Frequenze Disturbate 2003 - Urbino



Il viaggio in interregionale da Pesaro ad Arona mi ha mangiato tutte le forze. C’è ancora la camicia madida di sudore appoggiata alla sedia. La notte prima è passata insonne, mi ha accompagnato per consegnarmi al giorno seduto all’aperto dei tavolini di un bar chiuso. Gli amici, le amiche, le chiacchiere, le birre, le cazzate. Dopodiché abbiamo fatto colazione. Tu non puoi chiedermi di scrivere solo quello che è successo sul palco perché non ne hai il diritto. Non puoi negare alla vita di Frequenze Disturbate di ricevere una piccola citazione. Non puoi negarmi di parlare del perché Urbino si vesta di magia in questi due giorni, grazie alla musica ma nonostante la musica. Io voglio dirti che è stato bello stare assieme, e voglio dirti che se c’eri sono contento per te e che se non c’eri un po’ mi dispiace. Potevo offrirti una birra. Oppure avremmo potuto parlare di cose colte come il calcio, e del fatto che l’Inter stia già soffrendo in pre-campionato. Oppure di cose da uomini come le donne. Insomma ci saremmo divertiti.

Dovrei solo parlarti di Giardini di Mirò, DRM e La Crus, dunque? Ti dico subito che ho visto come Dio comanda solo i primi. I DRM li ho mancati per questioni di tempo (per fortuna?), mentre i La Crus ho deciso di non vederli per poterti dire che di loro amo solo i primi due dischi, mentre il resto – ultimo album in testa – mi sa di poco accattivante e convincente (leggi pure fuffa).

Capisci che non avrei molto da dire se non ti raccontassi, che so, di Benedetto dalle Piane che ti parla di Frank Zappa durante il concerto di Beck. O di Acty, veramente in forma fisicamente, che sabato sera riesce a vendere magliette, dischi e spille Aiuola senza che nessuno di Aiuola suoni o sia presente. O ancora di artemoltobuffa, un cervello veemente pacato nel modo di porsi.

Quest’anno, poi, il grosso di Frequenze Disturbate l’hanno fatto gli stranieri. In linea di massima è tutto girato attorno a Beck, e di questo mi sembra che un po’ il festival ne abbia risentito. Ma d’altronde le serate sarebbero dovute essere tre, con ipotetici headliner del calibro di Sonic Youth, Yo la Tengo, Malkmus, Morrisey, che poi hanno invece dato forfait. Allora la scelta di Beck è stata pressoché obbligata, ed ha portato alcune modifiche a tutta l’organizzazione: due serate al posto di tre, un running order fitto di tempi da rispettare, 30 € per due serate al contrario dei 15 (per tre serate) dello scorso anno. Ti chiederai: ma l’anno scorso non c’erano nomi non meno blasonati come Mogwai, Afterhours, Giant Sand, Lanegan e Dot Allison? Ti dirò di si. E allora perché tutta queste differenze? Vorrei non doverlo chiedere, così come vorrei che non ti buttassero categoricamente fuori dalla fortezza mezz’ora dopo la fine dei concerti. Era bello potersi svaccare sul prato prima di andarsene altrove, lo scorso anno.

Giovedì 7/8/2003
I Giardini di Mirò, a mio avviso, hanno fatto proprio un bel concerto. La scaletta ha toccato con equa e solidale corrispondenza pezzi di “Rise and Fall” e “Punk… not Diet!”. La voce di Raina ha un tocco soffice che mi pare adatto alle vellutate atmosfere della band, così come avevo già scritto nella recensione. L’interpretazione di “Little Victories” e “Pet Life Saver”, tra l’altro, è ormai completamente metabolizzata nelle sue corde. Durante l’esecuzione di quest’ultima, nel pubblico, ero proprio dietro Matteo Agostinelli degli Yuppie Flu e Paola, la sua ragazza. Credo tu ti ricordi che in “Rise and Fall” ne era lui l’interprete. Ecco, è stato bellissimo vedere Paola appoggiare la testa su di lui, e Matteo stringerla e baciarla. Una scena romanticissima… non sei un po’ romantico tu?

“The Swimming Season” comunque è sempre più bella, mentre “Given Ground” è carezzevole. Altri pezzi del nuovo disco invece dal vivo non conquistano come gli altri, credo per il fatto che abbiano un pizzico meno di pathos e intensità. Cosa che invece non succede con il nuovo, sonico arrangiamento di “Trompso is OK”: qualcosa di maestosamente emozionante. Peccato che il sole sia calato solo sull’altra esplosione finale di “A new Start”, che con il nuovo arrangiamento guadagna ancora più passione. A luci spente la musica dei Giardini commuove ancora di più.

Poi se vuoi potrei raccontarti in pillole ciò che è successo nel resto della serata. Gli I am Kloot hanno fatto un buon concerto, perché sanno interpretare i loro pezzi unendo capacità tecniche e feeling sul palco. Il loro è folk crepuscolare, trasmutante a volte in rock acustico venato di psichedelia, e le canzoni che più hanno saputo sintetizzare dal vivo queste innate peculiarità sono state quelle di “Natural History”, il loro primo album. Gradevolissimi, insomma.

Poi, signori, sul palco è salito Beck, più rockstar che mai (e questo forse è stato l’aspetto meno piacevole del suo live). Divertente. Eccentrico. Ballabile. “Loser” la abbiamo cantata tutti insieme a braccia alzate. Lo conosci, no? Fa funk-disco-rock-folk obliqui, e questa sera suona su un palco che più scarno veramente non si può. Zero sceneggiatura, quindi, ma molta coreografia, con balletti break e spaccate a gogo, giochi con l’asta del microfono ed una tutina bianca catarifrangente su tutta la band durante i bis. Il bello di Beck è che è mutevole: riesce a cantare “Lost Cause”, una romantica ballata da loser (tanto per non smentirsi), per poi passare ad un medley funky-disco assolutamente stupefacente che, fra le tante, annovera pure “Rock your body” di Justin Timberlake. Allora a quel punto ti giri verso gli altri che ti circondano e vedi che tutti hanno esattamente lo stesso sorriso che hai tu. Ma Beck non la finisce qui, perché in uno show che pulsa di così tante idee riesce pure a coverizzare “Black Math” dei White Stripes dedicandola alle dita di Jack White. Se Abatantuono fosse stato un indie rocker non avrebbe potuto che dire: “eccezionale veramente”.

Venerdi 8/8/2003
La giornata inizia bene, ma la prima avvisaglia della grandezza di giorni come questi arriva già di pomeriggio, grazie ad una barzelletta che il grandissimo Aurelio Pasini from Mucchio Selvaggio racconta e che, te lo dirò, mi rimarrà nel cervello per tutta la vita. Roba che Andrea Girolami (aka PL2 aka pischellodell’anno aka stempia) dovrebbe inserire nel suo blog nell’ambito di una riflessione sociologica sulla critica musicale. Il pomeriggio pure passa piacevolissimo, nonostante un incalzante raffreddore che come al solito mi colpisce nei momenti sbagliati, assieme a quei simpatici cazzoni dei Giardini di Mirò e assieme all’uomo dell’anno: Giovanni Gandolfi (Unhip Records). È lui il mattatore di queste giornate, con il suo archetto a frecce comprato nel negozio “tutto ad 85 centesimi”. Addirittura il mio compagno di stanza, anchesì detto paraculo, dopo averlo conosciuto deciderà di imitarne le fattezze con risultati chiaramente deludenti.

Quando le giornate sono piacevoli anche le ore scorrono più veloci. Così non riesco a vedere Ms John Soda perché arrivo in ritardo, ed un po’ me ne dispiaccio. A te sono piaciuti?

Riesco invece ad arrivare alla Fortezza per i Broadcast. Per fortuna, ti dirò. Electro-pop ammaliante, l’evoluzione degli Sterolab se vuoi. Una sopresa per me, un insperato gradevolissimo set che allevia un po’ la mia sinusite.

Quando scocca invece l’ora dei La Crus decido di uscire dalla Fortezza per andare a tentare di curare il mio raffreddore. Marco Del Soldato di Kronic, un indie rocker in bilico fra Michael Jackson e Amedeo Pace, mi dice che con una “roba spessa” come la sambuca con la mosca sicuramente avrò una miglioria. Se non dovesse funzionare, potrei comunque sempre provare con lo Jagermaister. Elena, la sua compagna, e Mone, mancato uomo dell’anno 2003, annuiscono. Capirai che il mio raffreddore non passerà, ma davanti allo Jegermaister ci chiederemo “che cazzo ci fanno i La Crus qui?”. In vino veritas.

Così decidiamo di rientrare all’interno della bellissima Fortezza Albornoz. Tocca ai Notwist, ora, e finalmente potrò vederli live dopo quella piccola perla di disco intitolata “Neon Golden”. È stato bello vedere tutto il pubblico entusiasta conoscere l’attacco dei pezzi e con calore seguire la band durante tutta la performance. Non me lo sarei mai aspettato. Ti dirò: anche se il disco mi piacque di più, il live dei Notwist è un live coinvolgente, mai distaccato e/o intellettualoide. Rock ed elettronica hanno in queste suite di ghiaccio e di fuoco una summa pressoché introvabile in migliaia di altri luoghi. Anche se qualche pezzo scivola via, quelli che invece entrano pulsano quanto il tuo cuore. Muovevo la testa come il loro bassista e avremmo sicuramente riso insieme dopo i ripetuti, teutonici “krazie” di Markus Acher. I Notwist sono una grandissima band.

Non ti parlerò di Sabato, invece, visto che quella era un’altra manifestazione. Ti dirò che sto resistendo, che anche tu devi resistere, che Urbino è bellissima, che vivere la musica in questa maniera è baciare la Magia. Ho fatto l’amore per tre giorni. Ha ragione chi dice di resistere. Le cronoscalate ad Urbino escono meglio perché le gambe girano di più, e forse ci sentiamo tutti Gianni Bugno senza esserlo. Di Gianni Bugno infatti ce n’è uno solo. Di Urbino ce n’è una sola. Di Frequenze Disturbate anche. Spero che Miccoli diventi un fenomeno. Giovanni Gandolfi lo è già. Ti dirò che l’anno prossimo dovrai assolutamente venire a Frequenze Disturbate. Io perlomeno sarò là. Magari potremmo ballare. Insieme.



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L'articolo Frequenze Disturbate 2003 - Urbino di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2003-08-07 00:00:00

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