Jesus Franco & The Drogas - Di come il garage italiano sia pronto a tutto

Sono tornati con una nuova formazione e un (bel) disco che mescola garage, rock’n’roll, Cramps e psichedelia. Dalle Marche con (vero) furore, i Jesus Franco & the Drogas

Formatisi nel 2006, un album nel 2008 e uno split con i Satantango nel 2010, e poi quasi lo scioglimento: eppure eccoli qua, tornati vivi e vegeti con una nuova formazione e un (bel) disco che mescola garage, rock’n’roll, Cramps e psichedelia. Dalle Marche con (vero) furore, i Jesus Franco & the Drogas. L’intervista di Silvio Bernardi.

Siete stati ad un passo dal capolinea, per usare le vostre parole, pochi anni fa, con le defezioni di Nicola Amici e Marco Gaggiani. Eppure siete risorti come l'araba fenice, con una nuova formazione e un sound ancora più convincente. Qual è stata la scintilla che ha fatto ripartire il progetto?
Beh, in realtà più che di defezioni si è trattato di un incremento a livello di impegno, da parte sia di Marco che di Nicola, con i loro altri gruppi, ovvero Lush Rimbaud per Marco e Butcher Mind Collapse per Nicola, band che nel periodo immediatamente successivo all’uscita del nostro split con i Satantango sono entrate in fasi molto intense della loro attività; praticamente ci siamo trovati con due membri assorbiti quasi a tempo pieno da altri progetti e la cosa ha dato un po’ il via a un certo sfaldamento. Poi da questo sfaldamento si è creato un po’ di scoraggiamento e le cose piano piano si stavano deteriorando. Finché da una parte io ero arrivato a un punto morto anche con l’altro mio gruppo (Guinea Pig) e ho deciso quindi di dedicarmi unicamente ai Jesus, e dall’altra c’è stato l’incontro decisivo con Alessandro, molto più giovane di noi, che è stata un po’ la scintilla che ci ha fatto tornare con entusiasmo a rinnovare il sound del gruppo. Con Ale l’incontro è stato del tutto fortuito: avevamo sentito parlare di questo nuovo duo jesino di cui fa tuttora parte, gli A.N.O., ma non avevamo ancora avuto il piacere di vederli dal vivo, finché non siamo incappati nel video di un loro brano, "Ninja", e siamo rimasti folgorati.

A livello di sonorità, su cosa avete insistito in maniera particolare nella costruzione di questo disco?
L’idea era quella di creare un suono potente ma anche visionario che, pur mantenendo la fisicità del rock’n’roll, lo depurasse in parte da quell’aspetto giocoso e autoironico che caratterizzava i nostri primi lavori. Poi le mie esperienze con i Guinea Pig, che hanno un suono molto cupo e dissonante, hanno trovato una sponda nel modo di concepire la musica di Alessandro, e tutto ciò si è ovviamente ripercosso sulla nuova dimensione sonora dei Jesus. In più volevamo proporre qualcosa che rispecchiasse maggiormente le tensioni dei tempi in cui viviamo e non solo ripercorrere strade che vengono dal passato, cosa in cui è facile incappare quando ci si cimenta con un genere come il nostro.

Si può dire che ci siate riusciti, visto che "Alien peyote" è decisamente più nervoso e imprevedibile degli altri vostri lavori, e vi inserisce di diritto nel filone del garage più anomalo e contaminato, che in Italia ha precedenti illustri, come i Not Moving, e contemporanei altrettanto illustri, come i Movie Star Junkies. Dall'ascolto del disco è evidente che tutto vi interessa fuorché confinarvi nella nicchia degli ascoltatori di garage classico... o di quelli del punk.
Hai detto bene! Quella di appartenere al filone garage-punk non è mai stata una nostra preoccupazione e anzi mi fa molto piacere il fatto che tu abbia notato questa cosa... altri, molto più sbrigativamente, ci hanno etichettato con questi termini senza forse addentrarsi troppo nel nostro sound.

C'è da dire che senza osare, finiremmo a fare tutti la stessa cosa e a ripercorrere all'infinito strade già battute più e più volte... Ma tra le band che hanno già intrapreso questa via non-filologica al garage rock, ce ne sono alcune che vi hanno influenzato più delle altre?
Beh, a dire il vero, a parte qualche band che piace un po' a tutti i membri del gruppo, ognuno di noi ha gusti e background  diversi dagli altri e quello che viene fuori ne è semplicemente la somma. Ci resta veramente difficile fare dei nomi precisi...

L'unico dubbio che mi veniva è se questa spinta alla contaminazione, al camminare sul bordo del precipizio tra un genere e l'altro, non abbia anche i suoi lati negativi... Mi riferisco, ad esempio, alla maggior difficoltà nel costruire un proprio pubblico.
Al contrario, distinguersi è senz’altro un punto a favore, dipende solo da quanto si suona e dalla convinzione con cui lo si fa. Sia ben chiaro: lungi da noi l’aver pianificato la cosa a tavolino, questo è semplicemente ciò che ci viene naturale suonare. Sta di fatto che nei numerosi live fatti negli ultimi mesi ci siamo resi conto che siamo apprezzati da un pubblico molto eterogeneo, dal metallaro, al punk, al rocker più classico. In realtà questo del genere è un aspetto che durante i nostri live passa completamente in secondo piano, perché a noi non interessa tanto la riproduzione dei brani pura e semplice, ma più l'aspetto rituale, liberatorio del concerto...

Alla Arthur Brown, per intenderci?
Arthur chi? Meglio Jim Morrison! (ride, NdA)

Scusa, ritorno un attimo sul punto precedente che mi interessava sviscerare, e cioé alla domanda: c'è oggi un pubblico in Italia per un suono così eterogeneo come il vostro e in sostanza per tutti i progetti difficilmente classificabili in un macrogenere (garage, reggae, cantautorato, indie)?
Boh, non saprei... noi sappiamo solo salire sul furgone e scendere quando è ora di suonare... sinceramente non ci siamo mai posti il problema di che tipo di pubblico troveremo al nostro concerto, anzi, forse rispetto a quando abbiamo cominciato stiamo trovando un pubblico più aperto, meno settoriale.

Questo è vero, in effetti un po' in tutta Italia c'è una maggior apertura, negli ultimi anni, per progetti più coraggiosi. Ma il pubblico non viene dal nulla, prima bisogna costruirselo: tu dici "non ci siamo mai posti il problema di che tipo di pubblico troveremo", però almeno quando avete cominciato avrete dovuto presentare in qualche modo il progetto... C'è una tale sovrabbondanza di offerta musicale che difficilmente il pubblico si presenta a sentire a scatola chiusa...
In realtà i nostri primi passi sono stati in seno a quella che all'epoca era la nascente scena marchigiana, un contesto che già di per sé attirava l'attenzione e dove ogni gruppo parlava un suo personale linguaggio, senza doversi per forza dare una veste per proporsi, contava solo dire la propria. Non per contraddirti, ma effettivamente in quel contesto il pubblico si presentava ai concerti anche a scatola chiusa; era un po' la conseguenza del fatto che fino ad allora dalle nostre parti non c'era mai stato nulla di rilevante a livello musicale. Forse l'esigenza di comunicare all'esterno la nostra presenza ce l'abbiamo più adesso che non all'inizio.

Parlaci un po’ della scena marchigiana, che negli ultimi anni ha dimostrato, come accennavi tu, una vitalità notevole...
E' vero, le Marche sono state negli ultimi dieci anni una incredibile fucina di band di alto livello e una delle scene assolutamente più vitali della penisola, pensa a gruppi come Butcher Mind Collapse, LLeroy, Dadamatto, Lush Rimbaud... o ancora Edible Woman, Sedia e Mattia Coletti, Above The Tree, e potrei continuare ancora per molto. Siamo passati da zero a tutto in pochissimo tempo: fino al 2002-2003 la nostra era una provincia desolata e sonnecchiante come tante altre e si viveva con la chimera della grande città, unica soluzione possibile per chi volesse combinare qualcosa con la musica. Poi ad un tratto la situazione è esplosa, al punto che anche per le band del resto d'Italia o estere le Marche, e la provincia di Ancona in particolare, sono diventate una meta molto ambita. C’è stato tutto un fiorire di locali, organizzatori, centri sociali, feste illegali e situazioni che ruotavano intorno alla musica, tutto vissuto con partecipazione e un’etica bohemienne che distingueva questo territorio da tutti gli altri. Adesso la cosa sembra essere un po’ scemata...

Come mai? La crisi, la crisi... o qualcos'altro?
Probabilmente un mancato ricambio generazionale che mi sembra non riguardi solo la scena marchigiana. E poi c'è la crisi. Comunque tra quelli che hanno vissuto in prima persona quel periodo c’è una sorta di consapevolezza di essere stati immersi in qualcosa di irripetibile. Anche se comunque ancora oggi ci sono alcune situazioni che nulla hanno da invidiare alle scene più blasonate. Certo è che, nonostante tutto, il fatto di essere in provincia, a livello commerciale rimane penalizzante, ma chi lo faceva allora per necessità, continua a farlo anche oggi.

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L'articolo Jesus Franco & The Drogas - Di come il garage italiano sia pronto a tutto di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2014-11-14 14:49:00

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