Perché andare a vedere i Coma Cose (e perché aspettare)

Il live di Hype Aura, il pubblico e le considerazioni sull'ultimo live

Tutte le foto sono di Beatrice Mammi per Rockit.it
Tutte le foto sono di Beatrice Mammi per Rockit.it

Arrivo al locale alle 21, orario dichiarato di on stage. Arrivare in orario è una cosa che non facevo da un sacco di tempo. La cassa accrediti avrebbe aperto, ammesso che mai sarebbe successo, dopo una mezz’ora buona. Tanto vale mettersi in fila, allora, dicono Giulia e Nicolò, venuti con me per il concerto. Mi guardo intorno, lo faccio anche dentro.

Il pubblico non è quello che credevo avessero i Coma Cose. Non ci sono solo zii, fratelli, tipe, broski e millenial vari. In realtà vedo persone che non c’entrano nulla non solo con l’immaginario dei due sul palco, ma che non c’entrano nulla tra loro. Intorno a me ho, nell’ordine: tre ragazzi sui trenta, un padre e figlia piccola sulle spalle, Frah Quintale, una coppia giovane che limona, una coppia non così giovane che limona, un paio di universitari col Barbour, una coppia di anziani che si tiene la mano, due appena usciti da uno studio legale, un designer sui cinquanta. Questo mi sorprende e mi fa chiedere quanto ci avessi capito del pubblico dei Coma Cose, e se, a questo punto, esiste davvero un pubblico dei Coma Cose.

Le parole, gli incastri e il Tetris di lettere che mi erano sembrati pesanti nel disco stasera vestono bene,  con quattro pannelli di led, coi musicisti infilati dietro come il piumino della stagione prima nell'armadio. Ma è giusto così, è la festa di Fausto e Francesca questa.

Un passo indietro: li conosco un paio d'anni fa in una cascina di Milano, me li presenta un amico comune. Mi ricordavo di Fausto, era quello che cantava che non avrebbe suonato mai al MI AMI. Francesca invece la conosco lì, mi fanno sentire le prime take di "Deserto". Li rivedo al Rave alle Colonne, al Magnolia, al MI AMI, al MI AMI al Magnolia. In tutte queste volte li ho visti crescere un po' alla volta, di un brano in più, di una frase, di una giacca nuova, di un baffo diverso. Questa è la volta in cui li ho visti migliorati più di tutte le altre volte messe insieme. Soprattutto per l’enorme, meraviglioso percorso che deve aver fatto California. Se ai primi live era un calderone di emozioni, insicurezza, inesperienza dietro due occhi che comunque, per quel che vale, erano già affamati, ieri sera davanti a noi c'era Lauryn Hill del Naviglio grande. Brava, Francesca. 

Il live dei Coma Cose, non questo intendo, me lo ricordo principalmente come il primo live in cui ho sentito un tris. Erano usciti pochi brani e venivano fatti dal vivo, poi rifatti, poi fatti ancora. Era bello il primo tour, ma questa cosa andava superata. Ieri sera invece ho visto  un concerto giusto, con i propri punti cardinali e una spina dorsale forte, coesa e precisa. Ma ancora non mi torna qualcosa. 

I Coma Cose sono in grado di tirare fuori un pezzo come "Mancarsi", a mio parere una delle, se non la, cose migliori che abbiano mai scritto. Su quel pezzo ho visto gente urlare, piangere, saltare,  abbracciarsi, uno che sboccava, la coppia di anziani limonare e i ventenni tenersi per mano. Perchè che schifo avere vent'anni, ma che bello avere paura non sarà la frase del secolo, ma è qualcosa di nuovo, evocativo e interessante.

La cosa che viene più facile ai Coma Cose sono i tasti bianchi, gli incastri, le frasi ad effetto, i drop e la pop-culture. Ma, se me lo chiedi, è sulle note scure che il livello di tutto si alza. La paura, lo spleen e gli stadi di transizione sanno raccontarli meglio di così, ed è su quello che veramente dal palco mi arriva qualcosa che ferma me, ferma il resto, ferma la sigaretta che stavo uscendo a fumare. Le Cose sono divertenti, è sul Coma che diventano un gruppo importante. Vorrei lo facessero di più, senza prendersi sul serio poi, non troppo, ma andando più a fondo, più in alto e più lontano. Il primo disco è quello dell'esordio, dice, poi c'è il secondo che è un banco di prova e il terzo la consacrazione. Da un lato c'è tempo di aspettare, dall'altro il sistema musica di oggi, ma anche il sistema mondo, non lascia sempre tutto quel tempo e con tutta quella esposizione.

"È un disco giusto" direbbe qualcuno, "è un live pop in fondo" si potrebbe argomentare, “la mia libertà è fare musica leggera”, dice Fausto Lama. Non gli chiederei nulla di diverso da questo, non gli chiederei nulla proprio in realtà, ma se proprio dovessi farlo vorrei lo facessero con più coraggio, con un suono meno morbido, con un gusto meno accomodante. Non vorrei facessero qualcosa per me, vorrei esplorassero certe strade che hanno imboccato su "Mancarsi", su "Nudo integrale", e su "Granata" anche. Questo penso mentre a fine concerto passiamo tra i bicchieri abbandonati, tra la gente contenta, dietro una porta antipanico nera. Questo penso e poi vedo quei due, che hanno la stessa, identica espressione di sempre. Ho il dubbio che non si siano nemmeno accorti di quello che è successo. Bevo l'ultima, ieri sera i Coma Cose mi hanno dimostrato che possono essere molto meglio di quello che già sono diventati. E stanno andando lì. 

 

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L'articolo Perché andare a vedere i Coma Cose (e perché aspettare) di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2019-04-02 00:00:00

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