Prendersi in giro è una cosa seria: l'intervista a Dario Ciffo

Dopo anni di militanza negli Afterhours e nei Lombroso, Dario Ciffo ha pubblicato un ep in cui per la prima volta si è cimentato con un po' di elettronica: ce lo racconta

Tutte le foto sono di Vittorio Farachi per Rockit.it
Tutte le foto sono di Vittorio Farachi per Rockit.it

Dario Ciffo è un musicista in continua evoluzione, membro degli Afterhours dal '97 al 2008 e cuore pulsante dei Lombroso, duo formato nel 2003 con Agostino Nascimbeni. Il 1° dicembre pubblica su Seltz Records il suo primo EP "Sarebbe bello". A pochi giorni dall'uscita lo incontriamo in un freddo pomeriggio milanese davanti a una spremuta d'arancia. 

Vorrei partire subito dal suono del disco. "Sarebbe bello", rispetto ai tuoi precedenti lavori, è un disco molto più legato a produzioni elettroniche, e suona sicuramente diverso sia rispetto agli Afterhours che ai Lombroso. Com’è stato approcciarsi non solo ad un modo diverso di pensare la canzone, ma l'intera produzione?
Io di base sono molto rock, vengo da questo approccio. Mi sono trovato in uno studio totalmente diverso, pieno di synth, pad e drum machine e quasi per gioco ho iniziato a sperimentare suoni diversi. Ho proprio dovuto imparare a usarli prima di trovare il suo finale. Pensiamo anche soltanto alle batterie, ti trovi davanti delle librerie immense con un database enorme di suoni. In sala prove invece la batteria è quella, acustica, il suono è quello. Certo, puoi farci quello che vuoi, ma il tom o il rullante sono sempre quelli. È una scelta sonora limitata, che poi è anche quella che mi piace: batteria, chitarra, amplificatore. Con la musica elettronica invece il range di suoni da scegliere è potenzialmente infinito. Può essere destabilizzante all’inizio, ma è stato molto divertente.

Si vede che ti sei divertito a farlo. Per quanto melodie e testi non siano poi così diversi da quelli dei Lombroso qui sembri molto più leggero, lo dico nel senso positivo del termine.
Anche nei testi stavolta mi sono divertito un po’ di più. Certo, comunque sono sempre mie canzoni, con i Lombroso però ero meno crudo, meno reale. Anche quelli erano testi tutto sommato abbastanza ironici, ma c'era sempre qualcosa di un po' oscuro, torbido, poco chiaro. Questa volta mi sono legato più a immagini e situazioni, in fondo ho messo un brano che si chiama "Brotula".

Parlando di "Brotula", la storia è molto divertente. Parli di questo pesce brutto ma che hai poi scoperto essere "meglio del branzino". Te la sei inventata o è un aneddoto?
No no, è andata proprio così. La brotula rispetto ad altri pesci è molto più buona, solo che è anche molto brutta. Un giorno sono andato a comprare il pesce, volevo il branzino che però era finito. La signora allora mi ha detto “abbiamo la brotula, che è buona uguale!”. Io lì per lì mi sono fidato, poi sono andato a cercare le immagini su internet e ho visto che è un pesce orribile. Stavo per buttarlo, invece era effettivamente buonissimo. È un’allegoria sul non fermarsi alle apparenze, il significato del brano poi è questo, cercare la bellezza anche in cose personali, che non sono in assoluto considerate belle. 

A partire dal tuo percorso, hai iniziato con gli Afterhours e il violino, poi i Lombroso ed ora la tua esperienza solista. Sono cambiate un po' di cose, ora sei da solo. Questo processo di sottrazione di elementi alla band è stato casuale o è parte di un tuo percorso?
Sì, sono partito dagli Afterhours per finire mi pare con una formazione di sette persone, poi nei Lombroso eravamo in due e ora come hai detto sono da solo. Per il prossimo album sparirò e mettere al mio posto un ghostwriter, a furia di ridurmi potrei scomparire, magari suonerò direttamente dal backstage senza uscire fuori. Scherzi a parte, i Lombroso esistono ancora, non ho appeso la chitarra al chiodo. Il rock a me piace sempre e mi piace farlo, semplicemente mi andava di sperimentare con questo disco, è una fotografia di questo momento. Ho incontrato un produttore più elettronico (Giovanni Calella, ndr) e ci siamo divertiti a tirare fuori questi brani, è una specie di b-side, un progetto che ora mi piace mettere in luce ma è solo una faccia della medaglia. Oggi sono questo, domani sarò un’altra cosa. Musicalmente parlando, non è detto che debba smettere di essere la cosa iniziale.

Quando parli di questo nuovo approccio che ti senti di esprimere in questo momento della tua vita, ti riferisci a un'esigenza in particolare?
Devo dire la verità, non è stata una cosa così ragionata, l'ho fatto un po' per gioco. La componente giocosa è stata quella che ha dato alla luce "Sarebbe bello". Parlando di esigenze di produzione invece avevo bisogno anche a livello ritmico di una cosa più costante. Una produzione elettronica anche come continuità sonora. Quello che voglio dire è che con una batteria acustica non hai quella precisione di una batteria elettronica. Una batteria hardware non potrà mai avere un ritmo precisissimo, ora invece volevo trovare quella ciclicità, quel ritmo puntuale che solo la musica elettronica ti da la possibilità di utilizzare. Questo per me è un esperimento. Io vengo dalla dimensione della sala prove, questa è una cosa diversa. Ho portato un’idea e l'ho sviluppata con un metodo che per me era innovativo. I brani e le idee dei pezzi comunque c'erano già.

Per quanto riguarda invece la dinamica del live, immagino sarà molto diversa da quanto hai fatto fin'ora. Cosa dobbiamo aspettarci?
L’idea per il live sarebbe di suonare con una parte musicale hardware a livello ritmico, tipo basso e chitarra. Girerò con dei musicisti, sto ancora chiudendo la formazione. La cosa che mi piacerebbe è giocare di più con il pubblico, non dico fare un dj-set ma comunque coinvolgere le persone in maniera diversa da un classico live. Sarà comunque un concerto, non una performance di avanguardia.

Quindi vorresti mantenere la struttura di un classico concerto, ma cambiando il modo in cui il pubblico interagisce con l'artista, in un certo senso un rapporto più orizzontale tra pubblico e palco, giusto? Hai già qualcosa in mente?
Sì esatto, questa è una cosa che io noto spesso: quando qualcuno vede il concerto tendenzialmente sta fermo e ti guarda, appena smonti i cavi scatta subito un'altra situazione, più da dancefloor. Dopo il live la gente balla, parla, prende da bere, mentre prima rimane immobile. Certo, il dj-set è normale che riesca creare questo tipo di situazione ed il mio resterà un live, vorrei trovare un modo di unire le due cose. Ancora però non ho il disegno preciso, ci sto lavorando, non ho pensato alle date o alla promozione. Volevo intanto tirare fuori l'album, poi si vedrà. Alla fine è nato tutto per caso, e mi sono divertito. Per me l’approccio migliore per fare musica rimane il divertimento, quella è la prima regola. Vale per tutti, non solo per i musicisti, essere soddisfatti di quello che si fa ma anche divertirsi. Sapersi prendere un po’ in giro, alla fine, è una cosa seria. 

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L'articolo Prendersi in giro è una cosa seria: l'intervista a Dario Ciffo di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2017-12-18 10:00:00

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