La carriera di Lucio Battisti in 12 foto

03/03/2017 - 17:54 Foto di Lucio Battisti 109
Dalla prima chitarra a 13 anni fino ad arrivare all'ultimo disco del 1994: tutta la carriera di Lucio Battisti in 12 tappe.

(a cura di Renzo Stefanel)
La prima chitarra
A 13 anni, nel 1956, il piccolo Lucio sente suonare la chitarra a due ragazzi che abitano nel suo stesso palazzo, a Roma, i fratelli Polsinelli. È un attimo volerla suonare (gliela regalerà babbo Alfiero per la licenza media) e innamorarsi della musica latina che i fratellini suonano di continuo. Uno dei primi pezzi che impara è “Malagueña”, lo stesso che in quel periodo strimpella anche un certo Keith Richards. È l'inizio di un fiume carsico che emergerà diverse volte nella sua carriera, tra esiti più didascalici e altri più originali: da “La mia canzone per Maria” (1968) a “Ma è un canto brasileiro” (1973), tutto “Anima latina” (1974) e “Respirando” (1976). Ma nasce anche la voglia di diventare musicista di professione. Così nel 1962 strappa una promessa ai genitori: due anni, quelli in cui avrebbe dovuto fare il servizio militare da cui è esentato, e, se non ce la fa, va a fare l’impiegato.
L'incontro con Mogol
Tre anni dopo, Lucio ce l’ha fatta: è diventato chitarrista di complessi da ballo. Prima i Mattatori, poi i Satiri, quindi i Campioni, con cui gira l’Europa e conosce la musica soul, nonché quella di Bob Dylan, Rolling Stones e Buffalo Springfield, che rimarranno riferimenti costanti. Ha iniziato a scrivere canzoni, con testi propri, perciò cerca discografici disposti a credere in lui. La prima, nel 1965, è Christine Leroux, talent scout della Ricordi, che, stimando molto deboli i suoi testi, lo fa ascoltare a Giulio Rapetti, in arte Mogol, figlio di un dirigente della Ricordi. Sei anni più di Battisti, Mogol è già un autore di testi di grande successo, ma di routine: è stanco e vorrebbe scrivere qualcosa di più personale. Decide di provarci sulle musiche di quel ragazzetto dalla voce inconsueta per i canoni del Bel Canto. Ne nascerà il sodalizio più importante della musica italiana. (foto [l="www.corriere.it/foto-gallery/spettacoli/16_settembre_09/lucio-battisti-18-anni-fa-morte-03c176e6-764d-11e6-b673-b2cde5239b18.shtml"]via[/l]
“29 settembre” e il successo come autore.
Un paio di 45 giri in proprio, sette canzoni come autore per altri e, il botto. L’estate dell’amore in Italia non inizia il primo giugno del 1967 con la pubblicazione di “Sgt. Pepper” dei Beatles, ma a fine marzo, quando esce “È dall'amore che nasce l'uomo/29 settembre”, il nuovo 45 giri psichedelico dell’Equipe 84, il più affermato gruppo beat italiano. Sul lato A ci va un brano di Guccini (firmato da Vandelli, perché il modenese non è ancora iscritto alla Siae), ma è il lato B a trascinare il disco: vende 550.000 copie e afferma Battisti come hitmaker. Verranno i primi successi in proprio, ancora in tono minore, ma è l’estero che consacra Battisti come autore di successo: a dicembre 1968 la sua “Balla Linda” diventa “Bella Linda” per gli americani The Grass Roots e arriva al n. 28 in Usa; a febbraio 1969 gli inglesi Amen Corner agguantano la n. 1 in Uk con “(If Paradise Is) Half as Nice”, che altro non è che la sua “Il paradiso”, che in patria non aveva avuto fortuna nella versione di Ambra Borelli dell’anno prima. La avrà, di ritorno, nella cover di Patty Pravo del 1969.
"Un'avventura": Sanremo 1969 e il successo come interprete.
Cosa fai in Italia quando devi importi al grande pubblico? Vai a Sanremo. Come autore Battisti c’è già stato nel 1967 e nel 1968, ma nel 1969 vi partecipa per l’unica volta come interprete, confezionando un brano memore del soul della Stax che lo fa impazzire (non a caso lo presenta in accoppiata con Wilson Pickett), ma doverosamente annacquato per la platea sanremese. La sua esibizione non è delle migliori, come il piazzamento nella classifica finale: nono, con 69 voti. Ma, anche se il 45 non va oltre la posizione n. 15, nel Paese esplode la Battistimania. Quell’anno Lucio infila tra 45 giri di successo: oltre a “Un’avventura”, “Acqua azzurra acqua chiara”, con cui vince il Festivalbar (n. 3 in classifica), e “Mi ritorni in mente”, con cui centra il n. 1 il 10 gennaio 1970. Arrivano anche i suoi due unici tour, entrambi estivi: 1969 e 1970.
"Amore e non amore" e la deriva sperimentale
Quando esce, a luglio del 1971, “Amore e non amore” è già vecchio di nove mesi, bloccato dalla Ricordi timorosa di tanta novità. Continuando a sfornare singoli ammazzaclassifiche che inusualmente travalicavano la tradizionale forma canzone (spesso non c’è ritornello; il numero delle battute spesso è dispari), con un orecchio a quanto si muove tra rock, r’n’b, psichedelia e nascente progressive, Battisti ha registrato un concept diviso tra tracce cantate fortemente influenzate dal blues (il non amore) e tracce strumentali (l’amore) che si muovono in territori differenti, dall’exotica alla dodecafonia, e sono quindi concettualmente progressive. Un aiuto fondamentale viene dai musicisti della PFM, tutti presenti tranne Mauro Pagani, e della Formula 3. È l’inizio di una serie di sperimentazioni che troveranno spazio sia negli album di altri artisti (“Sognando e risognando” della Formula 3; “Radius” di Alberto Radius che tiene a battesimo gli Area) sia nei propri, culminando prima in “Anima latina” e poi nei “bianchi” panelliani.
"Tutti insieme" e la leggenda di Battisti fascista
Registrato il 31 luglio 1971, in onda il 23 settembre sul Secondo Canale RAI, “Tutti insieme” è la celebrazione della potenza di Battisti e Mogol e della Numero Uno, la loro etichetta indipendente, nata nel 1969, per cui Lucio non incide ancora, essendo legato alla Ricordi fino al 1971: ci sono PFM, Flora Fauna e Cemento, Adriano Pappalardo, Bruno Lauzi, Formula 3. Curiosamente, per uno show che si apre con “Let the Sunshine In”, inno pacifista tratto dal musical “Hair”, e si chiude con “Proud Mary” dei Creedence Clearwater Revival, che parla di una lavapiatti che mantiene il suo uomo, qui nacque la leggenda di Battisti fascista. Suonando “E penso a te”, infatti, Lucio leva il braccio a mano tesa per stoppare i musicisti. Il gesto fu interpretato come un saluto romano. Dato che Mogol non scriveva testi impegnati, proliferarono le interpretazioni deliranti di testi e copertine a venire. Deliranti perché tutte le testimonianze parlano di un Battisti poco interessato alla politica ed elettore di volta in volta comunista, liberale, radicale
"La canzone del sole": finalmente indipendente!
Uscito a novembre 1971, “La canzone del sole / Anche per te” è il tredicesimo 45 giri di Battisti, ma per una volta il 13 non porta sfortuna. È infatti l’esordio di Lucio per la “sua” Numero Uno e raggiunge il n. 1 in classifica. I brani sono due classici della canzone italiana. Il primo, forse vagamente ispirato a “The First Cut is the Deepest” di Cat Stevens (1967), è l’ultima collaborazione con la PFM, che a gennaio 1972 pubblicherà il suo primo album e smetterà con le studio session per altri artisti. Il secondo è un’eccellente ballata pianistica in cui sono incastonati tre splendidi bozzetti femminili. La copertina è la prima di Battisti realizzata dall’amico Cesare Montalbetti, in arte “Caesar” Monti, fotografo di “Re nudo”, rivista di riferimento del mondo alternativo d’allora. Curiosità: la borsa che Battisti ha in mano, di proprietà di Montalbetti, finirà anche sulla copertina di “Darwin”, secondo album del Banco del Mutuo Soccorso (dicembre 1972), sempre opera del fotografo.
"Ancora tu" e la perdita dell’indipendenza
Battisti abbandona momentaneamente la sperimentazione e si dà al ritmo. “Ancora tu”, uscito a febbraio 1976 come primo 45 giri estratto da “La batteria, il contrabbasso, eccetera”, tiene il primo posto per 12 settimane e risente felicemente dell’influenza disco, come altri brani dell’album e di quelli successivi. Dal punto di vista dei testi di Mogol, si apre una fase più adulta e autobiografica, e meno tesa al ritratto generazionale del mutamento dei rapporti tra i sessi. Il disco segna anche il ritorno di Battisti sotto major: la Numero Uno, infatti, ormai dal 15 gennaio 1975, era stata acquisita dalla RCA, sua precedente distributrice. Ancora una volta non c’è ritornello, ma ripetizione della stessa strofa tre volte di seguito con un crescendo nell’uso della voce: prima quasi parlato, poi cantato, infine quasi urlato. Ne tiene conto David Bowie, che arriva a Genova la prima settimana di aprile 1976 e già conosce e apprezza Battisti da molto (ha firmato il testo della versione inglese di “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” nel 1974), che struttura allo stesso modo “Heroes” l’anno dopo.
"Images" e la conquista del mondo
Cosa ti rimane da fare quando sei il numero uno in Italia, hai esplorato tutti i generi e conquistato il mercato estero come autore? Provare a sfondare nel mondo anglosassone, ovvio. Battisti in Usa c’è già stato nel 1975, ospite di Armando Gallo a Los Angeles. Ora ci torna e lavora dal 4 ottobre 1976 a marzo del 1977 agli studi RCA di Hollywood, per una raccolta dei suoi successi cantati in inglese. Ma è un flop terribile, per diversi motivi: la cattiva pronuncia di Battisti; l’errato tentativo di sfondare solo tramite apparizioni tv, mentre in Usa devi fare una lunga gavetta dal vivo (ne sa qualcosa la PFM, che ha girato gli States per tre anni); le traduzioni letterali dei testi imposte da Mogol, con risultati imbarazzanti come nel caso di “Sì, viaggiare” che, diventando “Keep on Cruising”, finisce involontariamente per raccontare di un vecchio porco che rimorchia le teenager a bordo della sua grossa auto. Battisti ci riproverà con “Friends”, progetto inglese del ’78-’79, abortito sul nascere, dopo che “Baby It’s You” (“Ancora tu”), edita in Uk in 45 giri, fa un altro buco nell’acqua.
"E già": un nuovo inizio.
Il quindicesimo album di Battisti, uscito a settembre 1982, è il suo primo senza Mogol: la collaborazione si è interrotta due anni prima, tra esaurirsi della spinta creativa, ostilità crescente della moglie di Lucio, Grazia Letizia Veronese, verso Giulio Rapetti, reo di aver involontariamente favorito nel 1975 una scappatella del marito (almeno secondo Cesare Montalbetti), piccoli litigi personali. Ma è un addio anche al pop da adulti degli ultimi due dischi e un abbraccio al synth pop più sperimentale e crudo di quegli anni. I testi li firma Velezia, pseudonimo della moglie: in realtà, visti gli aspetti molto personali dei testi, raccontati in prima persona, molti pensano che le parole siano frutto dello stesso Battisti. Ancora una volta, raggiunge il numero uno in classifica.
"Don Giovanni" e l’incontro con Panella
Aprile 1986 placa la sete di Battisti che attanaglia i suoi fans da ben quattro anni con “Don Giovanni”, suo ultimo numero uno. Non c’è più solo elettronica, ma i brani fluttuano in una dimensione iperurania, anche grazie alle parole di Pasquale Panella, il nuovo autore dei testi, testato da Battisti nella prova generale di “Oh! Era ora”, album di tre anni prima dell’amico di sempre Adriano Pappalardo. Più oscuro e meno ammiccante di Battiato, il nuovo Battisti cerca di distanziarsi più che può dall’immagine di cantante da falò sulla spiaggia che gli si è appiccicata addosso negli anni con Mogol. I testi, per lungo tempo ritenuti nonsense ed incomprensibili, sono in realtà un raffinato e coltissimo discorso sulla canzone e il ruolo del musicista, come ha chiarito recentemente Alex Ciarla nel suo “Battisti-Panella: da Don Giovanni a Hegel”.
“Hegel”: la fine della favola bella
Quando “Hegel” esce, a ottobre 1994, Battisti e Panella hanno già deciso la fine della loro collaborazione, durata cinque dischi, di successo decrescente, per l’oscurità dei testi, la voluta freddezza generale, la distanza dalle mode. Escludendo “Images”, è il peggior piazzamento di sempre in classifica: “solo” numero 5, copie vendute tra le 60.000 e le 150.000. Influenzato dalle ritmiche hip hop, come gli ultimi tre dischi “Hegel” si rivolge a un’amata, questa volta in gioventù: ma non si parla di lei, bensì “del suo ricordo, della bellezza di quei momenti vissuti assieme a lei” (Ciarla, op. cit.). Non ci saranno altri sviluppi. Si mormora di un disco pronto e mai uscito per il disinteresse delle case discografiche. A ogni modo un destino cattivo, che porta a morte prematura Battisti il 9 settembre 1998, pone fine alla parabola di uno dei musicisti italiani più importanti di sempre.

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