Perché molti live club italiani stanno chiudendo

27/12/2017 - 11:26 Caricato da Redazione
Il primo passo verso l'indipendenza, capire se stessi attraverso una canzone, ritrovare il sorriso o perdersi in un pianto. Il potere della musica è da sempre sconfinato. Prima ancora di Spotify, talent show e via dicendo, uno dei canali preferenziali per fruirne è stata da sempre la dimensione live. Dalle balere alle discoteche, passando per i live club, quegli spazi "indipendenti" cresciuti con e per il proprio pubblico che su varia scala hanno nutrito le nostre vite, trasformandosi spesso anche in trampolini di lancio per l'artista di turno. Tutta questa premessa dalla connotazione positiva sembra non essere stata sufficiente a placare un trend drammatico che sta colpendo i locali italiani dove da sempre si cerca di fare musica di qualità, alla portata di tutti e senza compromessi "storici". Da nord a sud si moltiplicano le notizie di chiusure per i più svariati motivi ma con un unico filo conduttore: i fruitori di musica sono in debito di ossigeno. Sicurezza, crisi, toni perentori usati verso realtà che rendevano un servizio alla comunità spesso anestetizzata da eventi pubblici al limite del pacchiano e dell'anacronistico. In questo pezzo cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Italia dando la parola a chi è stato ed è protagonista di queste vicende, restando sempre di un'opinione comune: quello che chiamano movida, noi la chiamiamo "cultura".

Di Francesca Ceccarelli, con i contributi di Carlo Tonelato e Letizia Bognanni
Circolo degli Artisti, Roma (foto di Sabrina Lee Gore via Facebook)
Intervista a Pepe Carpitella (DJ)

Quanto tempo fa è stato chiuso il vostro locale?
Nel Marzo del 2015

Che tipo di gestione c'era?
Era un locale di pubblico spettacolo, con eventi, concerti, mostre, mercatini e discoteca.

Quale era il vostro tipo di pubblico/clientela?
La clientela in generale era composta da un pubblico che oscillava dai 18 ai 40 anni. Molto dipendeva dal tipo di live che veniva organizzato. La discoteca faceva storia a sé con un pubblico eterogeneo più tendente al giovane. Tutte persone comunque affamate di musica.

Qual era il tuo ruolo all'interno del locale?
Insieme a Fabio Luzietti e ai ragazzi di Fish'n'chips ero il dj del sabato nella serata Screamadelica. Per gli ultimi 3 anni ho lavorato all'interno della direzione artistica.

Attualmente pensate che nella vostra città ci siano abbastanza iniziative/locali che danno reale oppotunità alla dimensione live? Le istituzioni dimostrano sostegno?
Le persone che lavorano nel settore ce la mettono tutta per dare una dignità culturale ad una città che appare essere sempre di meno la Capitale. Le istituzioni sono fin troppo presenti ma in maniera estremamente negativa, ostacolando tutto l'ostacolabile. A Roma è sempre più difficile fare Cultura, anzi, a volte è addirittura sconveniente.

Che tipo di svolta immagini per gli spazi di questo tipo? Continuerà il trend che vede la sparizione di questi "piccoli" club?
Come dicevo sopra, aprire nuovi spazi a Roma è davvero un rischio, sia per la burocrazia iniziale, sia per la pressione e le "attenzioni" che le "istituzioni" rivolgono ad essi. Quindi la piega (o la piaga) che si sta prendendo è che sia più facile vedere sparire locali anziché vederne aprire di nuovi.

Che futuro hanno le band che si affacciano nel mondo live o che non hanno ancora la capacità di riempire grandi spazi?
Senza fare nomi, ci sono dei posti a Roma che hanno una clientela loro a prescindere dai concerti che organizzano. In questi luoghi le band o gli artisti "minori" che si esibiscono hanno la possibilità di esprimersi al meglio e di farsi apprezzare da un pubblico curioso. Poi esistono altri luoghi (e sono la maggior parte) dove viene fatta la classica domanda "Ma voi portate gente?". Esibirsi in questi luoghi ha una valenza pressoché scarsa e a volte nociva.
La Cantina Mediterraneo, Frosinone (foto via Facebook)
Risponde Simone Ignagni

Quanto tempo fa è stato chiuso il vostro locale?
Il 31 dicembre 2016.
Che tipo di gestione c'era? Circolo, locale?
Era un’associazione culturale. Tutto infatti veniva gestito attraverso la Soylent Green.
Qual era il vostro tipo di pubblico/clientela?
Era abbastanza vario perché il locale era aperto da quasi vent’anni, dunque la clientela passava dal teenager fino ad arrivare al cinquantenne nostalgi, con una percentuale preponderante però di ragazzi fra i 20 e i 30.
Perché avete deciso di chiudere?
Fosse stato per noi (Caterina Simeoli e Simone Ignagni) non avremmo mai chiuso. A parte gli ultimi 6 mesi, più tristi per via della consapevolezza della fine, i nostri 4 anni di gestione sono stati pieni di grandissime soddisfazioni: una media di 150 eventi all’anno, fra band, solisti, esposizioni, proiezioni, teatro, presentazioni di libri, eventi speciali. Non ce la saremmo mai sentita di dire stop a cose che per noi sono vitali. Abbiamo dovuto chiudere per cause di forza maggiore: il proprietario dell’immobile ha insindacabilmente deciso di riprendersi le mura per sé, e da affittuari non potevamo fare niente per impedirlo.
Attualmente pensate che nella vostra città ci siano abbastanza iniziative/locali che danno reale opportunità alla dimensione live? Le istituzioni dimostrano sostegno?
Purtroppo la situazione per la musica dal vivo è tragica. Gli spazi latitano, anche (e soprattutto) a Frosinone, capoluogo di provincia. Nello stesso tempo il numero di band continua a crescere, dunque il panorama è abbastanza frustrante per i musicisti che vogliono esprimersi sul palco. Per il resto, le istituzioni non dimostrano alcun sostegno, se ne fregano altamente della questione. Quasi a nessuno interessa questo aspetto socio-culturale, e qualcosa si smuove solo in estate, attraverso qualche festival ben organizzato che convoglia sia nomi più grandi, sia esordienti. Ma questo non basta. Soprattutto per la musica indipendente, quella suonata con tanta passione e pochi mezzi, serve più spazio, più sostegno, più locali in cui esibirsi, e un pubblico più attento. Proprio a questa fascia di musicisti si rivolgeva principalmente La Cantina Mediterraneo; dunque non è affatto esagerato dire che molti ragazzi da un anno a questa parte, purtroppo, si sentono letteralmente senza casa.
Che tipo di svolta immagini per gli spazi di questo tipo? Continuerà il trend che vede la sparizione dei "piccoli" club?
Purtroppo il trend non accenna a cambiare, e pensiamo che per il futuro prossimo l’andazzo resterà lo stesso. Tutto è legato a un andamento più ampio, a una tendenza sociale, comunicativa, che abbraccia ogni forma artistica, dalla musica al cinema, dal teatro all’editoria e via dicendo. Ma forse è proprio la musica dal vivo indipendente a farne maggiormente le spese. A pochi interessa guardare un concerto gratuito, anche se di qualità. A pochissimi va a genio spendere un biglietto simbolico di 3 o 5 euro per un gruppo emergente che sta promuovendo un album fra sacrifici, sudore e porte sbattute in faccia. Di solito però spenderne 100 per i soliti nomi, spostandosi anche di molti chilometri, fa fico.
Che futuro hanno le band che ora si affacciano nel mondo live o che comunque non hanno la capacità di riempire grandi spazi?
Il futuro per certe band è senz’altro in salita. Essere dei “signori nessuno” non è mai facile, ma con questo andamento diventa persino eroico. Il futuro è una strada buia piena di insidie, quelle peggiori: superficialità, incapacità di ascoltare davvero, massificazione, menefreghismo.
Cap 10100, Torino (foto via Facebook)
Risponde Valentina Gallo, direttore artistico

Quanto tempo fa è stato chiuso il vostro locale?


Cap10100 non è ufficialmente chiuso è Sospeso.
Questa la dichiarazione ufficiale:
Vi chiediamo scusa per l’assenza e il #disagio degli ultimi mesi, siamo ancora alle prese con problemi che riguarda tutto lo stabile di Corso Moncalieri 18 in cui ha sede il CAP10100 e ancora oggi non abbiamo la certezza dei tempi di riapertura. La questione è complessa e provo a spiegartela: tra luglio e settembre 2017, i tecnici del Comune di Torino effettuano due sopralluoghi di routine per adattare il CAP10100 alle normative vigenti in tema di sicurezza. Il 27 Settembre partecipiamo a una riunione ufficiale con presenti, oltre i funzionari della circoscrizione stessa, l’Assessorato alle Politiche Giovanili e i tecnici del Comune di Torino.
Solo allora veniamo a conoscenza che a causa di una contemporaneità delle attività presenti in Corso Moncalieri 18 (per contemporaneità si intende quando diverse attività di diverso genere utilizzano le stesse entrate o le stesse uscite, in particolare quelle di sicurezza), qualsiasi adeguamento da noi fatto o in programma nello stabile, sarebbe stato inutile a garantirne la sicurezza. A questo problema c’è una soluzione semplice: ridistribuire gli spazi del complesso al fine di eliminare la situazione di contemporaneità e rendere lo spazio perfettamente a norma per tutti: costruire una rete composta da associazioni, istituzioni e cittadini, al fine di mettere ordine in una gestione fatta di substrati provvisori e caotici. In questi mesi sono state fatte parecchie azioni da parte della Città alla ricerca di un percorso che porti ad una soluzione grazie alla stretta collaborazione che abbiamo, come centro per il protagonismo giovanile, con il settore Politiche Giovanili. Ad ogni riunione a cui abbiamo partecipato con Circoscrizione 8 e Comune di Torino si concorda sul fatto che lo spazio vada riaperto perchè ha un suo valore sociale e risponde ad un bisogno reale della città.
Corso Moncalieri 18 ospita l’unico Centro di Protagonismo Giovanile della Circoscrizione 8, che negli anni è diventato anche un centro culturale riconosciuto a livello nazionale; l’unico circolo sportivo comunale con accesso a tutta la cittadinanza gestito da più di 35 anni dagli Amici del Fiume; la Casa dell’Ambiente che si occupa di tematiche in questo momento più che mai fondamentali per la cittadinanza.
La scelta della direzione del CAP10100 è sempre stata quella di lasciare spazio ad associazioni e organizzazioni nel rispetto delle loro competenze ed esigenze. Questa è sempre stata e sarà sempre la forza del progetto CAP10100: lasciare uno spazio agli altri, in condivisione e fuori dalle logiche proprietarie, come molti sanno, a partire dalle associazioni e realtà che hanno vissuto insieme a noi gli stabili di Corso Moncalieri 18, come fosse casa propria.

Che tipo di gestione c'è? Circolo, locale, associazione?


Cap10100 è uno spazio concesso dal comune di Torino con permesso di pubblico spettacolo e somministrazione annessa.


Qual è il vostro tipo di pubblico/clientela?

La nostra clientela è composta da giovani abbiamo un target 18- 35 sulle attività serali e 15-30 sulle attività diurne.

Attualmente pensate che nella vostra città ci siano abbastanza iniziative/locali che danno reale oppotunità alla dimensione live? Le istituzioni dimostrano sostegno?


Torino vive uno dei momenti più duri di sempre. Sono moltissimi gli spazi chiusi o con problemi legati sopratutto alla sostenibilità e alla sicurezza.
Le istituzioni dimostrano di avere le mani legate. Vuoi la normativa, vuoi gli ultimi fatti di cronaca, vuoi degli amministratori che vengono chiamati a firmare in prima persona e quindi fortemente responsabilizzati e quindi alle volte troppo cauti.
Vorrei essere oggettiva; il sistema non tiene conto di troppe variabili come la qualità del lavoro, l'indotto creato, la rivalutazione dei territori a livello sociale, economico, culturale.
Ma la dimensione del Live non è solo una parte di un mercato che crea indotto e posti di lavoro.
è quel luogo in cui le persone sviluppano empatia, si emozionano, si baciano, si innamorano, litigano e vivono.
La vita di ciascuno di noi ha una colonna sonora, anche quella di chi questi spazi li vuole chiusi.
Il nostro territorio ha bisogno di palchi dove i giovani possano provare, esibirsi e creare, spazi in cui la prossemica, il contatto con il pubblico possa essere strumento di scelta artistica e crescita qualitativa.
Per fare una battuta; ultimamente mi sembra di vivere il primo tempo del film Footloose. Vietato creare.
Resistono alcuni festival storici e importanti creati da persone coraggiose e che stimo molto. Resistono i club storici; resistono perché non si può che parlare di resistenza a questo punto, però questi spazi non bastano.


Che tipo di svolta immagini per gli spazi di questo tipo? Continuerà il trend che vede la sparizione di questi "piccoli" club?


Credo che il trend continuerà se il problema non verrà affrontato con forza e fermezza. Spesse volte ci si sente in colpa perché si ha l'impressione di fare qualcosa di sbagliato. Invece dovremmo correggere gli errori e spiegare alla cittadinanza tutta quale sia la contraddizione. I club fanno investimenti economici enormi, su cachet, impianti e service adatti, adeguamenti per la sicurezza, personale. I club sono diventati luoghi di creatività di riflessione sul terzo settore, di specializzazione. Però... però nessuno lo sa fino in fondo. Allora dovremmo comunicare meglio il lavoro sui territori, l'utilità di queste imprese sociali che si occupano di produzione culturale.




Che futuro hanno le band che si affacciano ora nel mondo live o che non hanno ancora la capacità di riempire grandi spazi?


Nessuno. L'associazione Orfeo che gestisce il Cap10100, ha anche un piccolo circolo ARCI nel cuore di sansalvario (POP ex lavanderie Ramone). In quel circolo vediamo passare moltissime band appena nate. Molte volte in questi 15 anni di attività ci è capitato di vedere esordienti crescere e passare da 20 paganti in piccoli circoli a riempire spazi da 1000 /2000 persone in meno di 3 anni. Questo può accadere solo "facendo palco" solo il contatto con il pubblico indica ad un performer la sua strada. Senza i piccoli club non esisterebbe la base, la struttura di fondamenta su cui si poggia tutto il mercato dello spettacolo e della musica dal vivo.
Zion Rock Club/Apartaménto Hoffman /Deposito , Pordenone/ Treviso
Risponde Francesco, direttore artistico


Quanto tempo fa è stato chiuso il vostro locale?

Lo ZionRockClub ha chiuso i battenti nel 2010, l'Apartaménto Hoffman nel 2015, il
Deposito nel 2016.
Che tipo di gestione c'era? Circolo, locale, associazione?

I primi due Circoli Arci, l'ultimo uno spazio le cui attività concertistiche erano programmate e gestite da un'Associazione Culturale.
Quale era il vostro tipo di pubblico/clientela?

Molto vario direi. Tendenzialmente i locali erano frequentati da spettatori in una forbice di età fra i 18 e i 35 anni. A seconda degli eventi, però, abbiamo ospitato anche bambini o over 50s. Spaziando ad ampio raggio in termini di programmazione abbiamo accolto pubblico rock, reggae, elettronico, metal, indie, pop, vintage-addicted; ovviamente senza preclusioni di alcun genere o forma.
Perché avete deciso di chiudere?

Lo Zion lo abbiamo chiuso per un fatto emotivo. Nel corso di quella che sarebbe stata l'ultima stagione è capitata una cosa che ci ha colpito al cuore. Non avevamo alcuna intenzione di interrompere quell'esperienza (cominciata nel 2005) che, di stagione in stagione, stava crescendo esponenzialmente. Dopo quel fatto ci era difficile, impossibile operare serenamente. L'Apartaménto Hoffman, nato nel 2010, era condotto da tre persone. Nel 2015 ognuno di noi ha fatto scelte, legate sempre all'ambiente musicale, che ci avrebbero impedito di far vivere il Circolo appieno come volevamo. Per il Deposito la situazione è complessa: sono entrato a far parte del direttivo come AD
nel 2014. Nel maggio del 2016 sono stati messi i sigilli ai locali dove programmavamo e producevamo gli eventi, su richiesta del vicinato (che aveva manifestato questa intenzione più volte negli anni precedenti al mio ingresso nel direttivo) a causa della pressione sonora percepita. Per quanto riguarda la nostra gestione, in realtà, abbiamo sforato, in una sola occasione, di 3db. Da allora l'Ass.Culturale Il Deposito produce festival, eventi in teatri, altri locali e club. Ad oggi siamo, come si dice, “senza fissa dimora”.
Attualmente pensate che nella vostra città ci siano abbastanza iniziative/locali che danno reale opportunità alla dimensione live? Le istituzioni dimostrano sostegno?

Da operatore del settore e music-addict non posso che risponderti che non si fa mai abbastanza.
Il “live” è una dimensione nella dimensione, un'occasione unica, sociale ancor prima che culturale.
Come esperienza condivisa non ha eguali: è una forma d'arte e d'espressione capace di creare connessioni umane ed emotive senza paragoni possibili. In città attualmente vivono ed operano con continuità l'Astro Club e il Rock Town, molto vivaci ed in crescita. Sono molto diversi tra loro come proposta artistica e questo é un bene: il variegato pubblico del live non rimane a bocca asciutta. Il FVG e il Comune di Pordenone si dimostrano sensibili alla questione. Torno, però, all'incipit di questa risposta: non si fa mai abbastanza a mio parere. Ci sono realtà, nazionali e internazionali, che dimostrano, conti alla mano, che la Musica dal vivo é una grande risorsa, non un problema. Sia sul piano culturale-aggregativo che economico: pensa solo all'indotto prodotto,
recentemente, dal concerto degli Stones a Lucca. Quelli che erano i nostri partners commerciali in città (ristoranti, hotel, negozi) non perdono occasione per dirci che la nostra mancanza si sente.

Che tipo di svolta immagini per gli spazi di questo tipo? Continuerà il trend che vede la sparizione di questi "piccoli" club?

Siamo in un periodo dove la musica è liquida, per reperimento, ascolto e fruizione. Questa “liquidità” si riflette fortemente anche sul pubblico e gli spettatori dei concerti/eventi; ne sono un chiaro esempio i format a grande affluenza: Random, Holi, Mamacita, Caliente per citarne alcuni. Hanno, con successo, tradotto in esperienza live questa liquidità di ascolto. Il pubblico più definitamente da concerto viene in parte intercettato e in parte ne resta fuori per scelta, fondamentalmente per la mancanza di un forte catalizzatore artistico quali possono essere stati, per chi come me è cresciuto durante i 90s e i primi 2000, Nirvana, RATM, Manu Chao, i primi dirompenti Chemical/Daft/Prodigy etc
Nel momento in cui si ripresentassero sulla scena dei nomi, dei suoni, dei progetti fortemente identificativi il pubblico tornerà in massa a frequentare gli spazi di musica dal vivo propriamente detta. Si tratta di tenere fermo il timone, lavorare incessantemente sullo scouting di nuovi progetti di qualità (e ce ne sono tanti in emersione), elaborare strategie di comunicazione efficaci..i primi a dover far “passare” oltre lo schermo l'eccezionalità di una live experience dobbiamo essere noi, operanti nel settore. Questo fidelizza il pubblico. Nei novanta giravi la chiave del locale e la gente arrivava a prescindere (uscivano 4-5 pezzi colossali legati al mondo alternative OGNI settimana); oggi è necessario lanciare l'amo giusto al momento giusto, convincere lo spettatore che quella cosa lì è irrinunciabile, far capire che lo streaming di contenuti musicali non è sovrapponibile all'esperienza dal vivo.
Una volta varcata quella soglia il pubblico non può che tornare davanti al palco. Non è facile, lo so. Si tratta di un lavoro gigantesco e a volte frustrante. Vedo lo stesso “pericolo” per il cinema e lo streaming casalingo. L'esperienza di un film, passami il termine, “live” in una sala cinematografica con il sonoro e le dimensioni della pellicola volute dal regista sono parti integranti del film stesso.
Vedere un “Interstellar” su uno schermo 22mt x 16mt con un 6.1 di sonoro è altra cosa, artisticamente, emotivamente e culturalmente, rispetto al vederselo su uno schermo 15” con le casse del portatile che gracchiano ad ogni basso della colonna sonora di Zimmer.

Che futuro hanno le band che si affacciano ora nel mondo live o che non hanno la capacità di riempire grandi spazi?

Capisco l'intenzione della tua domanda. Mi allargo un po' per arrivarci. Qualche mese fa ho ascoltato un'intervista di Grohl, molto interessante, cui veniva posta la stessa domanda. La sua risposta, che é anche la mia da anni, è quanto mai semplice nella sua essenza e ardua nella realizzazione: suonare.
Provare all'infinito, salire sul palco (fosse anche una volta ogni due mesi all'inizio) per fare
lo show della vita, ogni volta. Tenendo sempre alta l'asticella chi ha qualità emergerà, non c'è dubbio.
Si verrà invitati a fare da opening-act a qualche band più conosciuta e il pubblico andrà a crescere. In mezzo all'audience, prima o poi, ci sarà quel promoter o quel discografico disposto a dare un'occasione capace di cambiare le carte in tavola.
Cosa intendo con quanto sopra: tutti noi appartenenti al mondo della musica dal vivo dobbiamo alzare il nostro orizzonte qualitativo. Offrendo un'esperienza viva e vibrante il pubblico ci premierà, gli spazi si animeranno (o rianimeranno) e se ne creeranno di altri.
So che siamo in un momento storico/culturale/sociale/economico fortemente legato all'immediatezza, all'istantaneità, che ci forza e condiziona soprattutto nel raggiungimento degli obbiettivi. Dobbiamo avere tutti la convinzione e la tenacia nel credere e investire nel medio-lungo termine. Quello, a mio parere, è l'orizzonte. Possibile e appagante.
Brickout, Campobasso (foto via Facebook)
Andrea Zita, direttore artistico Brickout

Quanto tempo fa è stato chiuso il vostro locale?
Il Brickout a maggio 2017 ha annunciato che non avrebbe ripreso la programmazione annuale. A giugno ultimi concerti, chiusura definitiva a luglio 2017

Che tipo di gestione c'era? Circolo, locale, associazione?
Era un circolo gestito dall’Associazione Culturale Frastuono.

Quale era il vostro tipo di pubblico/clientela?
Ci rivolgevamo principalmente ad una fascia di pubblico giovane - 18/40 - interessata alla musica dal vivo indipendente. La programmazione annuale comprendeva un ampio spettro di generi musicali e diversi eventi culturali.

Perché avete deciso di chiudere?
Sicuramente gli alti costi di gestione della struttura privata e di programmazione annuale hanno giocato un ruolo fondamentale, diciamo che hanno pesato per l’80% sulla decisione. Per il resto ci sono state una serie di concause minori: esigenze personali dei soci fondatori, lavoro, scena musicale locale pigra, apatica e concentrata su se stessa con poche e bellissime eccezioni. La decisione è stata dura da prendere, ma necessaria. Dopo anni di sacrifici era arrivato quel momento in cui ti senti solo, nonostante l’appoggio del pubblico (mai mancato) e la “fame” di musica che si respira anche nelle zone limitrofe alle nostre (il 20% dei nostri soci era di fuori città e in molti casi di fuori regione). Più che un semplice “locale” di plastica, avremmo voluto creare una comunità, un contenitore vivo per contribuire a creare una scena musicale diversa e più ampia. In minima parte ci siamo riusciti, spero solo che qualcuno possa farne tesoro. In generale l’esperienza è stata bellissima.
Attualmente pensate che nella vostra città ci siano abbastanza iniziative/locali che danno reale opportunità alla dimensione live? Le istituzioni dimostrano sostegno?

Se parliamo di dimensione live intesa come “produzione + palco + impianto audio + impianto luci + fonico/tecnici”, cioè di concerto nel vero senso della parola, ahimè la risposta è no. Esistono un paio di locali con delle potenzialità, ma preferiscono fare altro. Il resto è intrattenimento puro nei bar con alcune band anche valide. Ma da quello che vedo la musica dal vivo fa da sfondo ad una cena o ad una bevuta, quelle situazioni in cui vai più per il 3x2 sulla birra che per il ‘concerto’, la classica
serata dove qualcuno dà le spalle ai musicisti e puoi tenere alto il volume dell’amplificatore finché il tizio del piano di sopra non chiama i caramba ché giustamente deve dormire. Sigh. Per quel che riguarda le istituzioni so che ogni tanto organizzano sagre: un tot chili di cibo e un tot chili di jazz.
Credo che in comune manchi l’assessorato alle politiche giovanili da una quindicina d’anni e i risultati si vedono. In regione l’assessorato alla cultura è stato di fatto esautorato dei suoi poteri da una fondazione, se non sbaglio da tre legislature esiste la figura del “delegato alla cultura”. Il problema principale è la mancanza di programmazione, nessuna idea di sviluppo organico, nessuna voglia di investire quelle poche risorse per progetti a lungo raggio, nessuna voglia di guardare al presente figuriamoci al futuro.

Che tipo di svolta immagini per gli spazi di questo tipo? Continuerà il trend che vede la sparizione di questi "piccoli" club?
Non credo. I piccoli club sono vivi, anzi la tendenza negativa riguarda gli spazi più grandi. Chiaramente poi in ogni realtà subentrano i più disparati motivi che portano alla crisi o alla chiusura di un posto. Il problema, secondo me, riguarda di più i singoli generi musicali, la fruizione da parte del pubblico e i gusti. Ci sarà sempre il genere del momento e il revival di qualcosa. E un club deve sapersi innovare cercando di mantenere la personalità che lo contraddistingue.
Che futuro hanno le band che si affacciano nel mondo live o che comunque non hanno la capacità di riempire grandi spazi?
A prescindere dai miei gusti personali mi sembra che in giro ci siano un bel po’ di concerti di band emergenti che vanno sold-out, con la nuova scena indie/cantautorale italiana a fare da capofila. Per chi inizia adesso a farsi le ossa, i piccoli club rimangono fondamentali. L’importante credo sia non pensare di produrre soltanto bei contenuti per i social perché la prova del palco prima o poi arriva.

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La gallery Perché molti live club italiani stanno chiudendo è apparsa su Rockit.it il 2017-12-27 11:26:08