Salmo: quello che fa rap sul dubstep

Abbiamo parlato di Sardegna, di Milano, di rap, di un nuovo mixtape ancora tutto da scrivere, quindi di dubstep e di Internet. Abbiamo parlato di Salmo.

In un solo anno, un perfetto sconosciuto proveniente da Olbia è riuscito nell'impresa di rivoltare il rap italiano come un calzino. Oggi tutti conoscono Salmo, quel tizio incazzato e mascherato che ha sfruttato il web per lasciare l'isola e prendersi l'Italia. A distanza di un anno, un mixtape con la crew Machete, un nuovo album e decine di live dalla prima intervista, ci siamo ritrovati per fare il punto della situazione. Abbiamo parlato di Sardegna, di Milano, di rap, di un nuovo mixtape ancora tutto da scrivere, quindi di dubstep e di Internet. Abbiamo parlato di Salmo.

Riprendiamo da dove eravamo rimasti con l'intervista precedente: concludevi dicendo che avevi perso le speranze, e che non aspettavi più che qualcuno ti venisse a prendere sull'isola. Alla fine, dopo un anno, sembrerebbe che in qualche modo ti ci abbiano tirato fuori.
In qualche modo sì, diciamo che mi è andata bene. Poi non so dirti se si è trattato più di fortuna o di merito. Adesso non voglio dirti cazzate, ma di sicuro mi son dato parecchio da fare. E il resto è venuto un po' da sé.

All'improvviso, tra l'altro.
Sì, è stata una cosa veramente rapidissima, infatti ancora adesso non mi rendo conto troppo bene di quello che è successo.

Impatto emotivo?
Mah, sai, ho passato anni a Olbia, la mia piccola città, a osservare da lontano tutte quelle situazioni affascinanti che ora invece vivo direttamente. Mi ci sono trovato in mezzo all'improvviso, tipo un sogno che si realizza. Adesso devo ancora capire bene come funziona tutta la situazione, ma in ogni caso devo dire che sono molto contento di quello che mi sta succedendo. Il fatto è che, come giustamente ricordi, non avevo grandi speranze, e se devo essere sincero non ne ho troppe nemmeno adesso. Prendo quello che viene. E considerando che la musica è diventata il mio lavoro, per ora direi che mi è andata bene. Che poi anche il passaggio geografico da Olbia a Milano è stato meno traumatico di quanto pensassi. Sono due città molto vicine dal punto di vista dello stile di vita. Olbia è sempre stata una città molto influenzata dal resto dell'Italia, probabilmente quella che in tutta la Sardegna risente maggiormente di influenze esterne.

Com'è cambiata invece la tua musica nell'ultimo anno? “Death USB” sembra più studiato rispetto a “The Island Chainsaw Massacre”.
In realtà è molto più spontaneo rispetto al precedente. Per il primo disco ho avuto a disposizione parecchio tempo per pensare alla musica e ai testi. Da questo punto di vista, invece, “Death USB” è un lavoro sviluppato di getto, in maniera più immediata e naturale.

Quello che volevo dire io, è che il primo album era un mix estremo di suoni e di idee, mentre l'ultimo è molto più omogeneo, diritto, compatto. Sembra andare in una direzione ben definita.
Quando mi son messo al lavoro su "Death USB", il mio obiettivo era produrre un album veramente pesante, hardcore. Ho cercato di non infilarci roba troppo melodica, e infatti all'interno del disco non c'è nulla che suoni come una hit classica italiana.

Beh, di “hit classiche italiane” mi pare non ce ne fossero nemmeno in “The Island Chainsaw Massacre”...
Ovvio, però aspetta un secondo: in quell'album c'erano pezzi come “Yoko Ono” o “Il Senso dell'Odio”, che comunque risultavano abbastanza ascoltabili, radiofonici se vuoi. Ovviamente sempre rimanendo all'interno di determinati canoni musicali. Con “Death USB”, invece, volevo fare qualcosa di più ruvido.

Mi sembra però che si rischi di perdere qualcosa: se nel tuo esordio, come ti dicevo, colpiva il grande miscuglio di influenze, ora è tutto più omogeneo. Cioè - per capirci – per molti sei diventato “quello che fa rap sulla dubstep”, o comunque su un certo tipo di sonorità distorte. Ed è una roba che da noi può essere rivoluzionaria, nel resto del mondo, invece, è quasi fuori tempo massimo. Per cui la domanda vera è: non hai paura di incagliarti in qualcosa di poco duraturo?
La paura c'è, ovvio, ma è inevitabilmente presente nel momento in cui cerchi di sperimentare qualcosa. Il rischio è sempre che la gente possa non capire quello che fai, o – al contrario – che ti metta immediatamente da parte dopo l'entusiasmo iniziale. Alla fine però te ne sbatti anche un po' il cazzo. Sinceramente faccio quello che mi passa per la testa, se va bene è ok, se invece va male è ok lo stesso. A me interessa lasciare qualcosa di solido, qualcosa che possa apparire come un punto fisso.

Per cui il suono attuale è solo una parentesi?
Beh, io ho fatto veramente di tutto, son passato attraverso un sacco di generi musicali. Quindi non ti nego che quello che faccio al momento potrebbe non essere quello che farò fra qualche anno. La dubstep oggi la vedo un po' come il crossover agli inizi del Duemila, è il fenomeno del momento, ma non può vantare magari vent'anni di underground come l'hip hop o l'hardcore, capisci? Ha delle basi molto meno solide, è una fase di passaggio. Alla fine il rap che faccio io è ispirato alla scuola anni Novanta, e quello che cambia è solamente il tappeto sonoro. Chiaro che nel 2012 non ha più senso presentare dei beat che andavano bene quindici anni fa, non funzionerebbero. Bisogna stare un attimo al passo. Io ho sentito una cosa che mi piaceva in Inghilterra e ho provato a portarla qua. È vero che in UK o in America è già inflazionata, ma noi siamo arrivati dopo, e quindi c'è ancora un bel po' di musica da fare.

E lo step successivo quale potrebbe essere?
Per i progetti futuri si stava pensando a un film porno (Ride, Ndr). No va beh, per il momento sono fuori con lo street album, quindi mi toccherà fare anche un album ufficiale, anche se a dire il vero non ho ben capito quale sia la differenza fra le due cose.

Direi budget e promozione...
Sì certo, si torna sempre a problemi di budget, ma quello che intendo dire, è che alla fine considero un lavoro come “Death USB” davvero poco distante da un album per così dire ufficiale. La qualità è la stessa, capisci? Ho messo la stessa passione e la stessa attitudine in questo album come in quello precedente e quello futuro. Che tra l'altro non ho ancora iniziato nemmeno a pensare e non so proprio cosa verrà fuori!

Voci parlano anche di qualcosa in ballo con Belzebass...
Assolutamente. Belzebass è un duo di Bergamo di produttori e Dj di Bergamo. Spaccano tantissimo. Il problema è che girano molto più all'estero che in Italia, dove se li cagano in pochi. L'idea è quella di fare un progettino insieme e farli conoscere anche qua, perché meritano davvero.

Studio e live?
Sì, anche se è ancora tutto da definirsi, non abbiamo prodotto nulla di concreto al momento. Il fatto è che loro ormai fanno una roba a parte, musica pesantissima ribattezzata Clubcore, e sono così bravi come producer che hanno interpretato a modo loro anche la dubstep, facendo uscire delle robe veramente super fighe.

Ma quindi stiamo sempre parlando di dubstep?
Sì, credo di sì. Ma tutto può essere.

E Machete?
Machete si muove e continuerà a muoversi. Ora En?gma farà un disco da solo, dato che anche in “Machete Mixtape” è stato forse uno dei più forti. E credo che anche El Raton e Dj Slait usciranno con qualche prodotto solista. La cosa figa è che sono riuscito a portare la mia squadra dalla Sardegna, ci muoviamo insieme ma ogni singolo membro ha talento, e il piano è quello di cominciare a percorrere anche strade personali. Poi siamo tutti sardi, quindi per me è una figata vera!

Ma alla fine che è 'sta “Death USB”?
Prendiamola un po' alla larga, partendo dal web. Io non credo che Internet abbia ucciso la musica.

La musica no di sicuro, al massimo può aver danneggiato il mercato.
Esatto. La musica, al contrario, ha ricevuto una grande spinta. Il web è il mezzo più rapido ed efficace per diffondere il proprio sound, e qualsiasi disperato può sfruttarlo. Chiunque, con Internet, ha a disposizione un veicolo per ottenere una fetta di popolarità. Leggevo di recente un'intervista a Banksy, che faceva notare come i celebri “quindici minuti” warholiani siano ormai superati. Basta connettersi per avere una fetta di celebrità potenzialmente enorme. Banksy diceva che fra un po' avremo bisogno di quindici minuti di anonimato, perché il problema di oggi è proprio l'eccesso di visibilità che chiunque può avere.

In effetti direi che il web, nel tuo caso, ha aiutato parecchio.
Hai voglia. Il primo video, “Il Senso dell'Odio”, l'ho girato in camera mia, con un giradischi in mezzo alla stanza, la macchina che ci girava sopra e io che ci cantavo davanti. E ancora oggi è uno dei miei clip con più visualizzazioni, senza praticamente averci investito nulla.

E quindi come si arriva a “Death USB”?
Volevo appunto sottolineare il passaggio da un mezzo a un altro e da un supporto a un altro. Il vinile è stato ucciso dal tape, il tape dal CD. E ora la USB ha ucciso il CD.

Ma non era stato Internet a ucciderlo?
La USB è la roba più vicina a quel mondo. Su una chiavetta USB ci metti della musica sotto forma di file. Rappresenta un passaggio, dopo la USB non c'è altro, è il supporto fisico che sta sostituendo il CD. E a questo ci ho aggiunto il concetto di “morte”, che è un po' il concept dell'album. L'immagine di me con il gatto nero in braccio che si trova nel booklet dell'album, è ripresa da “Constantine”. Nel film, il gatto rappresentava il traghettatore fra la vita e la morte, e io riprendo questa figura per indicare un passaggio da un universo all'altro. “Death USB”, appunto.

Anche dal punto di vista dell'immagine c'è stata un'evoluzione: la percezione che molti hanno oggi di Salmo è tipo “il rapper con la maschera”. All'inizio, invece, il volto coperto non sembrava un elemento così importante.
Io in realtà associo la maschera a un tipo di suono. Anche guardando i video, appaio mascherato quando ci sono pezzi più aggressivi. I clip dei pezzi di rap classico, invece, li ho sempre girati a viso scoperto. Ci sono due personaggi, due sfumature. Ci prendevo gusto soprattutto all'inizio, perché quando indossi una maschera la gente non vede la tua espressione, non sa se ridi o sei incazzato nero, se sei fatto o sei preciso. Si tratta anche di un fattore teatrale, poi però ci ho preso gusto. Potrebbe essere un caso involontario di sdoppiamento della personalità.
 

 

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L'articolo Salmo: quello che fa rap sul dubstep di Enrico Piazza è apparso su Rockit.it il 2012-03-26 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • raggio 12 anni fa Rispondi

    Sotto la maschera... Niente. O quasi...