Coma Cose vs Bonetti: l'intervista doppia

Coma Cose e Bonetti non si conoscevano tra di loro. Ci abbiamo pensato noi

grafiche di Maria Serafini
grafiche di Maria Serafini

"Vengo dal niente voglio tutto" vs "Vengo dal tutto voglio niente". Grazie a questa suggestione contenuta nei testi, rispettivamente, di Coma Cose e Bonetti, abbiamo pensato di farli incontrare e, per una volta, lasciare che si facessero delle domande tra di loro anziché intervenire dalla redazione. Fausto, California e Bonetti non si conoscevano prima: ecco quali sono state le cose che li hanno incuriositi l'uno dell'altro. Chissà se il 25 maggio staranno a guardarsi a vicenda sul palco Havaianas al MI AMI Festival.

 

COMA COSE VS BONETTI

Perché “Bonetti”? È il tuo cognome all’anagrafe? Perché un nome d’arte?
In realtà Bonetti nasce come storpiatura del mio cognome. Sono anni che i miei amici più cari mi chiamano così, quindi per me è stato assolutamente normale “battezzare” in questo modo il mio progetto. Per quel che mi riguarda è perfetto, perché è a tutti gli effetti un nome d'arte, ma è anche qualcosa di molto intimo in cui mi identifico pienamente.

“La felicità non si merita, quando c’è si vive” è una frase che ci è piaciuta, qual è la poetica che c’è dietro?
Grazie. Quel verso racchiude un po' il senso dell'intera canzone. A volte, credendo di fare bene, ci intestardiamo a cercare di capire situazioni che però non possono essere del tutto comprese e magari nemmeno risolte. Alla lunga quello che ne viene fuori non è quasi mai chiarezza, bensì frustrazione e nervosismo. E non basta applicarsi, sforzarsi di fare il possibile, per arrivare alla felicità. Quella è di un altro pianeta, arriva secondo regole tutte sue.

Cosa ne pensi della Dark Polo Gang?
Me li mangio come un cono gelato

Qual è la canzone di Bonetti che ti piace di più?
Ogni scarafone è bello eccetera eccetera, però al momento direi "Dobbiamo tirar fuori qualcosa" che, forse perché è l'ultimo pezzo che ho scritto, per me rappresenta l'inizio di una nuova fase. Sono molto soddisfatto di come è venuta. Poi io a Bologna ci sono andato davvero a vedere i Teenage Funclub. Sono stati grandiosi: loro fanno musica con l'approccio che piace a me. Da come suonano si vede che non potrebbero vivere senza, però l'impressione che si ha è che non si prendono mai esageratamente sul serio. Il chitarrista aveva il raffreddore. Pestava con venti distorsori come un ragazzino, poi tornava ad essere un cinquantenne che, con l'eleganza di un Lord, alla fine di ogni brano recuperava dalla tasca un fazzoletto di stoffa, si soffiava il naso, lo ripiegava con precisione nemmeno fosse davanti a Sua Maestà, e bruuuum di nuovo distorsori. Idoli.

Qual è un brano della nuova scena musicale che ti piace particolarmente?
Ce ne sono diversi, per cui è bene che risponda di getto senza pensarci troppo: "Turbature" di Giorgio Poi. Ha un bel testo (che per me è sempre importante) e poi mi piace il suo modo di fondere una certa tradizione italiana con suoni di respiro più internazionale e contemporaneo. Lui è bravo, e le melodie che tira fuori sono sempre eccezionali.


BONETTI VS COMA COSE

Partiamo dal verso “vengo dal niente voglio tutto”.
Ovviamente siete troppo autorali per ridurre il binomio “niente-tutto” alla solita estetica hip hop che vuole i rapper come incazzati ragazzi di periferia smaniosi di emanciparsi conquistando successo e soldi. Cosa sono quindi il vostro niente e il vostro tutto?
Effettivamente è molto rap come linguaggio ma la genesi di quel verso deriva da uno spunto di tutt'altra natura. Ci è venuto ritornando a casa dopo aver visto il film "Supersonic" degli Oasis, sullo sfondo c'era Manchester che esteticamente non è lontanissimo dalla zona Corsico/Giambellino in cui abbiamo vissuto e loro hanno dimostrato che con la fotta puoi uscire da un ambiente "grigio" restandoci ancorato ma cercando di cambiare la tua vita. La cosa bella di fare il musicista è girare in lungo e in largo conoscendo persone e vedendo posti che se resti sempre nel tuo quartiere puoi solo immaginare. Ecco cos'è il nostro TUTTO... stare in tour e vivere di quello che amiamo.

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Una delle caratteristiche più interessanti dei vostri brani è la metrica, mai banale e spesso a cavallo tra il rap e il pop. Quando vi occupate dei testi preferite concentrarvi su quello che volete dire, oppure effettivamente la metrica è un aspetto così centrale del vostro lavoro che può arrivare, ad esempio, a modificare delle immagini o dei concetti?
La metrica è un aspetto fondamentale e per noi funge da "limitatore". Si parte da una scrittura libera, ma non c'è mai una direzione sui testi, piuttosto si procede per accumulo finché non arriva l'idea di un ritornello. In secondo luogo si cerca il vestito per quel ritornello e una volta che esiste lo scheletro si attinge al quaderno incastrando le frasi. Scartiamo molto materiale nel nostro processo di sintesi e la stessa rima magari è gia stata provata su differenti ritmi e con sfumature sillabiche diverse ma ad ogni giro di chiave si aciuga sempre di più finché un concetto di 20 parole riesce a stare in cinque.

Una delle prime cose che colpisce dei vostri testi è l'utilizzo massiccio dei giochi di parole. Fossimo negli anni Novanta potremmo dire che alcune vostre strofe sembrano composte, per originalità e immediatezza, da frasi scritte sui muri. Oggi, in tempi di post e meme, questa vostra caratteristica può essere un grande punto di forza. Non temete però che alla lunga, un po' cometutti i “marchi di fabbrica”, possa porvi dei limiti? 
Come dicevamo nella risposta precedente i nostri testi sono frutto di una grande opera di sintesi, questo viene anche da una necessità di creare un criptoneo linguaggio che vada a sostituire tutto quello che è già stato detto nelle canzoni, ossia tutto. Per noi questa cosa della "frase ad effetto" è un andare contro le poetiche inutilmente prolisse che spesso ci annoiano, ma anche un semplice "divertirsi con le parole". Forse questa cosa ci porterà a sintetizzare sempre di più, forse faremo un pezzo senza verbi né soggetti, solo aggettivi... sarebbe fantastico.

Ho letto su un articolo che California ha studiato scenografia. Probabilmente gli studi non c'entrano, ma effettivamente la “scenografia” è un elemento fondante dei vostri brani: mi riferisco ovviamente a Milano, ma più in generale all'estetica urbana che raccontate. Pensate che in futuro questa “scenografia” continuerà ad essere centrale oppure, ora che avete messo bene in chiaro il vostro mondo, questo aspetto verrà meno?
Sicuramente cambierà come cambia la vita, stiamo per cambiare casa, forse quartiere, stiamo per prendere un gatto e forse un cane, stiamo suonando molto e stiamo scrivendo pezzi nuovi... insomma SI CAMBIA. La birretta sulla panchina rimarrà sempre, ma uno dei punti saldi resta la sincerità e la fedele fotografia di quello che viviamo. Detto ciò siamo degli inguaribili rompicoglioni e quindi saremo sempre contro qualcosa, insomma quella rabbia provinciale mista frustrazione che è un po' il motore di tutto penso non si spegnerà mai, se succederà non avrà piu' senso fare musica.

Per gli estranei del genere si ha la percezione che l'hip hop rimanga un po' chiuso in sé dal punto di vista delle citazioni e dei mondi evocati. Voi invece avete allargato il campo, non solo con certe sonorità, ma anche tirando in ballo nei testi nomi come Battisti, Celentano, Bowie, Syd Barrett. Pensate che questa “apertura” al pop possa essere la direzione del nuovo hip hop italiano ad oggi un po' bloccato al bivio tra gangsta e trap?
La trap nel 2018 è una roba di una noia mortale, questo uccide tutta la creatività del rap, tutto questo tempo speso a emulare le metriche da piattini 808 degli artisti americani sta impedendo ai giovani di cercare una propria strada e di far crescere il livello. Ovviamente ci sono delle eccezioni degne di nota ma la maggior parte dei ragazzini si arena sull'aspetto più circense della cosa perdendo la possibilità di conoscere mondi fantastici e universi paralleli. Noi non facciamo nulla di strano, semplicemente concepiamo il rap come un mezzo e non come un fine, nei novanta l'esercizio di stile era un modo per affermarsi, per dire "Guarda quanto sono geniale!", ma ora siamo nel 2018 e per "stupire" non basta un buon flow,  non è sostenibile che un ciclo di genere duri più di 2-3 anni, ANDIAMO AVANTI.

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Cos'è per voi una bella canzone?
Qualcosa che ti lascia quel sapore di: "Wow, era così semplice da dire, perchè non ci ho mai pensato?!?"

In tempi di crisi del formato album, per non parlare di quello“concept album”, si può dire che con Inverno Ticinese avete sperimentato il “concept ep”?  
Assolutamente sì, in realtà è stato casuale, le tre canzoni sono nate dall'esigenza di non riuscire a far stare tutto in un unico brano. Ora ci piacerebbe scontrarci con il mostro finale, un disco intero, ma siamo daccordo sul fatto che cercare nuove formule di "impacchettamento" sia oltre che più funzionale anche maggiormente stimolante... chissà che succederà.

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L'articolo Coma Cose vs Bonetti: l'intervista doppia di Coma Cose e Bonetti è apparso su Rockit.it il 2018-05-14 14:22:00

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