Di Martino - In 3 minuti, se vuoi, racconti la vita.

Dopo essere diventato padre, l'artista siciliano ci ha spiegato la necessità di dare un'altra prospettiva alla sua musica nel suo nuovo album

Con l’uscita del suo quarto album, Dimartino ci ha sorpreso con un disco diverso dai precedenti, che amplia i suoi orizzonti musicali.
Noi l’abbiamo chiamato, ci ha raccontato com’è nato Afrodite, della nascita di sua figlia, di Daniela, e di come gli piaccia quando le canzoni vengano scritte tutte d’un fiato. 


Appena ho ascoltato il singolo Cuoreintero sono stato felicissimo, ho proprio pensato che era l'ora che tu provassi a uscire ancora di più allo scoperto, con un suono decisamente diverso dai tuoi lavori precedenti.

È venuto tutto in maniera molto consapevole. Io avevo già dei pezzi per un disco ma era come se suonassero sempre come le mie cose vecchie, ho sentito la necessità di dare una svolta al sound. Fare uscire Cuoreintero come primo singolo è stata una mia scelta, dal punto di vista sonoro è quella più diversa dalle cose che ho fatto in passato, e mi piace che fosse come uno shock nei confronti di quelli che mi seguono da molto tempo. Avevo voglia di un cambiamento, non significa rinnegare il passato, ma dare un'altra prospettiva alla musica.

 

Anche la scelta di Cantaluppi mi ha molto colpito. Cantaluppi ha lavorato con i TheGiornalisti, con gli Ex Otago, mondi molto diversi dal tuo. Perché Cantaluppi e non Taketo Gohara che ha prodotto l'ultimo disco del tuo amico Brunori per esempio?

La scelta di Cantaluppi è nata da un episodio che non ho raccontato a nessuno. Io seguivo Cantaluppi su Instagram e a un certo punto si è messo a pubblicare playlist di canzoni che ha chiamato Cantaloop, e io lì ritrovai una serie di canzoni a cui ero molto legato a livello di sound. Era una playlist un po' schizofrenica, c'era una sonata di Schubert seguita da un pezzo di Cohen, cose assurde che avevano però un senso logico nel loro essere una playlist. Poi Matteo aveva da poco prodotto il disco dei Joe Victor e mi piaceva molto come suonava.


E come ti sei trovato a lavorare con lui?

In quel momento ero in una fase di confusione perché avevo tanti pezzi, tante idee musicali ma non sapevo che suono dovesse avere questo disco. A un certo punto lo contattai, ci incontrammo e abbiamo deciso di fare una prova, e così abbiamo prodotto due pezzi in studio io, lui e il mio pianista, lì è nato l'innamoramento. Quei due pezzi avevano quel suono che stavo cercando.

 

Lui come produttore è intervenuto anche nella struttura delle canzoni, o no?

Nella struttura pochissimo, si è soffermato soprattutto sui suoni, sul concetto proprio che questo disco dovesse esprimere: ci siamo dati come riferimento la musica italiana anni '70 e lui è intervenuto a livello di mood.
Con Cuoreintero, per esempio, ha messo una chitarra in phaser che facesse gli accordi col phaser e l’ha lasciata come tappeto, andando verso qualcosa di psichedelico. Questo ha influito su tutto il disco.


Questo tuo cambiamento personale forse è da contestualizzare in un cambiamento più generale della scena musicale italiana. Nel 2010 quando hai esordito come solista con "Cara maestra abbiamo perso", gli artisti di punta erano Le luci della centrale elettrica e Dente.
Ora le cose sembrano cambiate, e Brondi, che tu conosci, con la fine de Le luci sembra aver capito che un'epoca sia finita.

Quello di Brondi è stato veramente un percorso meraviglioso, quando ha scritto il post che chiudeva Le Luci per me è entrato un po' nel mito. Ha avuto il coraggio di dire che un percorso era finito, è un atto di coraggio e di amore nei confronti della musica. Poi sì, in questi 10 anni è cambiato tutto, sono cambiati i numeri, le ambizioni dei musicisti. Quello che mi auguro è che tutto non si appiattisca, che non nascano i cloni di. Però penso che sia un momento felice dalla musica.


Ieri per caso ho letto alcune interviste a Riccardo Sinigallia e mi sei venuto in mente, cioè mi sembrate due autori molto sottovalutati.

Di Riccardo Sinigallia che sia molto sottovalutato lo penso anche io. Tra l'altro, io e Riccardo ci siamo molto avvicinati in questi ultimi anni ed è una di quelle persone che umanamente stimo di più, uno degli artisti italiani che stimo di più in questo momento, è un'artista libero.
L'ultimo disco "Ciao cuore" lo testimonia, è un disco con canzoni forti, che dicono delle cose. Si sente che è un musicista che suona da anni.


Come mai, secondo te, non ha il successo che merita?

C'è un concetto dietro la sua musica, dietro il suo modo di stare sul palco così timido, e forse è quella timidezza che è stata uno dei fattori a penalizzarlo.
è un musicista che non grida, per ascoltarlo hai bisogno di avvicinare l'orecchio e questo ha penalizzato lui, e probabilmente ha penalizzato anche me in questi anni.


Qual è l'autore o gli autori più interessanti oggi in Italia?

Sicuramente Colapesce.
Con Lorenzo si è approfondita un'amicizia che c'era già da tempo, abbiamo anche scritto canzoni per altri, e ogni volta che ci scrivo qualcosa lui mi apre sempre delle stanze nuove. Difficilmente risulta banale.


Anche in Infedele avete scritto una canzone insieme.

Sì, Totale. Per esempio, di quel disco c'è una canzone che si chiama Decadenza e panna, e appena ho saputo il titolo ho pensato a come si potesse chiamare una canzone così. Lui è bravissimo, parte da oggetti inusuali per aprirti a concetti universali.


Arriviamo al tuo album. Perché chiamarlo Afrodite?

Ha influito molto la nascita di mia figlia. Nella provincia di Trapani, dove mia figlia è nata, ai piedi del monte Erice, dove sorge il castello di Venere. Quando è nata mia figlia sono uscito fuori dall'ospedale a fumare e ho visto avvolto nella nebbia il castello. Mi sono documentato e ho saputo che lì, un tempo, sorgeva un tempio di Afrodite, e come sai Afrodite è la dea della bellezza. Vedere quel castello mi ha smosso qualcosa, e mi sono detto che dovevo legare a lei la mia musica.

Poi il suono del nome Afrodite mi ricorda qualcosa di antico, ma allo stesso tempo di psichedelico. Ti racconto un'altra cosa: nei giorni successivi ho pensato che, se avessimo riempito le periferie della città con un tempio dedicato ad Afrodite al posto delle statue di Padre Pio, forse i bambini sarebbero stati educati in un altro modo. Educare un bambino alla bellezza è un'altra cosa.

 

 

Dietro il mito di Afrodite c'è anche un elemento perturbante. Il mito racconta che Afrodite nasce dal membro caduto in mare di Urano dopo che è stato castrato dal figlio Crono. C'è una narrazione di un passaggio di potere, una trasformazione del figlio in padre. In alcuni punti del disco questo si sente. 

Penso alle prime parole di Cuoreintero: «Niente di nuovo qui c'è solo un ragazzo che diventa uomo, un albero che trema, un fiume che diventa oceano. Niente di serio ho solo buttato i miei vestiti nel fuoco».
Questo per dire che Afrodite non evoca soltanto la bellezza e l'amore, ma anche la violenza, la sessualità, aspetti presenti nel disco.

Daniela balla la samba è un pezzo molto sensuale, Daniela potrebbe essere un'Afrodite della periferia di Palermo. Per me era importante sottolineare l'idea della donna sia come generatrice di vita sia come portatrice delle sofferenze del mondo. Se ci pensi, le sofferenze degli uomini le portano il più delle volte le donne, la donna che partorisce soffre, passa le pene dell'inferno nel farlo.
Questo disco è un tributo a una dea femminile, un'idea della donna come salvatrice del mondo.


A quali canzoni sei più legato nel disco?

Ci diamo un bacio, in cui racconto il rapporto con la mia città.
"Ci diamo un bacio prima di farci male" è un atteggiamento che abbiamo noi siciliani, la Sicilia è una terra piena di contrasti dove l'amore e la guerra sono sempre davanti agli occhi di tutti. Palermo è una città in cui si sono alternate molte popolazioni a mettere radici, c'è sempre stata la voglia di farle convivere. C'è sempre stata un'integrazione, anche adesso, ma accanto a questo ci sono una serie di immagini che mostrano anche tutto il sangue sparso nelle strade, penso alle stragi di mafia, per esempio, nel verso "E ho visto mostri ingoiare la città, uno sputo di sangue sporcarti le Adidas".
Cito anche il film Mery per sempre, un film ambientato nel carcere minorile di Palermo che ha segnato la mia adolescenza.


Parlaci del brano Daniela balla la samba. Com’è nato?

Più di dieci anni fa, erano le 4 di mattina, tornavo a casa ed ero un po' sbronzo. Mi fermo a fare benzina e nel parcheggio accanto al benzinaio ho visto la scena di una ragazza che ballava sopra una macchina. Dopo un po' uno dei ragazzi dice alla ragazza di scendere, lei mi passa accanto e mi domanda perché ho spento la musica. Stava ballando su una musica che veniva dal mio stereo, che era una samba di Gilberto Gil. Negli anni ho sempre tenuto questo ricordo per me, a un certo punto mi è venuto in mente di scriverci una canzone che racconta quell’ aneddoto.


Raccontami come nascono le canzoni, qual è il tuo modo di lavorare.

Sono anni che indago sul mistero della canzone. Cioè la canzone è qualcosa che ti arriva, soprattutto quelle canzoni che scrivi tutto d’un fiato. Per esempio Feste comandate nasce così, in un'ora, e la voce che abbiamo deciso di lasciare nel disco è quella registrata quel giorno.


Pensi che le canzoni che nascono dal nulla siano più creative?

Su questa cosa delle canzoni che nascono in così poco tempo non so darmi una spiegazione. Mentre posso spiegarmi come nascono le canzoni artigianali, che seguono degli schemi, le canzoni che nascono così dal nulla e che finiscono in così poco tempo per me rimangono un mistero dell'atto creativo.

Penso che chi faccia musica non sappia veramente spiegare quello che accade da un punto di vista creativo nel cervello. Io auspico che le canzoni arrivino tutte così, è quello che cerco, ma non accade quasi mai, il più delle volte sono canzoni in cui ho lavorato molto, in cui, prima di arrivare alla strofa e al ritornello, ne ho scartati diversi.


Era proprio questo aspetto più artigianale che mi interessava.

Scrivere una canzone è un lavoro lungo, per esempio io produco i pezzi che scrivo, alcuni li scrivo mentre li produco. Quindici anni fa scrivevo una canzone nella mia stanza in maniera più artigianale, adesso quella cosa là avviene più raramente. Avendo il computer cerco già di capire come suonerà, questo è un bene come un male.

L'idea è riuscire a tornare a scrivere le canzoni con foglio, penna e chitarra. La canzone deve funzionare nuda, l'obiettivo è quello. Io comunque sono interessato al mistero della canzone che ti arriva come un dono, ed è quella la cosa a cui vorrei tendere.


C'è da dire che è anche bello che le canzoni siano un lavoro, e non solo l'esito di un dono che arriva, mi piace l'idea che scrivere canzoni sia un mestiere.

Io faccio l'autore da 3-4 anni, quello che mi piace di questo mestiere è soprattutto scrivere insieme ad altri. All'inizio mi spaventava, e mi chiedevo perché scrivere con sconosciuti. Magari arrivavo a casa di un produttore e di un autore milanese, e dopo due ore ci confidavamo i segreti della nostra vita, perché la canzone è un momento di intimità.

Se trovi un autore affine a te, anche se non ascoltate la stessa musica, anche se lui è un autore super-mainstream e tu sei il paladino della musica indipendente, c'è sempre un punto di unione. La canzone unisce le diversità, in 3 minuti racconti la vita o un'esperienza.

 

Ultima domanda, perché dovrebbero ascoltare il tuo album?

è un disco sincero, un disco che si dovrebbe ascoltare per avvicinarsi alla visione del mondo di un ragazzo di 36 anni che vive a Palermo e fa il musicista. Alla fine, ognuno ha una propria visione, si parte da un’esperienza personale per raccontare il mondo, ed è interessante vedere come lo si fa.

---
L'articolo Di Martino - In 3 minuti, se vuoi, racconti la vita. di Francesco Sgro è apparso su Rockit.it il 2019-02-06 11:04:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia