In arrivo un libro sui Giardini di Mirò: leggi in anteprima esclusiva la prefazione di Carlo Pastore

“Different Times - La storia dei Giardini di Mirò” è un libro di Marco Braggion in uscita per Crac Edizioni: vi presentiamo oggi in anteprima la prefazione a cura di Carlo Pastore.

A quattro anni da “Rapsodia satanica”, i Giardini di Mirò stanno per tornare col nuovo album “Different Times”, in uscita il 30 novembre per 42 Records e anticipato dall’omonimo singolo. La band, che presto tornerà sui palchi italiani con un tour che prenderà il via a gennaio, è certamente una delle colonne della musica indipendente italiana, e ora la loro storia diventa un libro: “Different Times - La storia dei Giardini di Mirò” (Crac Edizioni) di Marco Braggion ripercorre "la parabola artistica del gruppo dagli inizi infatuati delle sonorità del post-rock fino alle sperimentazioni della maturità con l’hip hop, l’elettronica e la musica da film".

Dal garage di Cavriago dove tutto è nato, da Corrado Nuccini e Giuseppe Camuncoli cui si aggiungono poi Jukka Reverberi, Mirko Venturelli, Luca di Mira ed Emanuele Reverberi, fino al nuovo disco, il tutto impreziosito da interviste a musicisti, produttori e amici che hanno lavorato con il gruppo come Rossano Lo Mele dei Perturbazione, Max Viale dei Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, Andrea Pomini di Rumore, Emidio Clementi dei Massimo Volume, Luca Giovanardi dei Julie’s Haircut e Max Collini degli Offlaga Disco Pax/Spartiti."Different Times" arriverà nelle librerie il 29 novembre ed è già in preorder qui, e nell’attesa di poterlo leggere vi presentiamo in anteprima esclusiva la prefazione del libro, a cura di Carlo Pastore.

"Different Times - La storia dei Giardini di Mirò" - Prefazione di Carlo Pastore

Ogni tanto mi chiedo dove sia finita quella tristezza, che cosa sia rimasto di tutta la malinconia che permeava una buona parte della musica cresciuta con i piedi negli anni Novanta e la testa nei primi Duemila. Quella vibrazione che Marco Braggion contestualizza così: “un’interiorizzazione del pensiero, un rifiuto della comunicazione verbale, preludio a quello che poi sarà il boom delle comunicazioni via testo e la decadenza dell’interazione – anche telefonica – vocale”.

Ho provato a spiegarmelo anzitutto facendo riferimento alla mia vita: quando uscì Rise and Fall of Academic Drifting nel 2001 avevo 15 anni, vivevo in una provincia operativa e certamente non eccitante del Nord Italia; ascoltai per la prima volta “A New Start” e capii che da qualche parte nel mondo c’era una ferita che, se attraversata, mi avrebbe saputo rivelare molte cose sull’animale che ero e su quello che sarei voluto diventare.

I Giardini di Mirò potevano essere quella ferita. Il loro suono era Altro, l’eccezione di tutte le scene, la mai doma voglia di provare a mischiare la melodia con la sperimentazione. Scrive Braggion nel libro che leggerete da qui a breve: “Una generazione “perduta” che non voleva identificarsi né con le strutture codificate del britpop di Oasis, Blur e Pulp, né con quelle americane del grunge di Nirvana e Alice In Chains”; fautori di quel post-rock che oggi possiamo leggere come “una specie di canto del cigno prima dell’entrata massiva dell’elettronica nel panorama pop mondiale e del disfacimento del concetto di indie”. Insomma: la cosa giusta al momento giusto per un adolescente che voleva andare oltre la mediocrità del pop, la fabbrica del ribellismo in chiave pop-punk e la solita ricetta dei cantautori del Primo Maggio. E che cercava la sua squadra locale da tifare; perché sì, i Sonic Youth e i Mogwai erano estremamente fighi, ma con loro difficilmente ci avresti potuto prendere una birra dopo il concerto.

Iniziai a leccare la ferita, a seguire i Giardini da lì innanzi: frequentai assiduamente la loro mailing list, ne scrissi su Rockit, li invitai a suonare al MI AMI, oppure nei miei programmi su Mtv e su Rai Radio 2; andai persino all’All Tomorrow’s Parties con Jukka e altri folli amici. Stabilii contatti umani e non solo professionali con loro e con gli altri che come me se ne erano innamorati, incrociai praticamente la mia vita alle loro opere. Nel mentre il futuro si compì: mi trasferii a Milano (Jukka disse: “vediamo se ne rovina un altro”), aprii nuove fasi in cui la curiosità mi spinse a cercare non più solo l’Altro, ma anche altro. Lo scenario musicale intanto era totalmente cambiato, gli anni Novanta finiti nel limbo dell’altro ieri. E Internet? Certo non era più quel luogo carbonaro virtuale, laboratorio di futuri migliori possibili, “uno spazio che prescindeva dalla condivisione e della visibilità a tutti i costi”, come scrive Braggion.

Così mi dico: forse sono io che sono cresciuto, che ho cambiato occhi ed orecchie e ora quella malinconia e quella tristezza non riesco più a vederle e sentirle. Forse. Perché in realtà il problema potrebbe non essere individuale ma sociale. Spesso tendiamo a sopravvalutare il peso di un’impressione e di un’opinione, mostrandolo narcisisticamente a tutti sui social. Pensiamo di essere liberi solo perché possiamo urlare a tutti quanta noia ci dia la pioggia. Pensiamo che postare una foto equivalga a raccontarsi. Lo spiega bene il filosofo coreano Byung-Chul Han: “La cultura del mi piace rifiutaogni forma di ferimento e di scuotimento. Chi però vuole sottrarsi completamente al ferimento non fa esperienza di nulla”. La ferita, eccola di nuovo.

Se vi chiedete dunque cosa c’entrino i Giardini di Mirò con tutto questo, beh, c’entrano eccome. Mentre il mercato organicamente esprimeva artisti che fossero più inclini a ottimizzare la positività esaltata dai meccanismi social, i Giardini di Mirò hanno deciso di continuare ad occuparsi della ferita. Divenendo dunque una band politica nel senso intimo e lato del termine. Non temono la negazione, cioè il rumore, anzi lo stimolano all’interno della loro cornice attraverso effetti e rumorismi, lo indirizzano sotto forma di texture nella dilatazione dello spazio e del tempo. Usano le pause come forma di stupore, e più che sottolineare un’identità evocano un enigma.

Insomma, in questo libro troverete la storia filologica e discografica di una delle ultime vere e proprie band italiane, l’evoluzione del loro suono, le ombre da scacciare, tutte le voci (come quella dell’iconico Alessandro Raina) prestate alla loro musica. Riscoprirete i testimoni di un tempo che il presente sembra aver cancellato, eppure ancora lì come la statua di Lenin a Cavriago. Ma ci troverete anche aneddoti divertenti, che svelano quanto emilianissimi siano i Giardini, come quel tour in Germania con formaggio, lambrusco e spaghetti in furgone (ah, quanti aneddoti vorrei sentire e raccontare...).

Attorno alle vicende di questi giovani adulti ancora in pienissima forma (l’ultimo capitolo è dedicato al nuovo disco, prodotto da Giacomo Fiorenza) troverete l’idea di una scena musicale italiana che avesse un largo respiro internazionale, le collaborazioni con Apparat, Notwist e Lali Puna; l’utopia internazionalista che Braggion spiega essere mutuata da Pier Vittorio Tondelli, laddove il nord Europa rappresentava l’idea di libertà che poteva emancipare i giovani della provincia non solo emiliana; come dice Francesca Gatta, citata nel libro: “l’avventura sembra essere possibile solo dove c’è la percezione dell’altrove”. Un cerchio che si chiude, una storia che prosegue.

 

 

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L'articolo In arrivo un libro sui Giardini di Mirò: leggi in anteprima esclusiva la prefazione di Carlo Pastore di Redazione è apparso su Rockit.it il 2018-11-13 09:13:00

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