Una canzone per l'ambiente, che farà cantar tutta la gente

Finita l'epoca delle ballate convinte e naïf di Pierangelo Bertoli o Celentano, oggi l'ecologismo in musica va dalla burletta di Pelù su Greta Thunberg al disincanto underground. Si può fare di più

Quando Pierangelo Bertoli, nato il 5 novembre del 1942, scrisse Eppure soffia, il pianeta Terra non era messo male come oggi. Era il 1977, l'anno del punk e del piombo, ma lui preferì parlare di ambiente, puntando il dito sulle industrie che inquinavano, sui pericoli dell'atomica in piena Guerra Fredda, mentre fuori il vento continuava a soffiare su tutte le cose. Una canzone folk che suona bene ancora oggi, col suo contrasto tra la musica che si muove sinuosa e le parole che pesano come macigni. Non è un caso che quella sia diventata la canzone ecologista italiana per eccellenza, utilizzata in migliaia di manifestazioni e convention più o meno verdi. 

In ordine di tempo quella di Bertoli non è il primo brano ambientalista nel nostro Paesi, basti pensare alla filastrocca Ci vuole un fiore del 1974, col testo di Gianni Rodari e la voce di Sergio Endrigo, ma anche a buona parte della produzione degli anni '60 e '70 di Adriano Celentano: Serafino, Il ragazzo della via Gluck, Un albero di 30 piani o Il contadino. Naïf quanto volete, ma dal messaggio limpido.

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Di certo più gradevoli dell'ultimo singolo solista di Piero Pelù dal titolo Picnic all'Inferno, in cui l'ex Litfiba scomoda un audio di Greta Thunberg e la descrive come una "piccola guerriera figlia della luna". Greta che ritorna anche nel titolo dell'ultima traccia dell'album di Marracash, in cui Cosmo canta "Ce la posso fare, meglio di mio padre, io ce la posso fare, ripartire, la mia razza si estingue". Bene che se ne parli, ça va sans dire, ma la sensazione che il nome dell'attivista scandinava sia utilizzato più o meno come una keyword internettiana, utile ad attirare attenzione e fare drizzare le antenne all'ascoltatore, viene un poì da sé. 

Archiviate le incursioni nel pecoreccio di Al Bano e Romina che cantano "come va come va, tutto ok tutto ok" in Cara Terra mia (1989) o quelle smielate stile Laura Pausini di Sorella Terra (2008), la nuova generazione di cantautori ha scelto un modo diverso per parlare della problematica e spesso usa il racconto distopico: ormai è tardi, sta finendo tutto, che è un po' il leit motif di questi ultimi tempi problematici. Tutto l'album Himalaya di Gigante sembra scritto dai sopravvissuti alla catastrofe, che devono tornare a nascondersi nella natura per imparare a vivere di nuovo come selvaggi dopo che l'implosione della tecnocrazia.

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L'intero album Natura viva degli Eugenio in Via di Gioia parla a suo modo dell'ambiente e del pianeta, con ironia e un disincanto. Un po' l'opposto dell'approccio degli Zen Circus, che in Canzone contro la natura descrivono la paura per l'Apocalisse con parole chiare e terrificanti: "Se questa notte fosse tutto ciò che ti rimane e da mangiare non avessi neanche un po' di pane, se la natura fosse solo un po' più cattiva e il sole ti esplodesse in faccia appena fa mattina e gli animali cominciassero ad organizzarsi e lentamente progettassero di sterminarci, se non ci fosse alcun giudizio universale, in quale modo scinderesti il bene dal male e quando l'ultimo supermercato sarà vuoto e la tecnologia ci servirà per fare un fuoco e la musica, la musica sarà un ricordo".

Calcutta, che ricorda un po' Celentano per il suo approccio fuori dal tempo e stralunato, preferirebbe "perdere (la ragazza) nel bosco che per un posto fisso", come canta in Del verde. Giorgio Poi mostra la stessa attitudine quando racconta la delusione del ragazzo che sta guardando attento una stella che brilla, per scoprire amaramente che è un pezzo di ferro con su scritto Easy Jet. 

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Nell'album Terra Vasco Brondi aka Le luci della centrale elettrica dedica al pianeta tutto il suo amore e critica l'iperconnessione dei giorni nostri, anelando posti "Dove il wi-fi non prenderà mai, mai e poi mai". Aurora, l'ultimo album de I Cani di Niccolò Contessa chiude con una combo killer di due pezzi che lasciano poco spazio alla speranza: Finirà e Sparire; il primo parla della fine del mondo a livello cosmico mentre il secondo gli fa da chiosa intima e personale.

"Ma non ti preoccupare
Tanto finirà la guerra
L'orrore, il sacrificio
Il sangue, il genocidio
Finiranno presto
Come il sale, il dentifricio
Come l'acqua, il cioccolato
La benzina nell'auto
Il petrolio sotto terra
In Arabia Saudita
Nelle viscere del cosmo
Si leverà un silenzio" 

E se uno dei migliori esempi di rapporti tra l'uomo e la natura fuori da ogni schema è un disco senza tempo come Die di Iosonouncane, nel mondo urban e rap Ologramma di Mezzosangue è a suo modo un inno alla salvaguardia del pianeta e di se stessi, con parole taglienti come coltelli: "Clima d'effetto serra, tutto si difende, il virus nel tuo corpo, la febbre, un buco nel sistema immunitario è come un morbo che prende. Bruceremo in fretta ed io già porto le bende, le vedo che camminano, cellule impazzite in un tumore fulmineo. La terra in delirio, invadono polmoni, sradicano alveoli, sputano quel nero negli oceani."

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Se qualche tempo fa era una terribile suggestione lontana, ora l'Apocalisse è qualcosa di meno dantesco, più palpabile. I film ambientati in mondi distopici si stanno moltiplicando, Netflix sembra non sceneggi altro. Persino vip e influencer con i loro appelli tendono alla sensibilizzazione. La musica italiana, invece, rimane spesso soffocata dalla dicotomia "amore post moderno" del cantautorato da una parte e "rivalsa + cash" della trap dall'altra. A chi fa la sua parte i nostri applausi e il nostro brindisi in borraccia. 

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L'articolo Una canzone per l'ambiente, che farà cantar tutta la gente di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-11-05 14:00:00

Tag: opinione

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