Neunau: il suono del ferro che diventa musica

Storia di un disco e di un progetto nato interamente nelle fucine della Valcamonica

Neunau
Neunau - ph: Simone Artale

Si chiama Neunau, ed è il nuovo progetto di Sergio Maggioni (già Hot Gossip ed Esperanza), che tornato a casa ha deciso di dar voce al suono incessante che animava fino a qualche anno fa la sua terra. Stiamo parlando delle fucine, fabbriche destinate alla lavorazione del ferro, all'interno delle quali Neunau ha registrato tutti gli elementi sonori che caratterizzano il suo primo EP, appena pubblicato da Parachute Records. Ce lo siamo fatti raccontare.

Sei tornato a casa dopo aver vissuto per diversi anni tra Milano e Berlino. Neunau è il frutto di un isolamento che hai cercato o qualcosa che è accaduto, ha preso forma in maniera "casuale"?
Sono stati gli accadimenti personali a riportarmi in Valcamonica. Dopo anni in giro per esperienze di lavoro e di vita, ho sentito la necessità di tornare in un luogo dove riuscissi a concentrarmi su di me. Ho questa fortuna di essere cresciuto in un ambiente molto isolato come dici tu, e la mia è stata quindi una scelta consapevole.

Qual è la cosa che ti ha fatto più piacere ritrovare una volta tornato nei tuoi luoghi?
Molto banalmente la cosa che mi mancava di più era la montagna, l'idea di vivere in qualche modo protetto da elementi caratterizzanti. Quando abitavo a Milano tendevo sempre a sentire la necessità di andare in montagna, facevo delle escursioni, andavo a trovare degli amici in baita, mi rigenerava.

Se dovessimo indicare un momento in cui il progetto ha iniziato a materializzarsi, quale sarebbe?
A un certo punto ho sentito che quello che mi era balenato per la testa, dar vita a un progetto musicale legato alla mia terra, poteva funzionare. In quel momento ho abbandonato diverse cose che stavo sviluppando e mi sono buttato a capofitto in questa impresa, sia a livello fisico che materiale, dedicandogli tutta l'attenzione possibile. Se devo indicarti un momento preciso, è stato quando ho visto che tutti gli elementi che avevo selezionato combaciavano e ho sentito che in qualche modo il progetto stava in piedi nonostante prendesse tante cose diverse, sia dal punto di vista della ricerca ispirazionale che musicale. Penso che in quel momento ho avuto la sensazione di far qualcosa che mi stava appassionando così tanto che poi alla fine dimentichi i giorni, dimentichi tante cose, ti svegli e senti di star facendo qualcosa che ti piace molto.

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Qual è la prima percezione da cui si viene assaliti quando si entra in una fucina?
La fucina è un luogo molto materico, ti sembra di entrare quasi in una grotta, l'atmosfera è molto magica, però poi alla fine di magico non ha nulla. Io ho registrato in quella che adesso è una fucina museo che però dal medioevo fino agli anni '90 ha sempre fatto lavorazione. Dal punto di vista percettivo quindi hai questa impressione di vera e propria stratificazione di un luogo, lo senti, lo percepisci. Anche perché prima che tu entri senti il suono che sprigiona da dentro la camera della fucina. Alcune volte mentre registravo ed ero fuori a fare una pausa sentivo il suono e sembrava di stare a un after, la percezione era quella.

Quanti tipi di suoni hai registrato?
Ho usato fondamentalmente tutti i suoni che fanno parte del processo lavorativo. La registrazione di questi elementi è avvenuta come in uno studio, non si tratta di un field recording ambientale. Ho piazzato i microfoni in vari punti della fucina, in funzione delle frequenze, e ho fatto una registrazione multitraccia con 7-8 microfoni. Concettualmente è stato come una sorta di strumento ritmico da registrare, ho preso il battente, che è il martello enorme, la forgia, la ruota che gira che è connessa al mulino e poi il mulino con il salto dell'acqua. Ho cercato di essere il più possibile fedele nel ricreare la densità sonora che si respira nella fucina. Di fatto un ragazzo giovane la percepisce come techno, un anziano di qua la percepisce per quello che è: il maglio, il suono della fucina.

Hai provato a far ascoltare questi pezzi ai fabbri che lavorano il maglio, che hanno "suonato" nel tuo disco?
Assolutamente, è stata una delle prime cose che ho fatto. È da un anno che assieme a Piero Villa, che mi ha dato una mano fondamentale per il disco, andiamo nella Fucina Museo di Bienno a fare una sorta di raccolta di quelle che sono le lavorazioni, perchè ogni lavorazione ha un suo suono, un suo movimento ritmico. Siamo entrati quindi in sintonia con chi lavora lì, la figura di fabbro è una figura storica, sono una sorta di casta, da una generazione all'altra si tramandano il sapere e quindi sono estremamente stimolanti e sapere da loro cosa ne pensano del risultato è stato fondamentale. Quando gli abbiamo fatto sentire il frutto di queste registrazioni uno di loro ha fatto: "Dai passatemelo, così me lo ascolto la notte prima di andare a dormire". Sono talmente dentro questa cosa qua che per loro si tratta di un suono meditativo.

Il silenzio di cui parlavamo prima, quello delle montagne, che vige tutto intorno, ha finito per funzionare da contrasto, essere presente nella sua assenza all'interno dei brani?
A me piace molto il silenzio, vado spesso da solo in montagna, però per chi è cresciuto in questi posti il silenzio è quasi sempre sinonimo di angoscia. Ti spiego meglio: fino a una ventina di anni fa Bienno aveva più di settanta fucine che funzionavano, lavoravano contemporaneamente di giorno e di notte, quindi immagini che ripercussione poteva avere questa cosa nei confronti di chi abitava in paese. Si dice fondamentalmente che il terreno tremasse, questi martelli enormi che battevano in continuazione davano una sensazione pazzesca. Il suono del maglio quindi per loro è scansione della vita, necessità, senza di quello c'è il silenzio e quindi la morte. Quando tutte le fucine hanno smesso di funzionare è come se si fosse fermato il cuore del paese.

C'è il lavoro di altri artisti, sempre capaci di utilizzare suoni organici, che ti ha ispirato?
C'è un'artista che si chiama Franca Ghitti, che fa parte della scena dell'arte povera degli anni '70, a cui mi sento concettualmente molto vicino. Lei ha lavorato le sue sculture a partire dai materiali di scarto della fucina, nel luogo dove ho fatto anche io le registrazioni. Mentre lei utilizzava gli scarti per realizzare le sue sculture, io allo stesso modo ho utilizzato degli scarti sonori per realizzare della musica. Tra i musicisti sicuramente Lino Capra Vaccina, per me è un grande riferimento, uno da cui ho preso molto sia dal punto di vista interpretativo che performativo.

Dal vivo come prende forma questa esperienza?
Sto lavorando su due diversi tipi di live. Uno più performativo e concettuale, che ho sperimentato per la prima volta al NeXTones, lo scorso anno, e poi ho portato anche a Berlino e suonerò anche al prossimo Lessinia Psych Fest. L'altro tipo di live è più manipolativo diciamo, da festival o club, ha un taglio molto techno, molto ritmico. L'ho sperimentato a Milano alla Buka alle 4 di mattina ed è stato molto bello. E poi ho intenzione di fare roba anche qui in zona, voglio fare sicuramente una performance all'interno della Fucina Museo e poi all'interno dei Parchi delle Incisioni Rupestri.

Quali sono gli sviluppi futuri di questo progetto? Hai intenzionato di continuare lungo questa direzione o arricchire magari di nuovi elementi la tua musica?
La fucina è una sorgente inesauribile di materia e di suono, dalla quale sono scaturite tante cose e adesso mi ritrovo ad avere tante idee in testa. Il più sarà riuscire a incanalarle nella direzione giusta.

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L'articolo Neunau: il suono del ferro che diventa musica di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2016-06-14 09:53:00

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