King of the Opera: "Il mio disco più personale dai tempi di Samuel Katarro"

Torna dopo 8 anni Alberto Mariotti, in arte King of the Opera, con "Nowhere Blues", che segna il ritorno alla composizione da solo. Per riprendere un flusso di emozioni interrotto 8 anni fa

King of the Opera, foto di Esadaly
King of the Opera, foto di Esadaly

Torna dopo un lungo silenzio Alberto Mariotti, in arte King of the Opera. È passato un po' di tempo dal suo ultimo album di inediti, quindi vi rinfreschiamo la memoria: Mariotti inizia il suo percorso musicale col nome Samuel Katarro nel 1999 ma pubblica il suo primo album nel 2008, Beach Party co-prodotto da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle che viene supportato subito dalla critica di settore. Dopo qualche apertura di livello (ricordiamo gli Heavy Trash di Jon Spencer a Firenze) pubblica nel 2010 The Halfduck Mystery, a cui collabora anche Enrico Gabrielli. Dopo questa esperienza, nel 2012 decide di cambiare nome e pelle, abbandonando il blues psych lo-fi delle origini per diventare King of the Opera e iniziare a sperimentare anche su altri registri.

In formazione con Wassilij Kropotkin (violino, chitarra elettrica e tastiere) e Simone Vassallo (batteria), si esibisce al Primavera Sound di Barcellona nel 2012, a cui fa seguito un minitour europeo con date in Svizzera e Germania. Nello stesso anno pubblica l'album di inediti Nothing Outstanding e, rimasto da solo a portare avanti il nome KotO, nel 2016 pubblica l'album di cover Pangos Sessions. Fine della storia, anzi, nuovo inizio, siamo arrivati ai giorni nostri. Sentivamo la mancanza della sua scrittura, sempre in bilico fra sperimentazione e cantautorato, personalissimo e spesso fuori moda, quindi ancora più interessante.

Nowhere Blues è il suo nuovo album in uscita il 15 gennaio. Contiene 7 pezzi uno diverso dall'altro. Stavolta si va dalle melodie eteree al synth pop alla techno, per un artista che immagina il suo disco come fosse un blues composto sul suolo lunare.

Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire a che punto del suo percorso si trova.

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Che succede in 8 anni senza un disco?

Succedono un sacco di cose in realtà, anche perché non ho mai veramente smesso di suonare in giro, con la band o da solo. Senza contare l’uscita di Driftwood nel 2014 e quella delle Pangos Sessions due anni dopo che, anche se non sono veri e propri album, rappresentano comunque la prova della mia esistenza artistica in questo ultimo periodo. Inoltre ho lavorato al progetto Ocean Bells di cui spero di pubblicare l’album prima o poi e sono stato impegnato in produzioni artistiche di dischi altrui tra cui il primo dei Flame Parade, che è uscito benissimo. In tutto questo ho fatto anche altri lavori che con la musica non c’entrano niente, ma da cui ho imparato molte cose, e che mi hanno sicuramente fatto crescere come persona.

Che significa questo disco per te?

Significa moltissimo, è il mio disco più personale insieme a Beach Party e in effetti nonostante suonino molto diversi hanno tantissimi aspetti in comune. Prima di tutto entrambi sono stati pensati, suonati e arrangiati in solitudine o quasi (il contributo del co-produttorefactotum Alessio Gorgeri è stato preziosissimo), ma soprattutto rappresentano il punto d’arrivo di un percorso di rinascita dopo due periodi piuttosto bui, non solo dal punto di vista artistico ma anche personale e spirituale. La cosa che lo distingue maggiormente dai miei primi lavori come Samuel Katarro è proprio il contenuto musicale, l’uso disinvolto dell’elettronica in pezzi come Monsters in the Heart, The Final Scene e Places (quest'ultima in collaborazione con gli /Handlogic) e le strutture lunghe ed elaborate in quasi tutti i brani sono veramente distanti anni luce dai brevi quadretti fumettistici di Beach Party.

Che senso ha oggi un disco (fisico, e come insieme "tradizionale" di tracce) per un artista come te?

Sono ancora molto legato alla dimensione album perché da ascoltatore è quello che desidero dai musicisti che mi piacciono e da quelli che potrebbero iniziare a piacermi. È una dimensione che mi permette di capire ed esplorare al meglio le vicissitudini di un artista, quello che mi vuole comunicare e i mondi in cui vuole portarmi. Anche la sequenza in cui vengono ordinati i pezzi ha un valore enorme per me, un disco è come un viaggio, un flusso di emozioni, ed è compito del musicista gestire queste sensazioni nel migliore dei modi per garantire un appagamento sensoriale il più possibile completo.

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Ci spieghi la copertina?

Inizialmente in copertina doveva esserci una mia foto (scattata dal bravissimo Andrea "Esadaly" Daly) contenuta nel riquadro centrale ma alla fine la foto se n’è andata ed è rimasto solo il riquadro, l’ho ritenuta una scelta più giusta sia dal punto di vista estetico (adoro il minimalismo in tutte le sue forme) che filosofico (il "nowhere"). Successivamente lo sfondo total black si è trasformato in questo fotogramma amorfo con delle specie di ombre chiare nel buio, ricavato da un frame del teaser che nel frattempo Andrea aveva preparato. Sembra il negativo della copertina di Faith dei Cure e questa per me è un’ottima cosa visto che sono la mia band preferita.

Cosa ti piace della musica di oggi?

Le stesse cose che mi piacciono (e non mi piacciono) della musica di ieri, non ho alcun tipo di pregiudizio in questo senso, se qualcosa mi colpisce la approfondisco a prescindere dal genere, dall’anno in cui è uscita o da quanto abbia venduto. Se poi ti riferisci a come i metodi di diffusione e la tecnologia abbiano influenzato la fruizione della musica stessa allora è un altro discorso ma musicisti che vale la pena di ascoltare con attenzione ce ne sono ancora oggi e sono convinto che ci saranno sempre.

Che fine ha fatto Samuel Katarro?

Svariati comunicati stampa ne hanno decretato la morte nel 2012 e quindi adesso è rimasto un po’ dentro di me e un po’ nelle persone che hanno apprezzato la sua musica nel corso di questi anni. Comunque era un tipo simpatico.

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Che ricordi hai degli anni di Samuel Katarro?

Sono stati senza dubbio gli anni più divertenti della mia vita, era tutto nuovo per me e vivere quelle esperienze (pubblicare dischi, andare in tour, leggere il mio nome in giro) per la prima volta era elettrizzante. Ho vissuto quel periodo in maniera inconsapevole ed ingenua, cioè nell’unico modo possibile visto che non ho mai avuto contatti con la scena musicale prima di allora, nessun musicista in famiglia, nessuna conoscenza particolare nell’ambito. Ero un ragazzino di provincia che cercava di divertirsi come poteva, strimpellando, comprando dischi, facendo sport, leggendo robe strane, bevendo e fumando con gli amici al parco nei fine settimana e poco altro. Never Seen an Angel, uno dei pezzi chiave di Nowhere Blues descrive in maniera esplicita quel sentimento di disillusione e amara consapevolezza che niente potrà mai cambiare nel tuo piccolo mondo. E invece a volte accade.

Live dove possiamo sentirti? 

Sto finendo di preparare il live con i miei due nuovi musicisti Andrea Carboni e Elia Ciuffini. Non è stato facile riarrangiare in trio un disco suonato quasi esclusivamente da una sola persona ma mi piace molto il modo in cui lo stiamo approcciando, sarà un live molto denso, sia dal punto di vista sonoro che visivo. A breve verranno comunicate anche le prime date.

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L'articolo King of the Opera: "Il mio disco più personale dai tempi di Samuel Katarro" di Redazione è apparso su Rockit.it il 2020-01-12 12:35:00

Tag: album

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