Viaggio nella scena Post-Industriale italiana degli anni '80

07/10/2016 - 12:13 Caricato da Redazione
La scena post-industriale sviluppatasi in Italia agli inizi degli anni '80 è, all’interno del panorama europeo di quel periodo, tra le più creative, vivaci e deviate in circolazione. "Post-Industriale - La scena italiana degli anni '80" è il libro di Marcello Ambrosini nel quale si compone il primo completo mosaico della musica post-industriale italiana, un movimento underground che ha segnato un’intera generazione di musicisti e ha rappresentato una particolarità imprescindibile della cultura moderna.
Qui di fianco trovate alcune delle copertine e foto più interessanti dell'epoca, accompagnate dalla prefazione di Luther Blissett.

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Pankow - Throw Out Rite
Immaginate un (o una) giovane, teenager o poco più, nella sua cameretta sul finire degli anni Settanta, solo, stufo, annoiato e in guerra con “un mondo non suo sapendo che il proprio non esiste” (come scriveva Lyke Wake con scorato spleen esistenzialista sul retro delle sue audiocassette). Per contrastare il senso di vuoto, alza il volume in cuffia e a occhi chiusi batte ritmicamente la testa contro un muro invisibile, ad libitum (no air guitar). I sogni della generazione “peace & love” sono andati a puttane, i vecchi hippie sono diventati capitani d’industria e con le utopie han fatto zeppe per le gambe delle loro scrivanie da manager.

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Runes
Il punk si è rivelato l’ennesima truffa del r’n’r, subito venduto all’industria per un piatto di lenticchie e un paio di Dr. Martens, nessun futuro, neppur per se medesimo. E se chitarre e canzoni di tre soli accordi già puzzavano di prassi stantia e monitorata dal music biz, cosa poteva fare un povero ragazzo di provincia se non studiare i testi proibiti (nazismo, Crowley, De Sade, patologia medica, serial killer, Burroughs, Dick, Mishima) e progettare bombe per assalti di verace audio-terrorismo?

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M.B. - Symphony For A Genocide (1981)
Abbattere il muro del suono mainstream per mezzo del rumore, farli urlare tutti con le mani pressate sulle orecchie (come facevano le ragazzine ai concerti dei Beatles) ma stavolta per un motivo concreto. “Intrattenimento tramite il dolore”.
Hackerare il sistema rock servendosi di ordigni fai-da-te rappezzati mediante un bricolage di apparecchiature casalinghe, dall’affettatrice alla lavabiancheria. Milano brucia, ma anche Rezzato, Asparetto e Bertiolo. Uno-cento-mille Unabomber a cassetta: “Mi è sembrato di sentire un rumore, rumore... / sarà la paura...”.

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Brain Discipline - World!
Gli Skiantos, intitolando auto-ironicamente la loro prima cassetta Inascoltable (Harpo’s Bazar, 1977), interpretavano a modo loro in pezzi pazzi come Io Vi Odio e Spacco Tutto il ribellismo nichilista del punk marcio-e-cattivo d’oltremanica, ignari del fatto che un anti-genere sonoro ancor più rozzo, grezzo, pestone e veramente “inascoltabile” stava facendo proseliti anche nel profondo delle nostre cantine. Il punk, giunto a noi in ritardo fra ruffiane trasmissioni renzoarboriane e disinformate scomuniche politiche della sinistra bacchettona, è passato lungo la penisola come un lampo di granata, ha inffiammato animi sopiti ma si è poi subito sanremizzato o segregato nei circuiti carbonari dei C.S. hardcore.

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Officine Schwartz - Terra Fabbrica & Cielo Meccanico
Erano anni plumbei e frenetici, a cavallo tra Settanta e Ottanta, in cui il cinismo totalizzante e ottundente della vita vissuta costantemente online era di là da venire e ancora, tra uno stordimento collettivo con effetti larsen e nottate passate a registrare bottiglie rotte e movimenti di scarafaggi, si potevano fantasticare mosse mediatiche esemplari (e volete mettere il gusto di sparare tonnellate di feedback duro e puro in faccia a un ignaro pubblico di punketti e darkettoni della domenica?), era lecito escogitare con corde e lame atroci performance artistiche per épater la bourgeoisie, tessere “reti” antagoniste fondate non su illusori sogni utopici ma su solide e distopiche certezze: l’Apocalisse è vicina, il pianeta ha ormai gli anni contati ed ecco il suono che vi meritate, “kzzzcrtzvyxzzzatkrrfrlkwrHTRVZZZXKL!”.

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Radical Change - I Invoke My Own Terror
Operando una blasfema congiunzione astrale di provocazione neo-fu-tur-dada-situazionista, musica contemporanea, elettronica tostissima ed eterno spirito ribellista rock (poco importa se di Russolo, Stockhausen e Debord si conoscono poco più che il nome, l’albero genealogico che li connette a noi è chiaro e introiettato!), questo modo altro di “sentire” il suono contemporaneo, elevando il rumore ad arma e feticcio come neppure John Cage o Jacques Attali (vedi i loro classici e speculari saggi Silenzio e Rumori), ha trovato al momento giusto un nume tutelare e un nome di comodo tramite l’opera esemplare dei britannici Trobbing Gristle e della loro etichetta Industrial Records (con aiutino nella felice scelta della denominazione da parte del performer californiano Monte Cazazza). Veri anticristi di un rock rovesciato come una pelle di coniglio – passando per Velvet Underground, Faust, AMM e le sezioni più spericolate dei Pink Floyd – anche gli anti-Fab4 dell’eretta “Cartilagine Palpitante” sono passati però con velocità quasi meteorica (1975-81) e tutto ciò che è venuto dopo nel segno del “post-industrial”, teoricamente legittimizzato dal seminale manuale a orologeria Industrial Culture Handbook (1983) innescato a San Francisco da Jon Savage assieme a Vale delle edizioni Re/ Search, è in realtà un frastagliatissimo universo che ha saputo poi imboccare strade radicali anche diverse e antitetiche, evolvendosi e rinnovandosi fino ai giorni nostri nelle sue numerose sotto-correnti, con ibridazioni dal (power) noise all’ambient, dal punk alla dark wave gotica, dalla EBM alla trance, dalla techno all’electro-rock, dal metal all’hip-hop, dal folk al neo-classico, eccetera eccetera.

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Rosemary's Baby - Magia Sexualis I
Un dato però è certo, se il concetto di rumore (che letto anche come disturbo, anomalia, tumulto, porge il destro a una debordante quantità di speculazioni socio-politico-filosofiche) è presente da sempre nelle creazioni acustiche, solo dopo che l’industrial lo ha portato aggressivamente alla ribalta, costringendo tra l’altro la spaesata stampa musicale a svecchiare i propri parametri e strumenti critici, ha acquisito retroattivamente il ruolo fondamentale che gli compete nella storia della musica. Grazie ai T.G. e soci insomma, oggi ascoltiamo con una consapevolezza diversa anche Derek Bailey e Neu!, Cage e Musica Elettronica Viva, la Metal Machine Music di Lou Reed e Freak Out di Frank Zappa (o, per lo stesso motivo, NON sta ai Sunn O))) come le urla gutturali del power electronics stanno a quelle di grindcore e death metal). Quello post-industriale – altro concetto su cui si potrebbero scrivere volumi, dissertando di società dell’informazione e controllo sociale, alienazione collettiva e isolamento, archeologia urbana ed estetica del detrito – è dunque un network composto di molteplici stili e di individui identicamente dissimili, è sì un’indeterminata categoria per gli scaffali dei negozi di dischi (specie dopo che Nine Inch Nails e Ministry hanno conseguito dischi di platino) ma è anzitutto un’alleanza psichica, un anti-credo pagano e invisibile, un modo di essere, “un approccio mentale o filosofico” (come afferma Simon Balestrazzi nelle pagine di questo libro). Quarant’anni dopo, il pianeta non si è ancora autodistrutto (ma le cose non vanno certo per il meglio!) e noi il fenomeno post-industriale possiamo perfino permetterci di studiarlo e dissezionarlo, senza timore che ci esploda tra le mani.

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I Rosemary's Baby
Nel frattempo, difatti, ci siamo tutti assuefatti ai massacri e genocidi quotidiani in cronaca tv e al feedback sparato a manetta anche dalle orchestre di paese. L’appassionato di musica industriale ha imparato a trarre davvero piacere dalle sofferenze auricolari, né più né meno che un fan dei Cannibal Corpse (ma la sadomasochistica perversione gli ha insegnato anche a non aver più paura di Iannis Xenakis o Krzysztof Penderecki).
La “rete” globale della musica industriale (avrebbe potuto chiamarsi in un qualsiasi altro modo, e si sarebbe certo sviluppata anche se non ci fossero stati i T.G. a fare da elemento catalizzatore) si è diffusa in un’epoca non ancora massicciamente informatizzata. Il Commodore 64, primo paleolitico computer casalingo su cui molti si sono fatti le ossa, è stato commercializzato solo nel 1982, lo stesso anno in cui hanno fatto la loro comparsa i primi compact disc. Per internet e il World Wide Web si è dovuto attendere ancora una decina di anni, qualcuno in meno per le BBS usate in modo rudimentale dalle prime frange della subcultura “cyberpunk”. Visto il totale disinteresse per suoni tanto alieni dei comuni mass media, non restava dunque all’epoca che un solo modo per cementare i contatti, a complemento di sporadici concerti in garage, gallerie d’arte (come l’ICA di Londra, dove esordirono i T.G. e gli Einstürzende Neubauten perforarono il palco a colpi di martello pneumatico) o nei luoghi più atipici e impensati: far viaggiare per posta i propri materiali.

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Sigillum S - Klimax Axis
Che il panorama post-industriale internazionale (con picchi di attività in UK, USA, Giappone e per l’appunto anche in Italia) costituisse una vera e propria “rete sociale” pre-internet, e non una semplice massa di monadi indipendenti o in competizione tra loro, lo attesta la grande quantità di (audio)riviste e compilation (su cassetta o vinile) che caratterizzano il periodo, realizzate grazie a un fitto intreccio di contatti e corrispondenze personali. Il tipico processo che portava un cultore di questo tipo di anti-musiche a dar vita a una nuova tape label e/o fanzine e/o progetto sonoro prendeva le mosse appunto da una metodica attività di acquisto e scambio postale di materiali autoprodotti, pacchettini e buste contenenti soprattutto audiocassette (il supporto preferito, per economicità e versatilità, da cui anche l’appellativo di tape network affibbiato a quest’area espressiva) inviati in ogni angolo del pianeta, intere collezioni formate tramite baratti di suoni d.o.c. a chilometro zero. Anche i più noti “industrialisti”, dai T.G. a Merzbow, hanno iniziato in questo modo, duplicando in casa cassette in edizioni di poche decine di copie. Da un vasto campionario di ascolti, poi ciascuno selezionava i progetti più in sintonia coi propri gusti e di solito avviava l’attività di una nuova etichetta compilando un’antologia su nastro. Raramente un artista declinava la richiesta di un brano per compilation, trattandosi di un’occasione in più per far circolare il proprio nome, ma soprattutto di una maniera per sentirsi solidali a una causa comune. Per un certo periodo, grosso modo quello preso in esame da questo volume, si è davvero percepito lo spirito di una Nazione Industriale senza bandiere, leggi o confini, ma col tacito comune obiettivo di svelare il “tessuto di bugie” (per citare i Nocturnal Emissions) di cui si compone lo status quo, nell’industria musicale come nel sistema capitalista avanzato. Poi, com’era inevitabile che accadesse, anche questa “area grigia” (Mute docet) di espressioni estremiste è stata colonizzata dal mercato, e Industrial Nation è diventato solo il nome di una rivistuzza USA creata per spacciare electro-rock “industriale” un tanto al quintale.

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Sigillum S / Gerstein
L’aspetto più appassionante del fenomeno per molti praticanti e fan dell’industrial è stato proprio quello della quotidiana “tessitura” di una rete internazionale di contatti, ampliando progressivamente il raggio d’azione tramite scambi e acquisti. È fondamentale poi comprendere il ruolo e l’importanza degli archivi personali di questi appassionati, ciascuno una diversa combinazione di rare produzioni in edizione limitata, molte in confezioni spettacolarmente elaborate (tra libretti nei più diversi formati e astucci in materiali anomali come legno, vetro, metallo), deposito anche di nastri in copia unica o di lettere manoscritte in grado di gettare luce su motivazioni ed eventi di cui si sono smarrite le tracce. Curiosamente, difatti, il post-industriale (e la cassette culture più in generale) è una scena in cui l’estrema artigianalità del prodotto fatto-in-casa – come le copertine con singoli collage originali e titoli scritti a mano – e anche l’amatorialità e la mancanza di tecnica musicale paiono essere non dei disvalori bensì dei pregi. Si tratta del culto condiviso col punk per il non musicista (creativo) visto anche come estremo sberle o alla patinata e vuota “professionalità” del mainstream, alla prevedibilità omologata dell’industria del rock (ma, attenti, quella del “genio dilettante” è soltanto una faccia di un poliedro dai molti lati, ci sono perfino artisti industrial diplomati al Conservatorio!). Tra i nuovi valori introdotti dal network non solo post-industriale ci sono tuttavia, per dirla col tape-artist Hal McGee, quelli della triade di principi operativi “Contatto - Comunicazione - Collaborazione”, che ci permettono di leggere il nuovo attivismo di rete anche in chiave di prolungamento e aggiornamento delle istanze controculturali delle generazioni beat-hippie, andando magari a riconsiderare anche l’occultato “lato oscuro” dei Cinquanta-Sessanta in reazione a un ventennio di “buonismo” di facciata (vedi la Family di Charles Manson, spesso citata e rivisitata al pari di altre inquietanti sette para-religiose, da Scientology a The Process). Le “tattiche dello shock” che caratterizzavano gli albori industrial, dando vita ad ambiguità politiche a non finire (critica e indagine “per non ripetere gli errori del passato”, o fascinazione ed exploitation di temi morbosi e perversi?), i suoni urticanti e le parossistiche urla in feedback del power electronics, sono una delle tante sembianze di una scena multimediale che si è poi avvalsa di strategie articolate e sofisticate, non solo rumore-e-grida ma anche impeccabile collagismo ed eretica improvvisazione post-lisergica (coi Nurse With Wound come capiscuola), rigorose disamine del linguaggio delle macchine (trovando nuovi e obliqui utilizzi per synth, drum machines, computer e strumenti autocostruiti), un ritorno alle origini rituali e magico-religiose del ritmo, ricerche sulla “musica metabolica” e i poteri segreti del suono, esercizi nel riciclo di suoni catturati nell’ambiente naturale e urbano (seguendo i consigli del manuale burroughsiano e Electronic Revolution più che i maestri della musique concrète), rarefazioni concettuali che si abbeverano alle sorgenti dell’audio art e della performance art, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

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Thee Three Rings
Quale dunque il lascito artistico e l’effetto a lungo termine (a parte qualche orecchio sacrificato al Dio Acufene) dell’animato e bellicoso industrial “old school” tricolore? Molto rumore per nulla, o sono esistiti (ed esistono) anche in Italia personaggi originali e di spessore, con una loro storia articolata da divulgare? Propenderemmo per la seconda ipotesi, perché come avrete modo di scoprire anche solo scorrendo l’indice di questo libro, non sono pochi gli autori che hanno beneficiato di carriere longeve e dagli sviluppi anche sorprendenti. Basti pensare al solido culto sotterraneo, certificato da millanta bootleg, uscite ufficiali e ristampe, che ha accompagnato n dall’inizio l’attività di Maurizio Bianchi/M.B., autore eccessivo in molti sensi – l’iperbolico stile del suo passato da giornalista, l’estrema reclusività, l’iper-produttività, le svolte mistiche – il cui suono rigoroso e inflessibile ci mette di fronte, come un’opera di Piero Manzoni o Lucio Fontana, a interrogativi primari sull’essenza e funzione dell’espressione artistica. Si pensi altrimenti alla fortuna in ambito di colonne sonore di Mauro Teho Teardo e Ivan Iusco, alle blasonate collaborazioni (a partire da Bill Laswell e Mick Harris) di Eraldo Bernocchi dei Sigillum S, agli exploit di Mauro Guazzotti dei F:A.R. nelle vesti del folle dj-vocalist MGZ, alla crescente maturazione tecnica e compositiva di autori “colti” per background e tattiche come Giancarlo Toniutti e Simon Balestrazzi (T.A.C.). O ancora, alla solida parabola di gruppi come Tasaday e Officine Schwartz (con atipiche prerogative anche nella dimensione concertistica), alle intriganti tradizioni esoteriche dietro al lavoro di formazioni tanto diverse quanto Rosemary’s Baby e Ain Soph, alle oscure profondità cosmico-ambientali sondate da Lyke Wake, al connubio di romanticismo e sperimentazione in artisti come Gerstein e Daniele Ciullini, alle storie poco raccontate di altre personalità veraci come Pierpaolo Zoppo (prematuramente scomparso), Pietro Mazzocchin, Andrea Cernotto, Enrico Piva/Amok (anche interessante scrittore “concettuale” e artista visivo) e Marco Corbelli/Atrax Morgue (capo la della generazione italoindustrial dei Novanta), entrambi morti suicidi per malesseri e problematiche esistenziali evidentemente per nulla artefatte, più ancora tanti altri.

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Therabaqud Leic
Il post-industrial si è continuamente rinnovato, ha avuto (tra Roma e Pordenone, Prato e Napoli) anche i suoi festival e le sue rassegne di settore, ha perfino trovato qualche postuma gratificazione nelle quotazioni del mercato collezionistico. C’è insomma, diremmo, materia in abbondanza su cui poggiare un discorso critico. Senza l’esempio sul territorio di tutti questi pionieri, non ci sarebbe stato il fecondo ricambio di etichette e artisti dei decenni successivi, non avremmo avuto la miriade di filiazioni digitali di quelle intuizioni (ancor più sfuggenti da rintracciare e censire, visto il proliferare di sigle e net label), con punte d’eccellenza come Larsen e Vipcancro, Bad Sector e Wertham, Noisedelic e Uncodi ed, Pietro Riparbelli e Daniele Santagiuliana, Deison e Corpoparassita, no a “super- gruppi” come i New Processean Order, in cui si incontrano e collaborano esponenti della vecchia e nuova scena industrial.
Il lavoro di scavo che questo libro si propone è però estremamente arduo e problematico.

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Vittore Baroni - Psicofonie
Scomparsi nell’anonimato o riaffiorati sulle scene dopo lunghi periodi di inattività, molti degli stessi autori di (auto)produzioni ultra-sotterranee hanno difficoltà a ricostruire oggi le proprie intricate “nastrografie” (sulle cassette, tra l’altro, raramente veniva indicato l’anno di stampa). Dove non giunge la testimonianza diretta, per cercare ulteriori indizi non resta quindi che a darsi ad articoli e recensioni apparse sulle fanzine dell’epoca (se le sature fotocopie in bianco e nero non si sono inesorabilmente appiccicate tra loro!), partendo da quelle più di nicchia come le internazionali Cassette Gazette, Flowmotion, Force Mental, Stick It In Your Ear, Unsound, o in Italia Amen, Discipline, Dopo, Free, Healter Skelter, Idola Tribus, Maelzel, Nemesis, Rattlesnake Arena, Skeletal Work, Snowdonia, Technodude, e Scream, Trance, Tribal Cabaret, Yeah, per citarne solo alcune vicine al credo rumorista, o potrà essere ugualmente utile immergersi nei babelici cataloghi di distributori postali, come quelli esteri di Front De L’Est, RRR, Artware, V2, S.T.I., e da noi ADN, Demos, O.E.C., fonti “secondarie” ma forse più attendibili delle lacunose notizie che affiorano sul web in Discogs e altri portali.

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Devis Granziera e Stefano
In particolare, le già menzionate e onnipresenti compilation sono un altro formidabile barometro per tastare il polso all’evoluzione di una scena che sfuggiva spesso anche ai radar della stampa specializzata. Vanno citate almeno alcune di queste antologie, che hanno ricoperto in Italia il ruolo seminale svolto ad esempio nel Regno Unito dalla fortunata serie Rising From e Red Sand: c’è la pionieristica prima uscita Italiano Industriale dell’audio-rivista Area Condizionata (con dieci tracce di altrettanti “rumoristi” nostrani, da M.B. a Metadrive), ci sono i tre volumi di Pianeti di Lana (1984-86, con vero gomitolino di lana nel primo) della Technological Feeling di Savona, le cassette Italia 1 e 2 (1986) nella serie Out Of Standard della milanese ADN, Nemesis 1 e 2 (1986-87) approntate dall’omonima fanzine di Pomigliano (Na), la doppia cassetta Buio Ignoto (1988) della friulana Discipline produzioni, Il Pranzo di Trimalchione (Acteon, 1988) addirittura una C60 con una ventina di progetti italiani compilata in Francia da Philippe Blanchard (alias Lieutenant Caramel), o anche più sporadiche produzioni in vinile come Ekhnatòn (ADN/Multiple Con guration, 1984) e Carne del Disastro (Minus Habens, 1989), fino alla programmatica Exposing Italian Underground (1993) della bolognese Healter Skelter Org., che all’inizio di un nuovo decennio faceva il punto sullo stato di salute del nostro post-industriale.

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Gerstein - Phlegmaticus
La fortuna critica dell’industrial è stata comunque sempre piuttosto tormentata, e se Re/Search e altre fanzine degli Ottanta hanno fornito un valido supporto al consolidarsi della frastagliata scena internazionale, va anche detto che, nonostante la varietà di temi ed espressioni messe in campo, in quattro decenni dall’esordio pubblico dei T.G. si contano sulle dita di una mano gli studi di qualche rilievo sull’argomento. Se non consideriamo tomi dedicati a singole formazioni (T.G., Cabaret Voltaire, E.N., Laibach) o a scene circoscritte (il noise nipponico, l’underground esoterico britannico in England’s Hidden Reverse di David Keenan), i saggi degni di questo nome si riducono difatti al dotto Assimilate: A Critical Hi- story Of Industrial Music (Oxford University Press, 2013) di S. Alexander Reed, al più ampio studio sui rapporti tra musica e rumore condotto da Paul Hegarty in Noise/Music - A History (Continuum, 2008) e alla raccolta di articoli sullo stesso tenore nel volume di autori vari Resonances: Noise and Contemporary Music (Bloomsbury Academic, 2013). A questi testi ci si può rivolgere con fiducia per considerare le relazioni tra il pensiero industrial e le teorie su erotismo e trasgressione di Georges Bataille o le pratiche performative estreme del Wiener Aktionismus, ma invano vi si ricercherebbe traccia dell’industrial tricolore. Manca tuttora in ogni caso, anche in lingua inglese, un repertorio enciclopedico delle band industriali, così come ne esistono a bizzeffe per altri generi musicali, se si esclude il deludente manuale Industrial Revolution (Cleopatra, 1994) di Dave Thomp-son, una instant guide alquanto raffazzonata e pesantemente sbilanciata sul versante del rock industriale (per la cronaca, gli unici italiani a meritare una scheda sono qui i Pankow), o il temerario ma affastellato e confuso tentativo storiografico di Giovanni Rossi in Industrial [r]Evolution (Tsunami, 2011).

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Giardini di marzo
In Italia, d’altro canto, gli autori post-industriali sono solitamente e bellamente ignorati dalla storiografia rock-pop come pure dalla bibliografia inerente alla musica elettronica e contemporanea: né carne né pesce, troppo avantgarde per le enciclopedie rock ma anche troppo marginali e popular per gli ambiti accademici, nonostante che il prestigioso Kronos Quartet abbia in repertorio già da tempo pezzi degli Einstürzende mentre l’ensemble berlinese Zeitkratzer interpreta brani di T.G. e Whitehouse con lo stesso impegno profuso per Cage e Xenakis.

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Luca Rigato dei Luke X's
Una meritoria ma forzatamente succinta prima sistemazione storica dell’Italnoise è stata compiuta da Paolo Bandera (Sigillum S, Sshe Retina Stimulants) in appendice all’edizione italiana del classico Manuale di Cultura Industriale di Re/Search (ShaKe edizioni, 1998), e lo stesso Bandera assieme ad altri ha raccontato in dettaglio la storia di quattro formazioni (Ain Soph, Rosemary’s Baby, Sigillum S e Atrax Morgue) nell’utile volume Rumori Sacri (End of Kali-Yuga editions, 2011), ma a parte questo, molto resta ancora da fare. Le espressioni artistico-musicali sotterranee degli Ottanta, anni per altri versi deprecati come edonistici ed epidermici, sono però da qualche tempo oggetto di indagine e riscoperta, quindi non è difficile prevedere che anche progetti italo-industriali finora trascurati possano aspirare a tardivi riconoscimenti.

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Metadrive
Segnali incoraggianti in tal senso sono l’inclusione nell’antologia Mutazioni - Italian Electronic & New Wave Underground 1980-1988 (2013) per un’etichetta non piccola come la tedesca Strut di brani di M.B., Laxative Souls, Die Form, Ciullini-De Rezke, Tasaday, o anche il fatto che il contingente post-industriale “storico” venga ritenuto organico e formativo da più recenti correnti sonore come l’area del field recording o la cosiddetta Italian Occult Psychedelia.

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Nightmare Lodge
Buon proseguimento nella lettura e, se riuscirete a mettere il sale sulla coda ad alcune di queste elusive produzioni, buoni “cattivi” ascolti!

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La gallery Viaggio nella scena Post-Industriale italiana degli anni '80 è apparsa su Rockit.it il 2016-10-07 12:13:04