10 dischi italiani prodotti bene secondo Riccardo Sinigallia

26/05/2015 - 11:13 Foto di Riccardo Sinigallia 62
È uno dei produttori più apprezzati degli ultimi vent'anni, oltre ad essere un grande cantautore (nel senso più ampio del termine). In occasione della sua partecipazione al prossimo [l="www.rockit.it/miami/2015/index.php"]MI AMI Festival[/l] abbiamo chiesto a [b]Riccardo Sinigallia[/b] di scegliere 10 dischi italiani prodotti bene.

"Strana ma interessante categoria [i]i dischi prodotti bene[/i], ricca di contraddizioni intrinseche, tuttavia - pur sapendo già che dopodomani mi chiederò come cazzo ho fatto a non mettere quello invece di quell’altro? - elencherò 10 album che ritengo personalmente grandi opere d’arte di musica cantata e che hanno influenzato la mia attività artistica. Premetto che non ho mai valutato una produzione dai suoni, dai microfoni o dalle tecnologie utilizzate, neanche dal mix o dalle vendite. Certamente il successo di questi album mi ha condizionato, soprattutto da ragazzo, ma una produzione ideale, per me, parte dalla composizione".
(Riccardo Sinigallia)
Pino Daniele - Pino Daniele
Come la passione per il blues e la tradizione mediterranea e melodrammatica generino un album unico al mondo. La compagnia di Vitolo, Zurzolo, Senese, Marangolo è una parte di quella che determinerà la produzione degli anni decisivi. È la fotografia di un’altra epoca. Anche in questo caso ci sarebbero almeno 4 album da inserire, scelgo il secondo perché ho conosciuto il Pino Daniele - che ancora venero - attraverso queste canzoni. [i]“chillo è nu buono guaglione, ma che peccato ca è nu poco ricchione ha cominciato col vestito della sorella pe pazzià' ”[/i]
Sangue Misto - SXM
Lo ascoltai da una audiocassetta in anteprima nel 1993 grazie a David Nerattini, mio amico, batterista, giornalista musicale e produttore. Forse eravamo al Livello 57 di Bologna prima di un concerto della band in cui suonavamo. Fu un colpo da cui ci riprendemmo dopo qualche anno. Un trio d’eccellenza formato da Neffa, Deda e Gruff nel quale, probabilmente, dal punto di vista “produttivo”, l’ultimo faceva la parte del leone. In ogni caso ci rivelò la possibilità di un rap italiano che non fosse scimmiottesco. Ancora oggi è per me il disco di rap più significativo prodotto in Italia. “[i]Sono lo straniero nella mia nazione[/i]”.
CSI - Ko de mondo
Mi capita spesso, ormai, di passare del tempo con Gianni Maroccolo e appena si crea l’opportunità gli chiedo di raccontarmi qualche aneddoto di quel periodo. Faccio lo stesso con Giorgio Canali quando capita, più raramente... Un’altra rivelazione, diversa, oltre i generi e la produzione artistica. Un ensemble storico e irripetibile, i due già citati insieme a Massimo Zamboni, Francesco Magnelli, Ginevra di Marco, Pino Gulli alla batteria e Alessandro Gerbi alle percussioni. Disco ispirato dall’inizio alla fine dei versi, ogni frequenza è lì per grazia ricevuta. E, poi, Giovanni Lindo Ferretti.
Franco Battiato - La voce del padrone
Io sul motorino al mare che canto metriche che non comprendo, ma mi arriva potente il senso delle canzoni e della ricerca semantica applicata ad una scrittura musicale complessa ma leggera. Pop direi, il mix tra gli arrangiamenti orchestrali di Giusto Pio e quelli di Battiato stesso, i sequencer ed i sintetizzatori lo rendono primaverile e senza tempo. “[i]Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo...[/i]”
Edda - Stavolta come mi ammazzerai
Ottimo shock. La conferma di un artista unico e per fortuna italiano e contemporaneo. Ispirato anche quando sembra fingere di non accettarlo. Tutti i suoi dischi da solista sono bellissimi e sconvolgenti, scelgo questo solo perché è l’ultimo in ordine cronologico, e mi dispiace per “Odio i vivi” che meriterebbe almeno un ex aequo. La chitarra elettrica in faccia sembra darti la scossa, la voce ricorda Jimmy Scott e Mina sotto trip e un diavolo redentore. Fabio Capalbo mi sembra un genio della batteria e della produzione. Poi i fiati!!! Dal vivo si può apprezzare l’attitudine di un trio potente, è probabilmente essa stessa il fulcro della produzione. “[i]E un giorno ho voglia di essere Dio, mi inculo tutti[/i]”.
Lucio battisti - Lucio Battisti
Battisti è nel mio dna, senza che io lo abbia scelto. Certo avrei potuto mettere “Anima Latina” o “Una donna per amico”, o attingere da qualsiasi altro periodo della sua attività, ma prediligo questa pubblicazione che è, più che altro, una raccolta delle prime canzoni, anche quelle precedentemente affidate ad altri interpreti. La fusione tra il canto e gli arrangiamenti rappresenta una lezione di puro soul nostrano. La produzione di ogni canzone è un lavoro appassionato e feroce su arrangiamenti ritmici ed orchestrali, sulla melodia, sulla scelta del suono più evocativo ed efficace. Basta confrontare con i contemporanei (anche internazionali) dell’epoca per farsi un’idea. Molte partecipazioni straordinarie: oltre ai vari Franz Di Cioccio e Gianni Dall’Aglio alla batteria, Maurizio Vandelli, Vince Tempera, si scoprono Demetrio Stratos all’organo, i 4+4 di Nora Orlandi ai cori e altri illustrissimi maestri. Questo accanimento di Battisti sui dettagli - qui aiutato nelle orchestrazioni e negli arrangiamenti anche da Giampiero Reverberi e da Detto Mariano - è uno dei fattori principali del fascino che sprigionano i suoi dischi, sia quelli della miracolosa accoppiata con Mogol che i successivi, quelli del “periodo elettronico”, quelli della gloriosa distruzione della forma canzone con Panella.
Fabrizio De Andrè - Creuza de ma
Quando un produttore - Mauro Pagani in questo caso - scrive, arrangia e determina. De Andrè è uno dei più grandi al mondo (non importa quanto sia stato aiutato, la sua opera negli anni è talmente coerente da fare imbarazzo) cullato dall’amorevole e totale partecipazione di chi lo accompagna e lo sostiene. Magistralmente. [i]“me veuggiu demuâ 'nte l'ûmidu duçe de l'amë dû teu arveà ma seu Jamin-a ti me perdunié se nu riûsciò a ésse porcu cumme i teu pensë"[/i]
Almamegretta - Sanacore
Ho amato i primi Almamegretta, quelli di “Anima Migrante”, anzi quelli che vidi in uno storico e scomparso locale di Roma quando non avevano ancora registrato il loro primo album. Qui invece Adrian Sherwood e D. RaD sintetizzano la ricerca del gruppo in un capitolo essenziale dal punto di vista produttivo. D. RaD subentrò all’inizio come fonico di sala, dal vivo la pressione sonora della cassa era tale che nella mia memoria è paragonabile al cannone del Gianicolo quando hai 5 o 6 anni e nessuno ti avverte che è mezzogiorno... poi diventò il fulcro delle produzioni successive. Mi piace ricordarlo qui insieme ad una band fondamentale in Italia negli anni novanta.
Enzo Avitabile - Napoletana
Prendo questo disco come esempio di minimalismo puro a servizio dello spirito. Il ritmo può essere anche solo il suono del respiro. La produzione artistica per me è migliore se può permettersi di illuminare semplicemente la scrittura e l’esposizione e in questo caso è struggente. [i]“nuie ca parlammo troppo spisso pure senza essere interrogati nuie, ca mo è nu guaio mo è na disgrazia pare ca nce simmo abbituati"[/i]
Lucio Dalla - Lucio Dalla
Tra il 1977 e il 1980 Lucio Dalla pubblica in sequenza 3 dischi unici nella sua e nella produzione del nostro Paese. Nel precedente “Com’è profondo il mare” per la prima volta scrive i testi, ed è ispirato, genio e sregolatezza. Questo secondo “Lucio Dalla” è il centro, il terzo “Dalla” consacra. Potrebbe anche non essere necessariamente così ma come sintesi mi sembra quadrare abbastanza. Due produttori come Alessandro Colombini e Renzo Cremonini per non farsi mancare niente; gente che conosce bene il gioco. L’ RCA italiana, i cantautori, Bologna, Roma, ah... il piano Cp 70, il PCI e le feste dell’Unità, ed il gioco è fatto. Quasi come adesso. [i]“Milano che banche, che cambi, poi Milan e Benfica, Milano che fatica”[/i] “Milano sguardo maligno di Dio zucchero e catrame”

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La gallery 10 dischi italiani prodotti bene secondo Riccardo Sinigallia è apparsa su Rockit.it il 2015-05-26 11:13:55