Quello che Comaschi mi ha detto di Lucio Dalla

Siamo stati "a casa di Lucio" e abbiamo ascoltato molte storie sulla sua vita: ve le raccontiamo

- Immagine via alemontosi.blogspot.it

Nel marzo 2015, terzo anniversario dalla morte di Lucio Dalla, la grande casa in via D’Azeglio a Bologna si aprì agli amici e al pubblico per rivivere lo spirito di questo artista unico, figlio prediletto di una città che nel 2006 conquistò – anche grazie a lui – il titolo di città della musica per l’Unesco. Per tre giorni, amici ed artisti, bolognesi e visitatori, si ritrovarono “A Casa di Lucio”. Da allora, l’appuntamento è annuale. Sempre declinato in forma diversa, a celebrare l’anniversario della nascita (4 marzo 1943) di questo omino buffo e geniale, e quello della sua morte (1 marzo 2012).

Quest'anno, i luoghi a lui più cari della città sono stati raccontati da nomi d'eccezione: Giorgio Comaschi, Marco Marozzi, Pierfrancesco Pacoda, Emilio Parrese, Gino Castaldo ed Ernesto Assante. Ogni tour è partito dai giardinetti di Piazza Cavour, la celebre Piazza Grande, dove si trovava la casa materna di Lucio e dove ha abitato fino al 1977.

Proprio Giorgio Comaschi racconta dell'allora giovane Dalla e di sua madre che gli lavava i capelli col Dash per lisciarli e farlo somigliare al padre scomparso, direttore del club di tiro a volo di Bologna; ci parla della persona "non-normale" che era, di questa sua passione particolare per gli odori e degli scherzi terribili che era in grado di combinare (un giorno gli era stato fissato un appuntamento con Keith Jarrett e, al posto di presentarsi, se ne andò al cinema), della passione per Manfredonia, città che visitava spesso grazie alla madre, Jolanda Melotti, che fu grande sarta e stilista senza saper cucire un bottone. Ci è stato raccontato di come suonasse il clarinetto nelle cantine, mentre Chet Baker "si faceva le pere" e le prostitute intrattenevano gli astanti.

(Lucio Dalla e sua mamma Jole. Foto via)

Mentre ci si avvicina a Piazza San Domenico e si attraversano i vicoli, Comaschi ci tiene a dirlo: il suo tour si chiama "Lucio dove vai?" perché lui di questi scherzi ne faceva, certo che ne faceva. Bologna e i bolognesi, questo lo sanno; non esiste il concetto di morte per un personaggio come Lucio Dalla, proprio come non esiste per Bulgarelli, storico centrocampista bolognese. Si potrebbe incontrarli in piazza Santo Stefano e nessuno si stupirebbe, si ride tutti insieme a pensarci.

Passando per via Rolandino, sede della prima casa discografica di Lucio, si arriva a Piazza San Domenico. Il rapporto con la religione di Dalla era profondo e sentito: soprattutto Lucio era affezionato a Padre Casali, domenicano con cui aveva un rapporto privilegiato. Questo celebrò ogni domenica Messa in onore della madre di Lucio, fino alla sua scomparsa. Il giorno del funerale di Jole, Tobia, manager del cantante bolognese, affittò un carro funebre e le concesse un ultimo passaggio sui colli, prima di venir sepolta. Un gesto dalla poesia inaudita che solo un bolognese può capire a pieno.
Domenico Casali, comunque, fu anche fondatore dell'Osteria delle Dame, luogo fondamentale per la poetica gucciniana. Già, Guccini che fu amico di Dalla e con Dalla e Vecchioni cantava "Porta Romana" alla trattoria "da Vito" ma che con Dalla litigò tanto da non sopportarlo più, da scrivere "Addio" dopo aver visto un Lucio in calzoncini che cantava "Ciao".

video frame placeholder

Erano gli anni settanta quando, da piazza San Domenico, Lucio e i suoi amici partivano verso Gaibola per giocare a calcio con la sua squadra, la "Vento dell'est". Rapporti semplici, da bar. Lucio diffidava delle donne, ha avuto una fidanzata per lungo tempo ma è con la solitudine che ha imparato a fare i conti: sapeva di non essere piacente e coltivava per sé la sua interiorità. Quando Anna e Marco, per esempio, erano lì a discutere su cosa fare in quel sabato sera, Dalla stava giocando al flipper; era solo, rientrò in casa svelto e scrisse "Sera", prima versione di quella che sarebbe poi diventata la canzone che tutti noi conosciamo. 

Ultimamente, con tutta la compagnia che aveva, ride Comaschi, Lucio si sentiva "con la stessa creatività di un cocker". Il tour ci sposta allora verso la prima casa in Vicolo Mariscotti e lo studiolo subito dopo. È lì che si trova lo scooter di Lucio (fermo dal giorno della sua morte) ed è lì che scrive e lavora ai suoi dischi più importanti, quelli scritti senza l'aiuto del poeta Roversi; nel frattempo nascono anche gli Stadio, che devono il nome al giornale che veniva puntualmente comprato all'uscita: ogni mezzanotte in un'edicola vicino Via delle Fragole.

(Lucio Dalla in un programma Rai. Foto via)

Lo Stadio, il giornale, era uno dei simboli di Bologna, proprio come San Luca, le Torri o le osterie; e a proposito di osterie è immancabile il pranzo da Cesari (in altri percorsi c'era la possibilità di andare nella già citata trattoria Da Vito). Una delle commensali lo fa subito notare: Cesari è uno degli orgogli felsinei. Stipare cinquanta persone nel locale, come recita il motto del posto, "sembra facile, ma non è facile!", adagio spesso pronunciato dal padre dell'attuale proprietario. Il menù è qualcosa che Dalla conosceva molto bene: la gramigna con ragù di salsiccia era un piatto che ordinava a tutti i suoi amici, la scaloppa alla petroniana con patate è un piatto della tradizione emiliana che non si può non conoscere. La signora di cui sopra lo dice meglio di chiunque altro: "celebrare la mancanza di Lucio così è una festa!".

Mai osservazione fu più corretta. Quando ci si rimette in cammino per l'ultima parte del tour, casa di Lucio, la città è in preda a una vera e propria euforia: fotografi, casse che trasmettono la musica di Lucio che si muovono su due e quattro ruote; arrivati al giusto civico, sul campanello leggiamo "commendatore Domenico Sputo", poiché, come spiega Comaschi, Dalla sosteneva di saper sputare più lontano di chiunque altro. Persino la sua barca si chiamava "Catarro".

Lucio ha vissuto dal '94 fino alla sua morte in Via D'Azeglio. La casa è semplicemente enorme e ci viene presto spiegato perché: la casa conteneva gli uffici della Pressing Line, casa discografica fondata dallo stesso Lucio. Vi è almeno un quadro di Lucio in ogni stanza, così come vi erano inoltre una stanza per gli ospiti (con appeso, su una parete, un guanto di Padre Pio, regalatogli dal santo stesso), un soppalco, due studi (uno con un pc con cui Lucio giocava anche ai videogiochi, l'altro con un mattone del muro di Berlino tenuto su una mensola) e la stanza dei giochi, dove venivano proiettate le partite del Bologna in trasferta. Accatastate, su mobili e pareti, troviamo collezioni di statuette e di portasigarette, fotografie, opere d'arte. La casa è enorme e, come ci viene facile immaginare, non era improbabile trovare un amico di Lucio suonare il piano mentre da qualche altra parte nella casa si facevano quadrare i conti con la SIAE; l'ultima casa è stata un investimento, un posto di lavoro, un punto di ritrovo per amici ed artisti.

Alla fine del tour, viene spontaneo stringere la mano a Comaschi per la bravura nel raccontarci questo Lucio così inedito, inaspettato, imprevedible. A voler scegliere un'immagine per descriverlo, Lucio, forse la migliore è la copertina di 12000 lune disegnata da Milo Manara. C'è il Lucio che si sentiva indissolubilmente legato a Napoli con i presepi, il mare, il porto e Caruso ma ci sono anche le stelle del flipper con cui gli piaceva giocare, la Basilica di San Petronio della sua Bologna che nasconde, poco più dietro, quella Piazza Grande in cui gli piaceva stendersi, in cui gli piaceva tornare a mangiare anche quando suonava a centinaia di chilometri di distanza e che amava per quest'assenza di prospettive centrali, per quest'obliquità che si nasconde sotto i portici.

Comaschi ci ha raccontato un Lucio che a chi chiedeva cosa volesse essere da grande lui rispondeva: "il cane"; un Lucio così umano, concreto, tangibile: che odiava le onoreficenze ma che era pieno d'intuizioni geniali, profondamente umorale, capace di redigere la classifica dei migliori cinque imbecilli di Bologna tanto quanto di mandare il suo sosia imbianchino a cantare al Festivalbar. Una persona capace di organizzare grandi scherzi: capace d'inscenare, per esempio, la propria morte e tornare a passeggiare come se nulla fosse per la sua Via D'Azeglio, cinque anni dopo, mangiando uno o due FIAT della Majani per poi ricominciare a suonare il clarinetto come niente fosse, come faceva lui.

---
L'articolo Quello che Comaschi mi ha detto di Lucio Dalla di Raffaele Lauretti è apparso su Rockit.it il 2017-03-06 21:42:00

Tag: bologna

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia