Lazza: la leggenda del pianista con l'autotune

A metà strada tra Guè Pequeno e Chopin, Lazza, una delle più promettenti stelle del rap Italiano, è passato a trovarci in redazione per raccontarci la genesi del suo ultimo album “Re Mida”.

Foto di Beatrice Mammi per Rockit
Foto di Beatrice Mammi per Rockit

Una mosca bianca, l’eccezione che giustifica la regola, tamarro ma al contempo raffinato, uno dei pochi esponenti della nuova wave ad essere veramente stimato dalla vecchia scuola. Ad un primo sguardo Jacopo potrebbe sembrare l’ennesima copia di uno dei tanti trapper in circolazione. Capi costosi, quintali di tatuaggi, ma se dovessi far ascoltare un rapper a mia madre, così all’oscuro e senza che lei possa immaginarsi l’interprete, probabilmente sceglierei un suo pezzo. Con il pianoforte si vince facile, ma pensate quanti interpreti sono stati in grado di abbinare un’attitudine così cafona alle note di Chopin. In occasione dell’uscita del suo ultimo album, “Re Mida”, abbiamo incontrato Lazza, tra le più scintillanti promesse del rap italiano. 

 

Se “Zzala” e la tua carriera ti decretavano come uno dei migliori punch-liner d’Italia, “RE Mida”, a mio avviso, è l’album che impone un Lazza diverso, non più solo rapper. Oltre a scrivere le strofe dei tuoi testi, a suonare il piano, In quest’ultimo lavoro sembrano avere molto più spazio i ritornelli, ti sei cimentato maggiormente col canto. In un futuro (magari anche lontano) ti vedi come musicista? Com’è stato uscire dalla solita confort zone di un rapper?

Posso dirti che è stato bello solo ora che ne raccolgo i frutti, risultati alla mano. Ma devo essere sincero, sono molto paranoico, richiedo molto da me stesso, non è stato tutto rose e fiori. Distinguersi dalla massa diventa un punto di forza dal momento in cui non fai flop, ci si può anche distinguere in peggio. Sono riuscito a spaccare anche questa volta, allora ho avuto ragione. Molte canzoni di quest’album si sono sviluppate intorno al ritornello, un inconsuetudine per me che ero solito iniziare dalle strofe. Il futuro da musicista mi piacerebbe, magari un giorno, anche se lo credo improbabile. Mi diletto con la batteria, ma l’unico strumento che suono da “pro” è il piano. Prima di quest’album lo vedevo come una passione esclusivamente personale. Per ora sono molto soddisfatto della strada che abbiamo intrapreso.

Senza stare a riproporre la storia che hai già raccontato mille volte, Il tuo primo maestro è lo stesso che ti ha accompagnato nella registrazione di questo disco?

Lui è il mio fan numero uno, però il disco lo abbiamo curato interamente io e Low Kidd. Il mio maestro mi ha accompagnato alla conferenza stampa dove abbiamo ri-arrangiato qualche canzone per due pianoforti. È stato il primo ad indirizzarmi verso questo strumento quando andavo al conservatorio, l’unico a credere in me, a differenza dei professori di scuola. Alla mia prima battle presi parte scappando da casa quando arrivò il pagellino. La mia è stata anche una storia di rivalsa. E'stato il prima a dire a mia mamma che ero un “genio”.

Ti porterai il piano in tour?

Stiamo studiando una soluzione, sicuramente nelle date principali.

Quando hai avuto l’illuminazione di unire rap e piano? Nonostante tutto, tu hai praticamente lavorato sempre con lo stesso team, deve essere cambiato qualcosa?

Con “Ouveture”, con l’intro del primo disco. Slait e Low Kidd credevano più di me in questa cosa del pianoforte. “Zzala” era il nostro primo disco, potevamo permetterci, tra virgolette, un buco nell’acqua -o la va o la spacca-, ma il secondo album è molto più difficile, ho sentito molta più pressione. Volevamo confermarci ma, allo stesso tempo, la nostra intenzione era proporre qualcosa di diverso dal primo lavoro, più ricercato dal punto di vista sonoro ma anche più maturo. Se in “Zzala” mi limitavo a scrivere sulle basi di Lorenzo per “Re Mida” ho sicuramente passato più tempo in studio, Parlo proprio di cura del beat, perché non penso ci sia mai stato bisogno di correggere Low Kidd ma in quest’album ha veramente assecondato ogni mia esigenza stilistica. Ci siamo confrontati molto di più, discutevamo dei toni, delle ritmiche degli strumenti da utilizzare, gli proponevo degli spunti su cui lavorare, mi ha aiutato con i riarrangiamenti al pianoforte. Per me il piano prima era una cosa casalinga, insomma, non avevo mai pensato di farlo davanti ad un pubblico. Anche perché mi mette molto ansia, la sera prima della conferenza all’idea di dover suonare con il mio maestro non ho dormito. Dovrò farmene una ragione, questa mia particolarità ha generato tanto interesse.

Pensando alla commistione tra rap e piano il primo riferimento che mi è balzato alla mente è stato Anderson Paak.

Spacca, perché non è solo rap e piano, suona anche la batteria, come fa a suonare la batteria e rappare così? Boh. Bestiale.

Una delle correnti internazionali per cui ha mostrato interesse è l’Emo-trap?

“Morto mai” è il pezzo più emo trap del disco, questo filone m’incuriosisce, mi piace, perché suona vecchio ma ben riadattato ai nostri tempi. Post Malone, Lil Uzi, Juice Wrld rimandano tutti - come ritmo, chitarre e intonazione - alle canzoni più tristi dei Blink. Ne parlavo di recente con Slait, questo sottogenere in America ha veramente fatto il botto. Però a me non piace etichettami, mi piace cambiare attitude da pezzo a pezzo, il mio disco è molto vario.

Anche nei featuring ti sei prestato tanto allo stile degli altri rapper, in particolare, a mio avviso, in quello con Tedua?

Allora si nota sta cosa, mi fa molto piacere. Tra l’altro il pezzo con Tedua è quello per cui ho forse prestato più attenzione al beat, infatti si è sentito a casa, gli è piaciuto tantissimo.

Fibra è un maestro, ha uno stile personalissimo, il pezzo con lui è d’impatto. In realtà quando c’eravamo sentiti aveva scelto un’altra base, ma su quel beat avevo già promesso il feat a un altro rapper quindi per correttezza ha dovuto ripiegare. Mi ha comunque mandato la sua strofa in meno di una giornata nel giorno del suo compleanno, e con che qualità, mostruoso. Ha l’energia di un esordiente, però è Fibra…

Con Guè forse si nota di meno anche se lui è un peso massimo, con le debite differenze, abbiamo due stile diversi ma la stessa attitude, ci piace la stessa roba cafona.

Ho voluto mettere tutti a proprio agio per far si che potessero rendere al meglio e dimostrare quando fossi versatile, ma Ho cercato di collaborare esclusivamente con gente per cui provassi rispetto oltre che stima artistica, tutte le strofe mi sono arrivate nel giro di una settimana. Izi è venuto in studio si è preso bene ed ha deciso di registrare una strofa su un pezzo, con Giaime ci siamo beccati a casa.

Dal tuo album d’esordio non sono passati nemmeno due anni ma, nel frattempo, attorno al tuo nome si è generato un clamore sempre maggiore. Sembra essere finalmente arrivato anche il tuo momento, come hai vissuto l’hype che ha colpito altri artisti come Izi e Tedua che hanno mosso i primi passi con te e si trovano anche su quest’ultimo disco?

Quando non esce il disco la gente pensa che sei scomparso. Ho ricevuto tanti di quei messaggi a cui avrei voluto rispondere male. Ho già spiegato perché mi sono dovuto prendere il mio tempo. L’hype è cresciuto perché non sono stato mai fermo, ho fatto un sacco di cose. Sono passati meno di due anni da “Zzala” ma in questo periodo in cui ogni artista è costretto ad essere sempre sul pezzo possono sembrare molti di più. Ma nel frattempo ne ho fatta di roba, “Porto Cervo” è uscito prima dell’album, “Diablo” ha fatto disco d’oro, ho scritto una strofa sul disco di Nitro, per non parlare delle date in giro per tutta Italia. Letteralmente ho iniziato con Giaime. Tedua ed Izi li ho comunque conosciuti prestissimo.

Ci sono aneddoti, ricordi bellissimi che ho scritto nei ringraziamenti dell’album, quando ancora non pensavamo che saremmo arrivati a questi livelli, storie di viaggi senza il biglietto nei bagni del treno. Una volta Mario mi ha accompagnato ad un contest in auto quando ancora non avevo la patente, è entrato in riserva in autostrada. Li conosco tutti da quando non eravamo nessuno ma credo che loro siano riusciti ad emergere prima perché hanno fatto squadra, io ero solo.

Appunto, Quanto è importante avere una squadra alle spalle, tu in pratica sei l’unico artista della vostra etichetta?

Io ero solo. E c’è da dire che i tempi sono cambiati, sia i metodi di fruizione della musica sia come questa musica viene recepita. Sono stato fermo per un periodo, ho avuto la necessità di pensare a come impostare il mio essere artista prendendo anche la decisione di uscire dalla Blocco Recordz. Ora, da un po’ di tempo, faccio parte di 333 Mob di cui i membri, A modo loro, sono tutti artisti. A parte Low Kidd che è proprio un producer, si può dire io sia l’unico che rappa, che canta. Ma Slait ha sempre avuto a che fare con la musica, Moab non si può dire non sia un artista, è il king delle grafiche, dell’etichetta fa parte anche El Raton. Per impormi sul mercato, ma soprattutto, per creare un prodotto di qualità superiore lavorare con un team di persone più grandi, con determinate esperienze è stato fondamentale. Io sono molto produttivo ma anche frettoloso e disordinato.

Rkomi lo conosco da quando ho undici anni, anche Sfera. Ci trovavamo sempre tutti per mangiare insieme, alle gare di freestyle, anche chi non partecipava, solamente per fare ballotta. Ci conosciamo tutti da una vita perché frequentavamo gli stessi ambienti perché la nostra è una storia di gavetta vera. Ghali una volta mi disse, poco tempo dopo l’uscita dai Troupe d’Elite, che oggi è la squadra a fare l’artista. Poi ha imbastito Sto e hai visto a che livelli è arrivato. Tedua ed Izi hanno fatto lo stesso a Genova, ma anche la Dark Polo Gang a Roma, sono tutti esempi vincenti.

A Roma anche la 126.

Loro sono un caso ancora più particolare, Fanno numeri della madonna senza essere hyppati sui social. Carl Brave ha fatto i platini, viene in città e riempi tre volte l’Alcatraz senza manco essere di Milano. È gente che ha veramente fatto vincere la musica.

In “ Box Logo“ citi Gaber. Io non voglio sapere del rapporto che hai col cantautorato italiano perché credo te ne freghi poco, la cit intende indicare i tuoi orizzonti musicali principalmente stranieri?

Ni, nel senso, bisogna portare rispetto per la storia della musica italiana perché credo che il rap sia la continuazione del cantautorato. Però se ti devo spiegare la barra si riferisce a questo, le mie influenze sono principalmente straniere. Non penso che chi ascolti la mia musica mi recepisca come un’imitazione brutta in italiano degli americani. Allo stesso tempo, penso di essere molto meno italiano di tanti altri rapper. Mi piace molto il rap europeo, in particolare quello francese e Booba, nella versione deluxe del disco c’è un feat con Kaydy Cain che è il mio artista spagnolo preferito. Per quanto riguarda la roba americana non sto neanche a farti nomi, finiremmo domani. A me piace questa variegatura del panorama musicale mondiale, io sono uno che se viene colpito da un pezzo è capace di mettersi a scrivere una canzone subito. Mi capita spesso. Ma se ti fai influenzare troppo da uno che fa il tuo stesso lavoro in Italia è brutto. Gli artisti sono un po’ come le spugne, quindi Mi limito ad ascoltare i dischi degli amici per rispetto.

Anche se Non ti cimenti più freestyle pensi che questa tua abilità continui a contraddistinguerti per flow e adattamento a diversi stili musicali? Ho affrontato questo discorso anche con Ensi, un interprete a cui ti accumuno per molti motivi. Sei in “Zzala” la tua buffonaggine era un po’ un espediente artistico, un luogo comune del rap, in "Re Mida" sembri aver acquistato molta più sicurezza anche come persona. Hai trovato un equilibrio tra “zarraggine” e contenuto.

Di sicuro mi ha aiutato nell’immediatezza della scrittura, perché ti condiziona ad una velocità di pensiero superiore a quella normale. Ensi è mio amico, suo figlio mi chiama zio. Ha ascoltato le mie canzoni in anteprima, C’è rispetto, ed è bello il confronto con lui perché è uscito da un periodo completamente diverso per il rap, puoi insegnarmi tanto, allo stesso tempo, io posso fargli notare alcune sottigliezze dei giorni nostri. Mi fa piacere tu abbia sottolineato quest’aspetto, c’è chi l’ha notato ma anche tanti imbecilli che sostengono parli sempre delle stesse cose. Io non mi sento più artista perché guadagno di più, guadagno di più perché più gente ha imparato a riconoscere la mia arte. Ma fermarsi ai riferimenti materialisti è comunque una visione limitata delle mie canzoni. C’è stato tanto lavoro dietro, tanta fatica. E la crescita da un punto di vista sonoro spesso comporta anche una crescita come persona.

E della collaborazione con Dolcenera cosa ci dici?

Spacca, è bella, brava, stilosa. È artista. ll punto bro che all’inizio sta cosa poteva sembrare una presa per il culo. La mia amicizia con Manu è partita come sfida dopo che lei aveva suonato Young Signorino sul secondo preludio di Bach in do minore, credo, su “alpha alpha beto beto”. Sembrava dire”guardate cosa so fare io, voi rapper non siete capaci”. Quando le ho “risp” al pianoforte taggandola, mi ha scritto “ti aspettavo”. Questa cosa delle cover è una parodia ma allo stesso tempo un’operazione musicale non indifferente. Quando mi ha chiesto se poteva coverizzare “Porto Cervo” le ho detto sarebbe stato meglio rifarla insieme. Hai riscritto la partitura per due pianoforti e sono partite le riprese.

 

Lazza, al secolo Jacopo Lazzarni, è una delle più promettenti stelle del rap nazionale, il suo secondo album ufficiale ha debuttato al primo posto della classifica degli album più venduti in Italia. La leggenda narra che tutto ciò che toccava Re Mida diventasse d'oro, più verosimilmente, noi siamo convinti che qualche singolo verrà laccato in platino.

Domenica 19 maggio alle ore 19:00 Red Bull presenta il concerto di Lazza, che presso la Palazzina Liberty si esibirà con “Re Mida Piano Version” una versione al pianoforte del suo ultimo album “Re Mida”.

 

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L'articolo Lazza: la leggenda del pianista con l'autotune di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-05-06 12:37:00

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