio, Francesco Motta ha portato l'ultima delle prime quattro date del tour di "Vivere o morire" all'Alcatraz di Milano. Lo stesso palco dove poco più di un anno fa chiudeva il tour de "La fine dei vent'anni". Quando uscì quel primo album solista, da cui sono passati ormai due anni che sembrano almeno cinque, al tepore iniziale venne sostituito l'entusiasmo, entro poco meno di un anno un pubblico quantomai eterogeneo si era trovato d'accordo nel vedere in Francesco Motta una proposta nuova, diversa e qualitativamente alta. Empatico senza essere facile, alto senza ergersi su un pulpito.

Chi era all'Alcatraz in quella ultima data del suo primo tour da solista ricorda forse Motta, verso fine concerto, fermarsi immobile per fissare un punto indefinito dall'altro lato del locale. Forse non stava guardando nulla, forse tutta quella gente venuta a vederlo, il suo volto in bianco e nero, le sue canzoni, il suo nome e cognome, erano diventate la sua luce verde in fondo al molo. Non è stato un momento eclatante, di ovazione o di enfasi, è durato poco più di qualche istante. In quel momento però c'era tutta la fragilità, il riscatto, la rivincita e tutto quanto nessuno tranne lui potrà mai sapere di un'artista che era riuscito a guadagnarsi un palco del genere. Se vogliamo parlare di gavetta, in effetti, Francesco Motta è uno che al successo di pubblico ci è arrivato dopo anni e anni di lavoro e lavori di versi intorno a palchi come quello. Dai Criminal Jokers, all'esperienza da fonico, alla seconda vita romana dopo Livorno. 

Non vogliamo scrivere la sua biografia, ma nel vedere il concerto di ieri sera ricordandosi l'ultimo è necessario fare alcune considerazioni, su cosa lo ha portato a quella data l'ultima volta e cosa ieri sera. Perché ieri sera sul palco è salita una persona diversa dall'anno scorso. Il percorso di Motta nell'ultimo anno deve essere stato sicuramente diverso dai dieci anni che lo hanno portato lì la prima volta, probabilmete però l'ultimo anno (e l'ultimo album), ha avuto per la crescita artistica di Francesco Motta la stessa importanza di quei dieci. Come facciamo a saperlo? È chiaro che sono speculazioni, impressioni e pensieri di chi scrive, ma la maturazione di Motta sul palco è innegabile. Della crescita personale non ci interessa particolarmente: la sua relazione, dove abita e quanto riguarda il resto della sua vita personale, alla fine dei conti, sono cazzi suoi. La produzione artistica di Taketo Gohara (che non è Sinigallia, senza essere peggio né meglio, è semplicemente un diverso approccio) viene resa in maniera impeccabile sul palco. E con quella band, vorremmo pure vedere il contrario. La doppia sezione ritmica si incastra in maniera perfetta, il dialogo tra percussioni, batteria e basso non copre mai nulla, crea invece un tappeto elastico su cui rimbalzano un momento la chitarra, un'altro la voce. Un live di quasi un'ora e mezza, 18 canzoni che coprono praticamente entrambi gli album per intero toccando nel finale anche i Criminal Jokers (sentire Fango, per chi pensa i Criminal Jokers avrebbero già al tempo meritato quel palco, è stato uno dei momenti più alti di tutto il live). Unico neo, altrimenti sembra che non siamo obiettivi, un paio di lungaggini a cui si poteva rinunciare, alcuni loop ritmici vengono stirati molto, a tratti troppo

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La verità, comunque, è che quello di Motta è davvero un bel concerto. L'artista di Livorno ha preso quella punta di fragilità, insicurezza, inesperienza o qualsiasi altra cosa fosse dell'ultimo live e l'ha coperta con il mastice, come una gomma con un minuscolo buco. Ieri sera il palco era casa sua, il pubblico era un gatto che seguiva un riflesso su un muro. Maglietta nera, poche parole quelle giuste, il minimalismo portato all'estremo, dall'estetica alle parole rivolte al pubblico. Eppure il termine più giusto per definire Motta ieri sera è, più di tutti, magnetico. Quando entro mi danno un paio di braccialetti, con uno posso andare nella balconata, quella bella e rialzata, da lì sei comodo e vedi bene tutto. A un certo punto però il feeling da lassù non è lo stesso, decido di prendermi una birra e infilarmi nel parterre. Accanto a me trovo Stefano, un caro amico oltre che collega, e con qualche anno più di me sulle spalle (ma se li porta splendidamente.). Ci guardiamo quella seconda parte di live insieme, e quando a concerto finito ci troviamo davanti a quella che si sarebbe rivelata una birra di troppo mi dice una cosa che capisco benissimo anche se non avrei dovuto. "Stasera sembrava di stare ad un live dei Marlene Kuntz nel '99. Non artisticamente, non c'entra nulla. Ma sembrava davvero di stare ad un live dei Marlene Kuntz nel '99. Non so se capisci cosa intendo", sì, lo stavo capendo. Io nel '99 non li ho mai sentiti i Marlene Kuntz, faccio parte di un'altra generazione, eppure quello che voleva dirmi l'ho capito benissimo. Perchè quello che Motta è riuscito a trasmettere è una sensazione sulla pelle, che poi è un sentimento, che viene dall'attitudine, e quando uno ti spiega questa cosa con un live del genere, di qualsiasi generazione tu faccia parte, sai cosa vuol dire. Non serve dare un nome allora a quanto è successo ieri, ma se dovessimo trovarne uno, Francesco Motta ieri sera ha dimostrato di essere diventato, davvero, una cazzo di rockstar. 

Foto di Elena De Vincenzo

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L'articolo Respira forte: Francesco Motta è diventato la migliore versione di se stesso di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2018-05-31 00:00:00

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