'ndrangheta, tradizioni greche e tamburelli: intervista all'autore della trilogia de "La musica della mafia"

Come si fa ad avvicinarsi ai boss della 'ndrangheta per capire e studiare la loro musica? Lo abbiamo chiesto a Francesco Sbano

La musica della mafia
La musica della mafia - Foto di Francesco Sbano
24/06/2015 - 14:30 Scritto da Nur Al Habash

Qualche mese fa vi avevamo raccontato della particolare storia attorno alla musica della 'ndrangheta calabrese, del lavoro fondamentale di Francesco Sbano nella sua mappatura, e della peculiarità di un certo tipo di tarantella; abbiamo deciso di fare qualche domanda allo stesso Sbano per capire un po' meglio come si arriva a raccogliere in tre compilation la musica della mafia, e a farla conoscere al mondo.

Come e perché ha deciso di iniziare ad interessarsi della musica della mafia?
Durante i miei primi anni di lavoro in Germania ho potuto conoscere da vicino il mondo della musica, quando fotografavo le star del rock e del pop: da Jon Spencer a Rita Marley, da Erikah Badu a Jimmy Cliff, da Sly & Robbie aDavid Bowie. Quello che più mi affascinava nel lavoro di ritrattista era la possibilità di fotografare i musicisti inseriti nel loro ambiente sociale, nei luoghi richiamati dai loro brani. Probabilmente per questo mi ritornarono alla mente i canti di malavita che, da adolescente, mi era capitato di ascoltare in Calabria, finché chiesi a un amico d'infanzia di inviarmi un paio di quelle cassette mafiose che si vendevano in paese, dal momento che stavo considerando la possibilità di proporre un reportage sul particolare fenomeno musicale alla redazione dello Spiegel. Fu così che nel 1998, fu stampato il primo articolo in Europa che svelasse al grosso pubblico l'esistenza del canto di malavita in Calabria e delle canzoni dedicate alla 'ndrangheta.

A livello pratico, come ha iniziato il lavoro? 
Quando insieme a Maximilian Dax, un rinomato pubblicista che oggi lavora a Berlino, si decise di pubblicare un CD con le canzoni della 'ndrangheta, si è pensato subito ad un prodotto destinato al mercato internazionale. Peter Cadera, allora capo della sede di Amburgo della casa discografica PIAS, seguì tutti gli sviluppi della compilation fino all'uscita del CD. Per quello che riguardava la promozione, eravamo certi di ricevere l'interesse da parte dei media dato che il prodotto descriveva un avvincente repertorio musicale noto solo in Italia, fuori dalla cognizione del resto del mondo.
La pubblicazione del CD era per me anche l'occasione per avviare un lavoro di documentazione sul mondo della 'ndrangheta, usando come porta d'ingresso le canzoni mafiose, per cercare di aprire all'informazione i complicati aspetti della cultura criminale dell'organizzazione.

Come è riuscito a mettersi in contatto con i musicisti, i latitanti o addirittura i boss della 'ndrangheta calabrese? 
Vorrei subito chiarire che i musicisti e produttori delle canzoni mafiose, come anche i suonatori di tarantella, sono persone all'infuori di ogni sospetto. Con l'aiuto del produttore Mimmo Siclari di Reggio Calabria ho potuto conoscere molti degli interpreti che, negli anni '70 e '80, hanno partecipato alle registrazioni di "cassetta" delle canzoni della 'ndrangheta. I musicisti hanno scritto e cantato di regole mafiose, omertà e di uccisioni, semplicemente perché la 'ndrangheta era fortemente presente sul loro territorio. D'altra parte, i calabresi sono sempre interessati alle storie di mafia e le cassette di 'ndrangheta andavano a ruba nei mercatini. Questo normale circuito commerciale, visibilissimo in Calabria sin dagli anni '70, non ha suscitato nessun clamore in Italia fino all'uscita del primo volume della trilogia "La Musica della Mafia", quando i giornalisti italiani si accorsero che proprio le canzoni della 'ndrangheta facevano parlare della Calabria all'estero.
Per riuscire a contattare un boss attivo dell'organizzazione che sia disposto a parlare di cose intrinseche alla mafia, non basta aver conosciuto alcuni 'ndranghetisti quando erano ancora ragazzi. Per un giornalista, guadagnare la fiducia di un boss, tenendo fede a non concedergli nessun vantaggio, può durare degli anni. Inoltre, bisogna assicurargli che le informazioni che ti andrà a riferire, se inserite in un articolo, non verranno manipolate, e che non citerai mai il suo nome e nemmeno il luogo dove abita la sua famiglia. Intervistare un boss non significa comunque avere acquisito anche la fiducia di altri boss. Un boss non ti manda da un altro boss solo perché lo hai intervistato. Infatti, durante le ricerche di fonti informative per un nuovo reportage, mi tocca spesso iniziare quasi da zero. Fatto è che non ogni boss è a conoscenza di tutto quello che succede nella 'ndrangheta, per cui bisogna trovare il mafioso giusto, il boss competente a seconda del tema ricercato. Ancora più difficile diventa guadagnare la fiducia di un mafioso che si nasconde dalla giustizia, di un latitante.



I musicisti e i mafiosi che ha contattato hanno accettato di buon grado di essere fotografati e intervistati?
Gli artisti hanno capito di essere diventati oggetto di interesse della grossa stampa internazionale, e non hanno esitato a partecipare alle interviste e a farsi riprendere dalle camere. I mafiosi invece hanno preferito parlare, senza farsi riprendere. Solo pochi hanno accettato di farsi fotografare dopo aver coperto il viso con un passamontagna.

Quanti artisti e musicisti è riuscito a "mappare"?
Una quindicina, fra produttori che hanno messo a disposizione le vecchie registrazioni per i tre volumi della "Musica della Mafia", e musicisti, che hanno suonato una ventina di concerti con il gruppo "Mimmo Siclari e Cantori di Malavita" in Belgio, Olanda, Germania e Svizzera, fra il 2001 e il 2005.

Che rapporto hanno questi musicisti con i boss? Come sono collocati nella rete sociale?
I musicisti non intrattengono contatti diretti con i boss. Succede comunque che quando un mafioso finisce in galera trovi il modo di far arrivare una lettera ad un produttore/paroliere che, a sua volta, mette in rima il testo ricevuto e crea una nuova canzone. Tuttavia, gli autori coinvolti nel progetto "La Musica della Mafia" hanno smesso di registrare nuovi brani di malavita da oltre dieci anni, giustificando la fine delle produzioni malavitose con la fine della "poesia" nella mafia. Se prima la cosa più importante per l'organizzazione erano l'onore e il rispetto, oggi sono il commercio di stupefacenti e il danaro che ne deriva a contare di più. Gli autori rimarcano il fatto che le loro canzoni non trattano la 'ndrangheta di oggi che avrebbe ormai superato i limiti delle funzioni sociali assunte nel passato, quando in un certo qual modo proteggeva i contadini dalle angherie dei padroni terrieri oppure quando si faceva carico di pacare le dispute nella società rurale, lontana dal controllo e dai benefici delle funzioni dello Stato Italiano. In effetti, di fronte all'operare sempre più efferato delle nuove leve mafiose, di fronte agli omicidi di donne e perfino di bambini, si è spenta la necessità dei produttori di raccontare le vicende dell'organizzazione criminale. Quasi tutti gli artisti sono di origine contadina e solo alcuni riescono a vivere esclusivamente di musica.

Di cosa parlavano allora le canzoni della 'ndrangheta?
Le canzoni della 'ndrangheta sono la trasformazione degli antichi canti di carcere e malavita. I testi, scritti usando il codice d'onore tradizionale, denominato da alcuni mafiosi "linguaggio serpentino", oltre a rivendicare l'innocenza del mafioso in carcere e l'esasperato orgoglio dell'uomo d'onore, descrivono anche i comportamenti che l'affiliato adotta di fronte alle forze dell'ordine, le punizioni da infliggere a chi sgarra, come pure i concetti di omertà, onore e rispetto.

Invece a livello musicale, quali sono i tratti distintivi?
I brani più antichi dei tre CD sono le tarantelle, rielaborate nei secoli probabilmente sulla base dell'arcaica danza di guerra Pirrica, assorbita dai calabresi durante il periodo della colonizzazione greca (Magna Grecia, VII- IV secolo a.C.). Le tarantelle, scandite dal tamburello in 12/8 e talvolta in 6/8 possono essere eseguite con la zampogna, con la chitarra battente, la pepita, la lira calabrese, oppure con l'organetto. Anche gli strumenti tradizionali calabresi derivano dall'antica Grecia. Le canzoni della 'ndrangheta invece, risentono dell'influenza della musica artigianale dell'Italia meridionale e mediterranea e vengono suonate con la chitarra acustica, il mandolino, la fisarmonica.

Le copertine, le grafiche di questi dischi/cassette, che aspetto hanno?
Sulle confezioni, ideate in genere dai produttori, sono rappresentati i simboli della 'ndrangheta, come l'albero della scienza che ne contiene la struttura criminale, oppure il vangelo, usato dai padrini durante la cerimonia di iniziazione dei nuovi adepti nell'organizzazione. Non mancano sanguinose scene di agguati mafiosi oppure le raffigurazioni degli arresti di famosi latitanti, il tutto immerso in un'atmosfera rurale.

Ho letto che in queste canzoni è molto raro trovare delle voci femminili. Perché?
Le donne inserite nella 'ndrangheta sono le cosiddette "sorelle di omertà", per lungo tempo quasi ignorate dalle forze dell'ordine che ritenevano le donne, anche se sposate con i mafiosi, estranee all'organizzazione. Nel passato comunque, il numero di sorelle d'omertà era molto ridotto rispetto all'elevato numero di uomini della 'ndrangheta. È questo il motivo per cui, anche nelle canzoni, sia stato lasciato così poco spazio alle donne, osservazione che sottolinea ancora l'autenticità delle canzoni dedicate alla 'ndrangheta, come insostituibile documento storico riguardante il fenomeno criminale calabrese. 

Prima che arrivasse lei a raccoglierle in una serie di dischi, come venivano diffuse queste canzoni, dove erano in vendita?
Le canzoni venivano vendute in formato audio cassetta in tutti i negozi di dischi calabresi, oppure nelle bancarelle delle fiere di paese, dei mercati rionali, o durante le feste religiose. Le audio cassette erano trasparenti per consentirne la facile circolazione anche nelle carceri. Interessante sapere che, tra il 1980 a oggi, la Elca Sound, la più grande distribuzione musicale calabrese, ha venduto più di 4 milioni di cassette di canzoni malavitose, distribuite anche alle comunità di calabresi in nord Europa, nel continente americano e in Australia. A detta dei produttori, fra i collezionisti del genere malavitoso si contano numerosi poliziotti e magistrati.

Sono tutti musicisti iscritti alla Siae oppure si tratta di un sistema di vendita e distribuzione musicale "dal basso"?
No, gli autori che hanno collaborato al progetto "La Musica della Mafia" sono regolarmente iscritti alla SIAE o ad altre società di autori/editori europee.



A livello sociale, è facile immaginare come queste canzoni cementifichino la struttura mafiosa e motivino i giovani a seguire le orme dei padri, e per questo, di riflesso, ha ricevuto aspre critiche anche lei. Dove colloca, nel suo lavoro di ricerca, la linea che separa la sociologia e il giornalismo dall'illegalità?
Devo dire che troverei piuttosto riduttivo immaginare che la struttura mafiosa sia stata rafforzata dalle canzoni dedicate alla 'ndrangheta. Mi spiego meglio: il figlio di un affiliato alla 'ndrangheta seguirebbe probabilmente le orme del padre anche se non ascoltasse quelle canzoni, così come una persona estranea alla società parallela calabrese non si vedrebbe costretto a diventare mafioso solo perché gli piacciono le liriche malandrine. Oggi la Magistratura è certa che l'influenza della mafia nella società meridionale sia cresciuta a livelli incontrollabili grazie soprattutto alla corruzione politica e con l'appoggio dei rappresentanti di varie Istituzioni dello Stato.
Le aspre critiche contro il mio lavoro? Io preferirei parlare di una vera e propria campagna diffamatoria contro la mia persona, iniziata stranamente solo nel 2008, 8 anni dopo l'uscita del primo CD della trilogia, e portata avanti da una cerchia di amici che, in Italia e in Germania, ha provato puntualmente a sfigurarmi marchiandomi come "esportatore di etica mafiosa". Questa invenzione è ridicola. Eppure, questi giornalisti avrebbero dovuto sapere che alla pubblicazione del primo CD nell'anno 2000, sia io che Peter Cadera che Maximilian Dax, come produttori della compilation, avevamo dichiarato che non era nostra intenzione fare pubblicità alla mafia, nostra intenzione era di mettere a disposizione del pubblico le registrazioni originali di un interessante e affascinante fenomeno della storia della musica italiana. Prendiamo ad esempio la canzone "Ninna nanna malandrineddu" (La Musica della Mafia Vol.II - PIAS/2002), dove una madre istiga il proprio piccino a vendicare la morte del padre. Si sa bene che nella 'ndrangheta siano specialmente le madri a guidare i figli nelle vendette, a controllare le faide. In questo caso l'autore Mimmo Siclari non ha fatto altro che trasportare un pezzo di vita reale, per terrificante che sia, in una canzone. Prendiamo anche il brano "Ammazzaru lu Generali" (La Musica della Mafia Vol.III - Mm/2005), sulla morte del Generale Dalla Chiesa. Questa canzone è contenuta alla fine dell'ultimo volume della trilogia perché proprio questo brano aveva già chiuso il ciclo delle canzoni mafiose di Mimmo Siclari. Contrariamente a quanto ha affermato la polemica, la canzone non offende la figura di Dalla Chiesa ma ne ricorda la morte, chiedendosi anche il perché dell'attentato. Domanda alla quale, a 32 anni dal fatto, nessuno ha ancora trovato risposta. Questa canzone, anche se irritante all'ascolto per molti, risulta tuttavia intrisa di realtà storica, questa la traduzione del testo originale in dialetto reggino: Hanno ammazzato il prefetto di Palermo / Non ebbe tempo nemmeno per pregare / Che lo mandarono diritto al Padre Eterno // Il Generale Dalla Chiesa indagava / Su cose che nessuno conosceva / Ma lui con coraggio affrontava / Anche la gente che nessuno vedeva / Aveva carta bianca e i poteri / Per poter combattere la malavita / Ma Palermo é una città di misteri / Non ci sono delinquenti da quattro lire / La mafia é una legge criminale / Che ti lascia stare fino a quando vuole / Ma se tu la vai a stuzzicare / Allora è il momento che si muove / Ma forse questo Dalla Chiesa non lo sapeva / Oppure troppo sicuro si sentiva / E la sua vita ora ci rimetteva / Ci fu una sparatoria infernale / Senza diritti e senza doveri / Crivellato fu il Generale / Assieme all'autista e a sua moglie / Perché, perché si chiede la gente / Ma la risposta resta latitante / È la mafia che comanda sempre / E solo essa riesce ad andare avanti.
Vorrei ricordare inoltre che, ancora prima degli anni '70, l'arte delle canzoni malavitose era in Italia un filone che dilettava tutti, le masse come anche gli intellettuali. Basti pensare al successo riscosso durante gli anni '60 dalle interpretazioni delle canzoni della malavita milanese di Ornella Vanoni, mandate in onda dalla RAI, oppure ascoltare la canzone che diede il via alle registrazioni mafiose prodotte nel Sud dell'Italia. La canzone "Mafia", scritta alla fine degli anni '50, è cantata niente di meno che dal più grande autore e interprete della canzone italiana: Domenico Modugno. Anche la canzone "Mafia", uscita su vinile 45 giri nel 1961, è stata scritta con l'ausilio del codice mafioso, probabilmente attraverso la trascrizione in canzone di un testo scritto da un affiliato, oppure consultando un autentico codice mafioso.

Per rispondere alla seconda parte della domanda, non ho mai preteso di collocare personalmente una linea che separi la sociologia e il giornalismo dall'illegalità. Quella linea non si potrebbe spostare a proprio piacere perché è stata già espressamente tracciata dalla legge sulla libertà di stampa. Alcuni giornalisti, purtroppo, interpretano la legge in maniera diversa dalla norma e sono disposti a riportare sulla stampa anche "fatti" inventati di sana pianta, donando spazio alle manipolazioni informative di uno o più colleghi amici per diffamare un altro collega. Il motivo? Per far parlare di loro, anche a costo di dover agire insieme in un reato di diffamazione a mezzo stampa.



Questo mi porta alla prossima domanda: il primo cd ha venduto 150.000 copie e ne hanno parlato ovunque nel mondo, ma in Italia il suo lavoro è passato quasi inosservato. Perché secondo lei?
Non direi inosservato. All'apparizione dei CD nel resto del mondo,la stampa italiana ha seguito l'eco della stampa internazionale, riportando diversi articoli sulla musica della mafia. In Italia, la casa discografica Amiata Media di Firenze aveva pubblicato nel 2003 il primo CD della trilogia La Musica della Mafia, proprio pochi giorni prima della dichiarazione di fallimento della società di distribuzione del prodotto. Peccato, perché la risposta della stampa all'uscita del CD era stata alquanto positiva e il CD avrebbe potuto far strada anche in Italia. 

Sono passati quasi 15 anni dall'uscita del primo volume, che tipo di bilancio traccia?
Non ho pensato di fare il bilancio sul mio lavoro riferito a "La Musica della Mafia" perché, tra l'altro, me ne occupo ancora. Da quando è stata pubblicata la trilogia musicale, proprio per la loro scottante autenticità, le canzoni vengono richieste per scopi di sincronizzazione cinematografica. Inoltre, il mio lavoro sul tema iniziato nel 1997 è in continua crescita. Ho girato diversi film-documentari sulla 'ndrangheta, ho installato mostre sul fenomeno criminale, ho pubblicato un libro intervista di un boss attivo in Calabria sulla quale storia verrà basato un movie per il grande schermo… Quindi, le canzoni della 'ndrangheta, anche perché sono state esse a rendere noto il mio lavoro nel mondo, mi accompagneranno per sempre.

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L'articolo 'ndrangheta, tradizioni greche e tamburelli: intervista all'autore della trilogia de "La musica della mafia" di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-06-24 14:30:00

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