IISO - James Blake o Albano, l'importante è la melodia

Per il MI AMI stanno preparando un live unico in cui musica e visual si compenetreranno. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con gli IISO, per capire come si conciliano la musica elettronica e la canzone italiana nella loro visione

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IISO - foto via bibazz.it

Seguiamo gli IISO da molto tempo, anche se il grande pubblico li ha conosciuti per la loro incredibile cover di Al Bano a X Factor. Per il MI AMI stanno preparando un live speciale, in cui musica e visual si compenetreranno. Ma al centro della loro ricerca musicale c'è sempre e solo una regina: la melodia. Abbiamo parlato di questo e molto altro, in attesa di scoprirli dal vivo sabato 27 maggio all'Idroscalo (qui le prevendite).

Qual è stato il primo pensiero quando il team scouting di X Factor vi ha contattato? Avete tentennato o siete stati subito d’accordo sul partecipare?
No, non abbiamo tentennato. Abbiamo pensato che fosse una buona occasione per promuovere quello che facevamo. Alla fine uno va lì per la visibilità ed è inutile negare che sia una vetrina. Oltretutto la nostra idea era che ci avrebbero mandato fuori dopo la prima esibizione perché non c’entriamo molto, quindi la verità è che abbiamo detto ok, va bene, andiamo, facciamo qualcosa e torniamo a casa, poi in realtà siamo rimasti lì un po’.

Siete piaciuti anche a mia madre, ma soprattutto credo siate piaciuti a Manuel Agnelli. Vi sarebbe piaciuto lavorare con lui?
Sì, anche se in realtà non ci è molto chiaro come funzioni lavorare all’interno del programma televisivo o come funzioni il programma televisivo vero e proprio. Noi siamo stati lì in una fase che era veramente preliminare, sballottati a destra e sinistra, dieci milioni di riprese e tre minuti a suonare. Non abbiamo chiaro come sia il programma vero e proprio e come siano le fasi di lavoro, sicuramente Manuel era quello un po’ più affine al genere, ma credo, e ora lo dirò, che anche Fedez abbia dei gusti musicali insospettabili rispetto alla musica che fa (ride).



Be', tutti si aspettavano che la categoria gruppi fosse assegnata a Manuel. Anche lui, se non sbaglio. Immagino che si sarebbe divertito a lavorare con voi e che un po’ gli sia dispiaciuto non aver potuto portare la sua esperienza al servizio delle band.
Ti dico la verità, dopo il montaggio non hanno mandato in onda i suoi commenti alle nostre due esibizioni. A parte che la prima esibizione era molto tagliata, i commenti erano molto positivi in effetti, anche se in più occasioni ci ha ripetuto che sembravamo un po’ fuori luogo, perché di fatto lo eravamo, ci sentivamo molto a disagio a dover parlare davanti alla telecamera. Però lui apprezzava gli arrangiamenti; quello che abbiamo voluto provare a fare era riarrangiare dei pezzi volutamente assurdi per far passare un po’ quello che era il nostro stile e se lo avessimo fatto ad esempio su una cover di James Blake, questo ci avrebbe reso solamente una coverband di James Blake. Farlo su un pezzo di Al Bano, della Caselli, ci ha dato la possibilità di fare una cover come se fosse un pezzo inedito. Questo lui lo ha apprezzato molto ed è forse l’unico ad averlo colto subito e ha capito qual era la nostra chiave di lettura del programma e di quella piccola vetrina che è.

La vostra cover de "I cigni di Balaka" non è passata inosservata né a noi né al pubblico. Vorrei azzardare e dire che avete reso celebre un pezzo che aveva suscitato interesse più per la vicenda giudiziaria che per altro… Perché avevate lo avevate scelto?
Appunto, è un pezzo abbastanza controverso, c’è la causa in mezzo… Alla fine non è né di Al Bano né di Michael Jackson, ma di un gruppo degli anni ’30. Mi pare che la causa fosse finita proprio così. Volevamo un pezzo di Al Bano, sia perché ci trasmette simpatia, sia per il discorso che facevo prima, fare un arrangiamento che dovesse far sembrare il pezzo più nostro rispetto a una semplice cover. Comunque lo abbiamo scelto un po’ a caso, abbiamo ascoltato diversi pezzi di Al Bano e il fatto che quello in particolare fosse stato oggetto di plagio da parte di Michael Jackson e che richiamasse un motivetto degli anni ’30 ci ha fatto dire: è lui, ha una melodia che obiettivamente funziona. Perché anche se il brano è arrangiato in modi diversi e né la versione di Al Bano né alla fine quella di Michael Jackson rientra nei nostri gusti di musica che ascoltiamo tutti i giorni, la melodia, il nocciolo di quel brano lì era interessante, altrimenti non avrebbe avuto il riscontro che ha avuto. Era un materiale interessante su cui lavorare.

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Vorrei approfondire la questione del “nocciolo” della “melodia”.
La cosa principale per noi è proprio la melodia. La melodia è dove si costruisce tutto il resto. L’unica cosa che ci interessa quando facciamo dei brani è quella, è la cosa che rimane più impressa ed anche ciò su cui puoi ricamare diverse atmosfere, diversi suoni. Quello che rimane soprattutto nel tempo, al di fuori delle mode e dei trend, sono quelle melodie che puoi cantare anche per fatti tuoi con un ukulele marcio in spiaggia. Il concetto di canzone per noi è melodia prima di tutto.

Questo approccio alla canzone è visibilissimo nel primo volume del vostro ep, "Skip September", che abbiamo avuto tempo di ascoltare e assimilare. Voi utilizzate l’elettronica al servizio della melodia e questo la rende fruibile e godibile a molte più persone.
Esatto, è il concetto di pop e anche quello di forma-canzone vera e propria che ci affascina. Non cerchiamo disperatamente di arrivare a quante più persone, altrimenti la formula sarebbe stata diversa. Cerchiamo prima di tutto di fare quello che ci piace, che è un po’ anche quello che ascoltiamo: ascoltiamo tanto pop. Contemporaneamente siamo un tecnico del suono e l’altro un sound designer, quindi vogliamo lavorare sulle cose, confezionarle in modo diverso, ma il contenuto è quello che ascoltiamo e che abbiamo sempre ascoltato. Non abbiamo l’esigenza particolare neanche di rivolgerci ad un pubblico di nicchia, se piace a più persone non possiamo che essere contenti. La musica è una forma di comunicazione, il nostro è nato come progetto audiovisivo, come musica per immagini, e comunque non prescinde da quelle cose fondamentali che sono la forma canzone, il pop. Quando ti metti su un palco, sia che tu suoni, sia che tu faccia qualsiasi altra cosa, l’obiettivo è sempre comunicare.

Le proiezioni visive a cura di Antimateria vi conferiscono una presenza live davvero potente e caratterizzante. Cosa state preparando per il MI AMI? 
Marco Allegri della nostra etichetta La Valigetta è il primo ad aver creduto nel nostro progetto e ora è in uscita la seconda parte dell’ep che abbiamo registrato al Funkhaus di Berlino con Matteo Cantaluppi (Thegiornalisti, Bugo, Ex Otago) ormai tempo fa. Le release date sono lo Spring Attitude e il MI AMI, e questo ci riempie di gioia. Presenteremo quindi la seconda parte di "Skip September" e ovviamente la nostra idea è di muoverci sulle due coordinate di musica e visual, tempo e spazio, conformemente al progetto che nasce come musica per immagine, come progetto IISO vero e proprio. Siamo contenti di poter presentare il nostro set che sarà a metà tra un live e un po’ di sperimentazione, etereo.



A questo proposito, come mai avete registrato l’ep al Funkhaus Studio di Berlino? Cosa vi lega a questa città?
Perché fa figo dire che siamo andati a Berlino per farlo, principalmente (ride). No, in realtà noi conoscevamo Matteo Cantaluppi, era mio docente di sound design e si era trasferito in questa struttura assurda che si chiama appunto Funkhaus Studio, che era la vecchia sede della radio della DDR, Germania dell’Est. Un posto veramente assurdo, dimenticato da Dio, con corridoi lunghissimi dove una volta facevano le sonorizzazioni di audiolibri, infatti ci sono ancora le porte finte per registrare i rumori delle porte, diversi tipi di scale, di moquette, di legno, di marmo, per registrare altrettanti effetti. È un luogo veramente fuori dal tempo. Adesso è stato preso da diversi artisti, sia musicisti che sound designers, ma anche produttori musicali, tra cui appunto Matteo Cantaluppi che è stato lì per un po’ di tempo, pittori, writers… C'è un’atmosfera ricca, bella, che ci ha aiutato molto a concentrarci sulla produzione di questo piccolo ep che sarà composto da tre pezzi e due remix, uno di Godblesscomputers e l’altro di Joao Ceser.

Perché avete scelto questi due nomi?
È stata un’idea di Marco Allegri dell’etichetta. Lui ci ha introdotti, noi arrivavamo da un progetto totalmente diverso, facevamo brit pop (tra l’altro suonammo al MI AMI nel 2013) e non avevamo idea di come funzionassero le dinamiche della musica elettronica e puntare sui remix è stato un esperimento molto interessante. Godblesscomputers è un piccolo genio della musica elettronica, veramente un talento, sia come ricerca di suoni che di atmosfere, di sonorità e di melodia. La prima parte dell’ep era uscita con un remix degli M+A e uno di Sun Glitters. È una via comunque che continueremo a percorrere perché in musica elettronica, come nel rap, dovrebbero esserci sempre più collaborazioni di questo tipo e per questo ci auspichiamo che ce ne siano tantissime altre.




Com’è andata la collaborazione con gli Ex-Otago e il remix di "Sognavo di fare l’indiano", brano contenuto nella versione deluxe del loro album "Marassi"? Avete scelto voi il brano?
Anche questa è una collaborazione che è nata un po’ per caso, sempre tramite l’etichetta e Maurizio Carucci degli Ex Otago, perché la loro prima pubblicazione uscì con La Valigetta, tantissimi anni fa. Il brano l'abbiamo scelto noi ma il remix è nato in fretta e furia, a loro è piaciuto molto e sono anche contento che stia avendo un po’ di ascolti su Spotify, insomma qualche riscontro positivo possiamo dire che c’è. Le loro erano delle belle tracce, registrate bene, un bel progetto, il pezzo funzionava e speriamo che anche il remix funzioni allo stesso modo.

Quali sono i vostri gruppi preferiti? Roberto a X Factor indossava la maglietta degli Editors...

Sì, tra l’altro non se l’è levata per due settimane (ride)! Ultimamente io ascolto molto spesso rap. Roberto ascolta molto rock nordeuropeo, anzi lo ascoltava quando l’ho conosciuto, ormai 15 anni fa, era fissato con il glam rock. Cose che non c’entravano assolutamente nulla poi con quello che abbiamo fatto: Alice Cooper, Hellacopters… Insomma, un misto di rock. Io dai 15 ai 20 ho ascoltato solo i Blur come un malato di mente. Però se devo esser sincero allora non li ascoltavano in tanti, all’epoca la gente era più nel mood revival Oasis. Ti dico queste cose per fare un po’ l’indie alternativo (ride). Adesso ascolto diverse cose, da Kendrick Lamar, a Bon Iver, ai Blur. Sono album confezionati benissimo e da un certo punto di vista, si potrebbe dire avanguardie del pop. Non è Stockhausen ma sono cose fighe.

Ma una cover delle vostre per il MI AMI, ce la state preparando?
Stiamo preparando una cover di Giuni Russo o di Rosalino Cellamare, in arte Ron: “Vorrei incontrarti tra cent’anni al MI AMI” (ride). No, scherzo, facciamo una cover che però è una rivisitazione di un pezzo dei Postal Service, il più famoso forse: "Such great heights".

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L'articolo IISO - James Blake o Albano, l'importante è la melodia di Silvia Cerri è apparso su Rockit.it il 2017-04-28 12:48:00

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