Nesli: o è un loser o è il nuovo Vasco Rossi

Nesli è famoso per due motivi, il secondo è che non è più un rapper. In questi giorni si parla di lui perché sarebbe assieme a Gino Paoli uno dei primi nomi annunciati per la nuova edizione del Festival di Sanremo. L'intervista di Wad Caporosso.

Nesli è famoso per due motivi, il secondo è che non è più un rapper. In questi giorni si parla di lui perché sarebbe assieme a Gino Paoli uno dei primi nomi annunciati per la nuova edizione del Festival di Sanremo. Ci siamo fatti una chiacchierata per parlare del suo cambio di stile, del suo passato da rapper, del disco nuovo per Carosello Records, e dell'amore: perché se va a Sanremo è di quello che parlerà.


Hai cambiato tutto.
L'ho voluto tanto. Io cambio tutto spesso. A sto giro hanno coinciso tanti aspetti, non mi aspettavo in realtà tutto questo casino. Questo per me è il segnale del fatto che è stato il cambiamento più giusto che potevo fare.


Proprio ora che il rap è al top in Italia...
E infatti sono un coglione, in realtà. Lo dico sempre che non sono bravo nelle tempistiche, non sono furbo, ma non l'ho mai fatto per quegli aspetti lì, e sbaglio. Forse sbaglio perché questo comunque è un mondo di squali, ma io non lo sono. Proprio non lo sono nella vita.

Potevi inventarti qualcosa sul contrastare un momento di hype...
Ma in effetti è così, forse è proprio grazie a questo contrasto che sono finito primo in classifica. Ed è una favola al giorno d'oggi. Non ho fatto la scelta giusta apparentemente perché il rap oggi è al top, ma io ho pensato a portare avanti un genere tutto mio. Dovevo farlo.

Che pubblico ti ritrovi?
Mi fai una bellissima domanda. Posso dirti che io sono felicissimo, in passato quando tornavo a casa non ero felice perché, senza giudicare, io non ero contento delle persone che vedevo, cioè io parlavo con le persone e quelle persone non capivano quello che dicevo, volevano solo ascoltare perché era un altro genere, un'altra cosa. Per me però era un po' come giocare a gold in un campo da calcio. E quindi nel tempo mi sono imposto di costruirmelo un mio pubblico, e già in questo primo giro di “in-store” gli stessi organizzatori mi fanno notare che ho un pubblico eterogeneo, educato, che non è né il pubblico di quello né di quell'altro.

Ok, ma sono ragazzini?
Si, ma non solo. Ragazzi e ragazze, ma spesso vedo anche delle mamme. Io lo sento proprio questo incontro di generazioni. E io sono contento perché lo volevo, cioè sognavo di avere un pubblico che fosse come me, e non un pubblico e basta.

Dimmi un nome di rapper che ha fatto, come te, una svolta – diciamo così – a destra, verso il Pop e che ora è lì felice di fare altro?
Sicuramente Neffa è il primo che mi viene in mente. Anche se siamo su mondi lontanissimi, io rappresento molto meno una musica e molto di più un'idea. Ma in generale non ci sono precedenti, perché comunque il rap non ha uno strascico tale da creare cambiamenti di rotta che avvengono comunque nel tempo.

Nei comunicati stampa celebrano questo tuo momento come il più grande dal punto di vista della popolarità. Ma è questo il più grande o pensi di averne avuti altri in precedenza?
No, io direi che è questo a tutti gli effetti. Ne ho avuti altri, ma mancava sempre qualcosa. Sono un nome conosciuto da tanto, però questa visibilità radiofonica per esempio non ce l'ho mai avuta. Televisiva l'ho avuta ma con poca continuità, discografica uguale. Questo invece è un momento in cui la maggior parte di queste cose coincidono. Quindi è sicuramente la punta ora, se guardo indietro. Non è la punta se guardo in avanti.

Quando facevi rap, per diversi motivi, avevi una certa credibilità, ora per fare la musica Pop che background pensi di avere?
La mia formula ad oggi è stata vincente perché la mia non è una credibilità legata al genere, ma è una credibilità legata al nome e alla persone. Chi mi conosce nutre stima più che per il genere, per la persona. Quindi è un background umano, il mio.

Un po' filosofica come risposta...
Quello che voglio dirti è che è la consapevolezza della persona, e non di un genere, che ha portato per esempio Tiziano Ferro a scegliere una mia canzone, prenderla identica e farla nel suo disco. Proprio perché il mio peso è artistico e non legato soltanto al genere.

Quanto ci hai messo a fare un disco così?
Guarda da 0 alla fine: un anno e mezzo.

Avevi idea di farlo così già un anno e mezzo fa o è cambiato facendolo?
Un po' è cambiato, ho lavorato con Zangirolami e Fish come persone esterne che impastassero il mio lavoro. All'inizio erano dei provini grezzi, il tempo è servito a perfezionarli, ma la spina dorsale è quella. Se ti facessi sentire la versione provino di “Respiro” ti sembrerebbe molto diversa da quella che è sul disco, ma la potenza del pezzo è la stessa.

Ok tutto, però continuano a chiamarti rapper...
Oh ma tu guarda, questo è un enorme difetto di categoria, quella dei giornalisti. Io faccio una fatica assurda a comprendere. Ma perché poi scopro che chi scrive l'articolo non è lo stesso che fa il titolo, chi pubblica le foto non è lo stesso che impagina, io per esempio mi trovo a far le guerre con il mio ufficio stampa perché abbiamo fatto un servizio fotografico nuovo che rappresenti il nuovo concept e in giro trovo spesso le foto vecchie di tre anni fa.

A proposito di fotografie, ti è cambiata proprio la faccia...
Eh si per quello non capisco, io mi sforzo molto. La mia musica deve stare dietro a me, e non io dietro alla mia musica.

Vabè però è un po' come Jovanotti che va in America e lo chiamano rapper...
E infatti te l'ho detto che è un difetto di categoria, internazionale.

A te che effetto fa sentire che all'estero Jovanotti lo chiamano rapper?
E ma Jovanotti non è tanto lontano dal rap. Dipende dalla concezione che si ha di rap, è un discorso che faccio spesso. Cioè in Italia il Pop è la musica leggera, in America il Pop è Michael Jackson. Jovanotti non è un rapper se lo paragoniamo ad un immagine di rapper circonciso, ma quello che fa con le parole, con le rime, con la comunicazione, è rap.

E quindi, tornando a te, mi spieghi perché t'incazzi se ti chiamano rapper?
Ma, a me non da fastidio, mi da più fastidio il discorso delle foto sbagliate sinceramente.

Però non rinnegare il passato rap, potrebbe tornarti utile un giorno...
No, ma non lo faccio. In generale è una grande ipocrisia questa del rap, io sono sempre stato un rapper non rapper, e da rapper non ho mai funzionato tanto per quelli dell'ambiente, per i giochi delle rime e delle metriche. Io non rinnego quel mondo, quel tipo di comunicazione mi rimane, la matrice è quella, il resto non lo rinnego ma non è più il mio mondo.



Questo disco è pieno di canzoni, serene e lucide, che vorrebbero piacere a tutti. Il rischio di fare l'ennesimo Vasco Rossi italiano è che poi si finisce per somigliare agli Zero Assoluto...
Si, ma perché sono io così. Se faccio una canzone non è solo perché deve piacere a me in cameretta, ma perché possa piacere a tutti. Io ho un orecchio molto comune, mi emozionano cose che piacciono a tante persone, non sono un malato ricercatore. Per questo magari può risultare facile questa mia musica. Chi pensa che io sia l'ennesimo Vasco, forse riconosce che quella semplificazione delle parole forse ce l'ho.

La scrittura facile come si fa?
Io generalmente scrivo poesie, da sempre. Non nascono strutturate come canzoni, io scrivo in macchina, mi piace scrivere in movimento. Quando scrivo poi io non penso, mi lascio andare. E poi i miei papiri subiscono vari passaggi per diventare in struttura delle canzoni.

Qual è la poster-song del disco?
Ce ne sono sicuramente più di una. “Respiro”.

L'Italia è un tributo geografico al cantautorato, da De Gregori a Il Cile. Tu da che parte stai?
Da quella di Vasco Rossi, da quando ero ragazzino ad oggi. Di artisti stranieri sicuramente Bruce Springsteen.

Ma gli haters ce li hai o proprio non ci sono?
No, non mi arrivano e se mi arrivano mi riempiono di stima, perché gil haters sono quelli che davvero ti amano. L'invidia non mi arriva, ad oggi posso dirlo ho le spalle molto larghe. Preferisco concentrarmi sul fatto che per esempio su Facebook vedo che ci sono centinaia di persone che si tatuano i miei testi.

Diciamoci la verità, quando nel 1999 facevi “Fitte da latte” non ci pensavi per niente al Festival di Sanremo...
Mi fai delle domande a cui ho il gusto di rispondere, grazie.

Figurati, per così poco.
Ti dico: io quando ero ragazzino, dagli 8 ai 12 anni, avevo il gusto di Sanremo, l'ho sempre avuto. Mia mamma la musica italiana l'ascoltava tanto, da Anna Oxa a De Gregori, aveva il fascino del Festival di Sanremo, proprio come momento di aggregazione. Io lì ebbi un po' un flash, non mi immaginavo cantante ma mi immaginavo a Sanremo. Per cui non mi dispiace, cioè mi piace l'idea.

Ma te lo hanno proposto?
No, è una cosa che sta gira in rete questa. A me non mi ha chiamato nessuno.

Ah quindi non è vero niente?
Che io voglio andarci assolutamente è vero, che io sia tra i primi nomi annunciati lo dicono gli altri, non c'è stato contatto tra quella voce e la mia.

Se vuoi da Rockit puoi controbattere alla voce che c'è in giro...
E cosa vuoi che ti dica, io ci andrei a Sanremo.

Ma non ti poni nessun problema per questo? Ok, piacerai alle mamme, ma mezza gente che va a Sanremo poi a distanza di qualche anno cambia lavoro. Non musica, lavoro.
Io non penso mai alla gente che mi odierà, e penso alla gente che amerà. Considero soprattutto chi mi ama.

Nel caso dovrai scrivere un pezzo nuovo...
Bè sono in giro con gli in-store da un bel po' di giorni, ho scritto parecchio. Ho diversi assi nella manica, poi speriamo piacciano.

Alla fine poi basta fare un pezzo che parli d'amore...
Per me comunque è un argomento per cui vale la pena parlarne.
 

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L'articolo Nesli: o è un loser o è il nuovo Vasco Rossi di Michele Wad Caporosso è apparso su Rockit.it il 2012-10-02 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • anellisoli 12 anni fa Rispondi

    Brutta intervista. Nesli non è un granchè, ma chi intervista ha dei grossi pregiudizi.
    Luca